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Professione percussionista – Intervista di Nico Ivaldi

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Professione percussionista

 Nico Ivaldi incontra Gilson Batista da Silveira

Con quelle mani dure e veloci – che quando stringe le tue ti appiattisce i palmi – Gilson Batista da Silveira, quarantanovenne funambolico percussionista brasiliano, saprebbe ricavare suoni e ritmi da qualunque oggetto. Sposato con Laura, vive a Torino da una ventina d’anni, ma non ha perso la tipica cadenza che ti fa riconoscere ovunque un brasiliano.
È magro, calvo, spigoloso, tutto un fascio di nervi, con occhi azzurri penetranti e una vitalità sorprendente.
Lo intervistiamo nel tranquillo cortile dell’oratorio di San Filippo Neri, l’edificio di culto più grande di Torino, trasformato da padre Goi in cittadella della cultura e dell’arte. Gilson è appena riemerso dal suo studio, ricavato in uno scantinato all’interno del complesso religioso; è un locale fresco, con i mattoni a vivo, lui ci ha sistemato i ferri del mestiere e in quella spelonca prova e riprova le sue composizioni. Indisturbato e tranquillo.
Per me questo posto è ideale” spiega Gilson Silveira. “Lavoro con pochi allievi miei e con un gruppo di percussionisti, che abbiamo chiamato Comunicato Samba.”
gilson-2Come si diventa percussionisti, e pure bravi come te?
Nel mio caso, dice Gilson, la passione me l’ha trasmessa Padre Cristiano, un coltissimo frate olandese che insegnava nella scuola di Itabira, dove mi ero trasferito da Ipoema, mai città natale, per studiare alle superiori. Padre Cristiano aveva creato una corale, metà percussioni e metà voce. È stata un’esperienza bellissima perché cantavamo in tante lingue, olandese, inglese, italiano. Un giorno, mi chiese se sapevo suonare il pandero, il tamburello, e visto che l’avevo sentito suonare tante volte mi sembrava una cosa semplice; e così ho provato”.
Perché hai scelto proprio le percussioni?
È stata una scelta naturale, istintiva. Eppure ho cominciato suonando la chitarra, ma ho capito presto che non era lo strumento per me”.
Famiglia non di musicisti, la tua.
I miei genitori gestivano un emporio a Ipoema, un tranquillo paese collinare a centocinquanta chilometri da Belo Horizonte, dove non mancava niente, come nella tradizIone degli empori di una volta. Eravamo sette figli, cinque maschi e due femmine. Vivono ancora tutti in Brasile. La musica la sentivo alla radio e nelle feste, quando arrivavano musicisti dai paesi vicini. È stato un innamoramento graduale.”
Il giovane Gilson studia e lavora, perché inizialmente non sognava ancora di fare il musicista per tutta la vita.
Ho fatto il dattilografo, magazziniere, caricatore di furgoni. E intanto studiavo. Studiavo da geometra per diventare architetto”.
Perché architetto?
Perché mi piaceva costruire le case e renderle funzionali per l’uomo. Ancora oggi quando giro per concerti mi soffermo davanti a palazzi, chiese, edifici importanti. Ho la fortuna di vivere in una città architettonicamente meravigliosa che mi sarebbe piaciuto progettare. Torino ha una sua forte identità, è a misura d’uomo, non è caotica, ha una collina che mi ricorda i luoghi dove sono cresciuto e ha il fiume che la taglia in mezzo. Meglio di così non è possibile”.
Visto che ti sposti in città con una bicicletta piuttosto avanti con gli anni, non hai mai pensato di mettere al posto del campanello un piccolo tamburo?
(Gilson ride). “Non si sentirebbe! Piuttosto, una cosa che faccio spesso in bici è girare per Torino di notte. Ti regala sensazioni uniche, percepisci piccoli rumori e scopri strade e vie piene di sorprese”.
Però non era destino che Gilson Batista da Silveira diventasse l’erede del connazionale Oscar Niemeyer, il geniale architetto che ha progettato la capitale Brasilia: la musica bussava con insistenza alla porta di Gilson.
Mentre ancora studiavo alle superiori, al pomeriggio lavoravo e alla sera prendevo lezioni di percussioni presso la Scuola di Musica de Minas del maestro Milton Nascimento, un grande cantautore di Minas. Lì ho imparato a leggere e a scrivere la musica. A vent’anni collaboro con alcune compagnie teatrali brasiliane con le quali compio lunghe tournée che per me si riveleranno molto formative”.
Nel 1985 Gilson sbarca in Europa. È la prima volta che esce dal Brasile, a parte una trasferta in Bolivia. Qual è stata la molla che ti ha spinto ad attraversare l’Oceano?
C’era una cantante brasiliana che cercava musicisti che l’accompagnassero nel suo tour. Siamo partiti io e un chitarrista. Comunque io avevo già idea di venire in Italia, la sua cultura mi ha sempre affascinato”.
Nel tuo caso non si può certo dire che ti avesse spinto la fame a emigrare nel nostro Paese.
Assolutamente no. A parte la rigidità della dittatura militare, io in Brasile vivevo benissimo. Suonavo, avevo la mia casa, i miei amici, mi divertivo”.
In Europa Gilson collabora a lungo con artisti del calibro di Miguel Bosè e di Ana Torroja,la Carrà spagnola, fino a diventare uno dei più richiesti insegnanti di percussioni brasiliane.
Prima e unica tappa italiana: Milano.
Sono venuto per restare tre mesi e ci sono stato otto anni. Non ho mai avuto problemi ad adattarmi, eccetto il primo anno e mezzo in cui ho vissuto da clandestino. Sono sempre stato uno aperto al dialogo ed estroverso. E poi ho avuto la fortuna d’incontrare brave persone che mi hanno accolto con amicizia. Ma lavoravo come un matto. Si cominciava a suonare tardi nei locali, si finiva tardissimo, ci si riposava poco”.
Facevi solo musica brasiliana?
Beh all’inizio sì. Il mio paese ha una grande tradizione di cantautori: Caetano Veloso, Gilberto Gil, Antonio Carlos Jobim, Chico Buarque de Hollanda. Ed era quel tipo di musica che ci veniva richiesta nei locali. Poi con l’avvento della lambada è esplosa la commerciale, e io ho suonato anche quella, anche perché non volevo rimanere confinato solo alla musica tradizionale. In seguito mi sono avvicinato ai musicisti italiani che facevano rock, funky, jazz e mi sono iscritto al Nam (Nuova Accademia Musica Moderna) dove all’epoca insegnava Tullio De Piscopo. Attraverso la scuola sono partite altre collaborazioni esterne rispetto alla musica brasiliana. Ho suonato con tanti artisti che facevano altri genere,  compreso un gruppo misto che suonava musica arabo-andalusa”.
Gilson fa concerti con diversi gruppi. Il suo gruppo storico è quello formato dal chitarrista honduregno Roberto Taufic e dal cantante Simon Papa. Ma, come spesso capita ai musicisti, le collaborazioni vanno e vengono, o spesso rimangono in stand-by, come sta capitando per l’appunto a questo trio.
Sta per cominciare l’estate, la stagione dei festival” dice Gilson. “Anche quest’anno sarò a Laigueglia per il PercFest, il festival internazionale delle percussioni, e in altre situazioni: farò vacanza e lavoro insieme…”
Gilson, come hai reagito alla crisi che ha toccato anche voi musicisti?
Se ti devo dire la verità, l’ho accolta come una benedizione! Scherzo, ma non sono poi così distante dalla realtà. Visto che nulla succede per caso, lavorare di meno per me ha significato trovare del tempo per fare ricerche, per studiare, per esercitarmi. E poi non sono certo quello che sta senza progetti”.
L’ultimo in ordine di tempo?
È uno spettacolo molto teatrale, ancora senza un nome, di cui parlo per la prima volta su un giornale. Ci sarà un pianoforte, suonato da Angelo Contu, e ci sarò io. Dietro di me scorreranno delle immagini di me stesso. L’uomo di città dialogherà con l’uomo di campagna. Io suonerò sopra le immagini. Non solo: parlerò con l’altro Gilson sullo schermo, interagiremo. Ora sto finendo la sincronizzazione. Lo spettacolo durerà un’ora e un quarto. Si svolgerà in un piccolo teatro, quasi tutto al buio, dove i rumori saranno quelli del mio strumento e di una foresta, di notte. Nient’altro”.
Appuntamento per il tardo autunno, allora?
Sì, in tempo per annunciare la mia nuova iniziativa: mi candiderò a Governatore del Piemonte per il Partito del Tamburo.”
Per che fare, caro Gilson?
Per suonarne quattro a certi politici…!”

 

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