Il Centro Demetra aiuta le vittime di violenza
di Marina Rota
La dea greca della terra, Demetra, non si dava proprio pace. Da tempo cercava la figlia Proserpina, concepita con Zeus, misteriosamente scomparsa. Quando Elios le riferì che Proserpina era stata rapita da Plutone, re degli Inferi, con la complicità dello stesso Zeus, Demetra abbandonò l’Olimpo e vagò fra gli umani. Delusa dal tradimento di Zeus e amareggiata anche dai mortali, non si diede per vinta: fece inaridire la terra, perché gli dei non ricevessero più offerte e la razza umana si estinguesse. Così riuscì nel suo intento: Zeus, preoccupato dalle sorti non tanto degli uomini quanto degli dei, mandò Ermes negli Inferi a riprendere Proserpina, e a ricondurla dalla madre.
Il mito di Demetra, col suo emblematico richiamo al dolore che trova riscatto – e all’eterno, dialettico avvicendarsi fra morte e rinascita – ha ispirato il nome del Centro contro la violenza sulle donne che, coordinato da Patrizio Schinco, medico di Medicina d’Urgenza delle Molinette, si avvale di professionisti sanitari, di counselor, di consulenti legali, e di ogni competenza aziendale disponibile.
Quella del centro Demetra è una bella storia, i cui protagonisti, medici e non, desiderosi di aiutare le vittime di maltrattamento, seguono corsi per comprendere quando una donna mente o tace per nascondere un dolore più grande delle parole; per capire se le sue ferite sono provocate da “un urto contro lo spigolo”, ”da un tappo di champagne”, da “una caduta sulle scale”, o non piuttosto dal cazzotto o dal calcio del partner.
Un altro protagonista della storia è l’imprevedibile, contagioso enstusiasmo dal quale talvolta sono toccate le corde della solidarietà; una solidarietà che di fronte a situazioni particolarmente penose, come confessa l’avv. Giovanna Manzoli, una consulente legale del centro, rischia di diventare coinvolgimento personale.
Tutto iniziò nel 2002 quando, all’interno del Comitato Pari Opportunità delle Molinette, emerse la considerazione che non esistevano iniziative dirette ad individuare i casi di violenza domestica in Pronto Soccorso. Schinco – che, ricorda con un sorriso, era nel Comitato “l’unico uomo fra trenta donne” – si propose di interessarsene, scoprendo una sconfortante realtà: le donne venivano sì curate in Pronto Soccorso per i traumi e le lesioni con trattamenti sanitari impeccabili, ma non venivano riconosciute come vittime di violenza. “Spesso le donne maltrattate uscivano dal Pronto Soccorso con una diagnosi di frattura del maxillo-facciale, commenta il medico, ma non anche di maltrattamento domestico; e questi sono casi in cui la terapia non può esaurirsi in cure mediche, come quando ci si frattura un polso cadendo dalla bicicletta”.
Rivelatrice, a questo proposito, un’indagine condotta nel 2003, la prima in Italia, che rivelava come tutto il personale, medico e non, del Pronto Soccorso, eccellente dal punto di vista sanitario, non fosse in grado di individuare questo fenomeno o, peggio ancora, non lo considerasse rilevante; e si dimostrasse scarsamente sensibile al problema cercando di ignorarlo o delegarlo; e ciò indipendentemente dal sesso, dal ruolo, dal livello di istruzione. Per sensibilizzare il personale, si organizzarono alcuni incontri in aula magna. Confessa Schinco: “Ero convinto d’aver esagerato, prenotando l’aula magna: pensavo che non partecipasse nessuno. E invece faticai ad entrare: c’erano più di 600 persone…”. L’Azienda decise di dare visibilità a queste iniziative e istituì una formazione permanente per tutti i dipendenti interessati, formalizzando l’operatività del Centro.
Attualmente il Centro Demetra delle Molinette costituisce, col Centro di violenza sessuale dell’Oirm Sant’Anna e il Centro contro la violenza sui minori “Bambi” dell’Ospedale Regina Margherita, il centro integrato ospedaliero della rete regionale per la prevenzione e il sostegno delle vittime di violenza, approvato dalla Regione Piemonte. I corsi di formazione si sono rivelati efficaci anche operativamente; sono aumentate le segnalazioni (dai 220 contatti del 2006 si è arrivati a più segnalazioni giornaliere) e così la capacità di gestire casi anche complessi che comportano il ricovero della paziente maltrattata o il suo affido alla casa rifugio, creata dal Demetra col sostegno di Telefono Rosa e della Compagnia di San Paolo. Nonostante le cifre agghiaccianti delle denunce per violenza domestica accertate dall’Istat (ben ventimila dal 2004 al 2009 nel solo Piemonte, che detiene in Italia il triste primato), queste risultano ancora ben lontane da una realtà sommersa perché tuttora non certificata. Il Demetra ha così proposto alla rete dei Pronto Soccorso piemontesi una modalità di triage con la presenza di un sanitario esperto che, riconosciuti i segni della violenza anche non dichiarata, e ciò in base ad alcune domande-chiave e ad elementi riportati nei protocolli (come l’occultamento da parte della paziente dei traumi e delle lesioni), attribuisce a queste donne un percorso diverso e una priorità assoluta; perché farle attendere significa, nella maggior parte dei casi, non vederle più.
Parlare da soli con la vittima è necessario soprattutto quando si presenta con la nota figura dell’“accompagnatore silenzioso e ostile”; a volte pentito, a volte semplicemente timoroso di essere denunciato. Ecco una storia significativa. Anni fa una signora sopravvisse ad un’emorragia cerebrale, che la rese un però un po’ confusa. Il marito non tollerava che non svolgesse più come prima i lavori domestici, e divenne violento. Poi, piangendo, ammise di non reggere il cambiamento della moglie e di non riuscire a controllarsi; chiese di essere aiutato, e dal Centro Demetra venne indirizzato ad un’associazione torinese che si occupa di uomini violenti con gruppi di auto-aiuto.
Si tratta di casi rari però: in genere chi usa violenza non si sente in colpa e trova facile far passare la compagna per visionaria, minando un’autostima già fragile. Peccato, come si rammarica il dott. Schinco, che in Italia non esistano i servizi sociali degli Stati Uniti, dove chi picchia la moglie viene condannato dal giudice a fare pulizie per qualche settimana: una punizione istruttiva, e anche un’occasione per riflettere su se stessi.
Spesso le donne subiscono maltrattamenti per anni, con ripercussioni psichiche devastanti: depressione, ansia, disturbi del sonno, senso di inadeguatezza sul lavoro e nelle altre relazioni; perfino anoressia e bulimia, la cui connessione con la violenza è attuale oggetto di studio del Demetra col Centro disturbi dell’alimentazione delle Molinette.
“In 30 anni di professione, precisa Schinco, ho visto pazienti a cui, pur logorati dalle malattie, la lucidità mentale consentiva una buona qualità della vita; in questi casi invece è la paura, la tensione psichica, la perdita di fiducia in se stesse a far ammalare. La psiche governa tutto”. Un esempio: una signora ricoverata al Day Hospital per forti dolori addominali e sottoposta ad ogni sorta di esami anche in altri ospedali, senza alcun riscontro clinico, si ripresentò alle Molinette d’estate. Quando il dott. Schinco si accorse delle lunghe cicatrici che aveva sulle braccia, le chiese che cosa le era successo, chi gliele aveva procurate. Si aprì una voragine; la signora raccontò piangendo la lunga storia di abusi di cui era vittima; fu sufficiente quella domanda perché d’incanto svanissero i dolori addominali. Commenta Schinco: ”Questa paziente mi considera il suo salvatore; eppure le rivolsi solo una banale domanda. L’episodio, nella sua semplicità, è stato istruttivo; quando si vive una così profonda sofferenza intima, la cosa indispensabile è trovare una faccia amica”.
Ma perché le donne aspettano una domanda, prima di liberarsi dal tiranno che le minaccia, le picchia perchè non vuole accettare la separazione, le stupra, le terrorizza? O, in modo più subdolo ma altrettanto devastante, impedisce alla compagna l’accesso ai soldi, si fa servire umiliandola, la offende e la denigra (”Sei una stupida”, “Sei uno zero”, “Non sai fare nulla”)? Uno dei motivi ricorrenti, confermano al Centro Demetra, sono i figli. Eppure non è pensabile un benessere “superiore” della famiglia se non esiste quello dei componenti, ed è inoltre un dato di fatto che assistere alla violenza genera violenza, facendo acquisire comportamenti aggressivi. (“Questi bambini, commenta, sono più inclini al bullismo, sia come parti attive sia come vittime”).
E poi, si tace per paura. Per difficoltà economiche. Perchè “i panni sporchi si lavano in famiglia”. Ma anche, e soprattutto, per non danneggiare l’aguzzino. Insomma: per incrollabile amore. Perché gli uomini che picchiano non sono dei bruti cronici; spesso non sono né alcolizzati, né disoccupati; ma al contrario, insospettabili imprenditori, professionisti, magari simpatici e affermati sul lavoro (recente la richiesta di aiuto al centro Demetra di una donna della high society torinese che aveva subito violenza davanti al figlio di 5 anni da parte del marito, notissimo professionista). Manipolatori più o meno sottili, questi uomini, che nel corteggiamento si dimostrano tanto seduttivi quanto gelosi, instaurano poi un clima di terrore, nel quale la vittima non sa né come né quando si manifesterà il prossimo attacco; sa solo che avverrà. E a questa situazione di “normalità” le donne – anche loro spesso istruite, con lavoro e amici – dopo un primo momento di incredulità che le paralizza (“È possibile che stia succedendo proprio a me?”) finiscono per abituarsi. Si adattano a un nuovo modus vivendi, in cui provano anche pena per il dolore ottuso che intuiscono nella violenza dell’uomo che amano.
Vittime e artefici degli stereotipi (“Se è così geloso, mi ama”, “Uno schiaffo ogni tanto non è violenza”) si autoingannano,e finiscono per giustificare il nemico che si ritrovano ogni giorno in casa, luogo dove non può agire nessun pacchetto-sicurezza; dove il maltrattamento è confuso con l’amore, in un groviglio di sentimenti che rende tutto più opaco e terribile.
Demetra ebbe la meglio sul re degli Inferi. Quando rivide Proserpina, la terra ricominciò a fiorire e germogliare. E così possono fare le anime offese, coi loro sorrisi faticosi, le maniche lunghe anche d’estate, che non vogliono arrendersi a chi vuole degradarle e, consapevoli di non essere più vittime, ma soltanto donne in temporaneo disagio, cercano di ritrovare la voglia di vivere, di sorridere, e, ancora, di amare.