Il gioco serio dell’arte
di Francesca Torregiani
Ugo Nespolo, biellese di nascita, cittadino del mondo, ma soprattutto piemontese nel mondo, ci regala dagli anni Sessanta straordinari fondali scenografici per il teatro delle nostre vite; ha esplorato l’arte in quasi tutte le sue manifestazioni, dalla scultura alla comunicazione mediatica, passando attraverso la creazione cinematografica e la pittura.
Nespolo si è offerto di decorare la vita, rendendo all’osservatore una quotidianità in cui gli oggetti scaturiscono dall’impasto del più ricercato formulario tecnico con la più libera e sciolta fantasia: esordisce sul palcoscenico artistico italiano negli anno ’60 con contaminazioni della Pop Art; la sua produzione si caratterizza presto per il suo forte accento trasgressivo ed ironico e per l’apparente senso ludico, doti che in seguito si presteranno alla tela cinematografica esplorando nel decennio successivo, anche questo mezzo di espressione.
Da ricordare anche l’impegno sociale dell’artista. All’inizio degli Anni Settanta, infatti, Nespolo è all’ospedale psichiatrico di Volterra e con l’aiuto dei degenti realizza due opere: una piramide carica di disegni e oggetti personali dei malati e una gigantesca pillola di cartapesta, simboleggiante le cure farmacologiche delle quali, in una sorta di gesto purificatorio, vuole denunciare l’abuso bruciando così le opere in una piazza della città per sensibilizzare gli osservatori.
Al contempo satrapo nel Collegio di Patafisica e cattedratico supercolto, semiologo, ideatore di scanzonate soluzioni immaginarie e abile fotografo che piuttosto di riprodurre il visibile, lo crea, è un animo eclettico che da una parte all’altra del globo, ma in particolare all’ombra della Statua della Libertà, ha trovato il proprio compimento artistico. Torino e New York: Nespolo guarda strade, vetrine, venditori di hamburger della Grande Mela come soggetti di una rappresentazione più vicina, intellettualmente, al cinema di Woody Allen che ad un ideale borghese: di fronte alle sue esplosioni di colore sembra di sentire da lontano le canzoni dei Beatles e dei Rolling Stones, le parole minimaliste di Carter, il mito americano che si leva elegante tra le note di God Bless America.
Nespolo culla il perduto sogno dell’interdisciplinarietà, cioè quell’armonico luogo intellettuale in cui le discipline si fondono, fa i conti con la varietà della realtà senza volerla per forza appiattire nella omogeneità di un sistema, lavora per trovare il nesso fra verità isolate ed esperienze solo in apparenza lontane.
Villa Bertelli a Forte dei Marmi la scorsa estate ha dedicato a Nespolo una personale retrospettiva antologica che ha colorato tutta la cittadina versiliese: il Forte è stato briosamente “nespolizzato”; un’intera città in mostra insieme all’Artista, che ha proposto le icone classiche e contemporanee che ci identificano nel mondo: Dante, la Torre di Pisa, la pasta, il David, la Cinquecento, il numero 46 di Valentino Rossi riviedute attraverso il legno intarsiato, il vetro soffiato, l’alabastro, la maiolica dipinta, il bronzo, la fotografia e il cinema. Nelle immagini di Nespolo si incrociano l’arte e la vita; le sue opere sono nate per accompagnarci nella quotidianità domestica con un eterno senso del rinnovamento artistico.
E tutto ciò l’aveva capito bene Alda Merini, che a Nespolo dedicò alcuni dolcissimi versi: l’aveva definito “l’eternamente vivo”, annoverandolo tra gli artisti che vivono non nell’Olimpo dell’Arte altezzosa e superba “che guarda dalla rupe della magia”, bensì tra coloro che amano condividere la propria esperienza con l’osservatore, chiunque esso sia, poco conta se principe o contadino.
Questo articolo ha ricevuto una menzione alla IV edizione del Premio Piemonte Mese, sezione Cultura e Ambiente