Un’altra industria che il Piemonte non ha più
di Simone Schiavi
Salire sul predellino, sentire l’odore della meccanica, la sensazione tattile dei tessuti e dei vetri satinati, tra oggetti e componenti che tradiscono la mano dell’uomo, propri di un periodo in cui erano l’occhio e le dita, e non un braccio meccanico o un computer, a trasformare un disegno in un oggetto. Se si smontano una lamiera o un sedile si può ancora trovare, nascosta alla vista, qualche scritta vergata a mano, in un corsivo ingenuo, con istruzioni per l’assemblaggio come “sinistra” o “alto”; è anche da piccoli segni come questi che si ritorna a un mondo in cui le aziende sapevano fondere le eccellenze della bòita con i ritmi produttivi da vera rivoluzione industriale. Un lavoro duro quanto oggi nemmeno si può immaginare ma destinato a costruire veicoli fatti per durare nel tempo.
Già a quel tempo Torino vuol dire auto e trasporti in generale. La genesi delle prime industrie per la costruzione di tram presenta infatti percorsi di sviluppo sorprendentemente vari; tratti comuni, però, sono le dimensioni medio-grandi delle aziende e la raffinatezza dei prodotti.
Dall’intraprendenza di un carradore nasce la Diatto, costruttrice del nostro 116 ma anche di auto e di altri mezzi di trasporto; curiosità tra le curiosità, il primo stabilimento dell’azienda si trova lungo il Po presso la chiesa della Gran Madre, in una zona che oggi fatichiamo a pensare industriale.
Pochi decenni dopo, a Savigliano e Torino troviamo la Snos (Società Nazionale Officine di Savigliano), fabbrica di tram diffusi in tutta Italia, da Trieste a Cagliari, comprese le vetture snodate torinesi dette popolarmente “due camere e cucina” negli anni del boom economico; senza dimenticare gli altri settori, con la colossale copertura in ferro della Stazione Centrale di Milano, biplani da caccia per la Grande Guerra e perfino l’ossatura del grattacielo di piazza Castello, a Torino.
A Condove, in quella Valsusa all’ombra della Sacra di San Michele, a farla da padrona è la Società Anonima Bauchiero, poi Officine Moncenisio, creatrice tra inizio secolo e gli anni Settanta di tante motrici tranviarie. Tra i suoi veicoli ancora in servizio, immarcescibili, vi sono i tram articolati torinesi che percorrono il centro cittadino vestiti di arancione, oltre alle vetture che per decenni hanno accompagnato i cagliaritani lungo le strade della loro città.
Gli ultimi tram piemontesi hanno lasciato le linee di montaggio nel 2003 diretti a Roma, Messina e Torino. Da allora più nulla, complice anche il solito destino del trasporto pubblico italiano, caratterizzato da una scarsa programmazione degli acquisti, con le relative ricadute in termini di politica industriale a lungo termine. Il confronto con un’Europa che riscopre il tram è stridente, non solo in termini di mobilità sostenibile ma anche riguardo al mantenimento e alla creazione di posti di lavoro.
L’unico stabilimento rimasto sul territorio, quello di Savigliano, è passato dalla proprietà Fiat a quella della francese Alstom e si dedica ormai da molti anni ai soli veicoli ferroviari; per nulla consolante è la totale estinzione del bouquet, un tempo fiorente, di costruttori tranviari italiani al di fuori del Piemonte, con un’unica eccezione in Toscana.
Non è dato sapere se questo comparto dell’economia industriale piemontese, un tempo tanto fiorente anche in termini di occupazione, potrà mai tornare alle produzioni tranviarie; oggi i giochi sono decisi altrove, in quanto i centri decisionali, sia in termini di produzione sia di acquisto delle vetture, sono spesso lontani dal Piemonte. A parziale consolazione, quantomeno, rimane la presenza della torinese Atts (Associazione Torinese Tram Storici),
Tra loro, forse, la regina è proprio la sferragliante 116, che circola ancora nei giorni di festa a testimoniare una storia fatta di ingegno e tenacia. Mentre festeggia il suo centenario, ci ricorda che evoluzione tecnica, cura del dettaglio e coraggio nell’affrontare i mercati sono l’unico binario da percorrere, oggi come ieri.
Questo articolo ha ricevuto una menzione alla IV edizione del Premio Piemonte Mese, sezione Economia