Quando Olivetti voleva dire innovazione
Matteo Acmè e Alessia Cerantola
“Questa è la MC24, conosciuta come Divisumma, la macchina che ha fatto la fortuna della Olivetti. Produrla costava circa 35.000 lire, ma veniva rivenduta a 350.000, più o meno come una Fiat Seicento dell’epoca”. A indicarla è Luigino Tozzi, mentre ricorda con orgoglio gli anni trascorsi in Olivetti dal 1958 al ’93. Oggi è uno dei responsabili del Laboratorio Museo Tecnologicamente, la Fondazione dedicata all’ingegnere olivettiano Natale Capellaro in cui, come un tesoro di un’epoca lontana, è custodito parte del materiale Olivetti a Ivrea.
Nelle varie stanze sono esposti i prodotti che hanno reso grande l’azienda eporediese, come il Programma101, il primo computer da tavolo programmabile, un successo mondiale che ha convinto anche gli ingegneri della Nasa. “Se guardate qualche vecchio filmato dell’uomo nello spazio, assicura Tozzi, ne vedrete parecchi sulle scrivanie di Cape Canaveral”. E poi l’M24, un computer commercializzato nel 1982 e “così avanzato che l’Ibm ha dovuto rimandare l’uscita del suo prodotto concorrente perché era già vecchio rispetto a questo”.
Sono solo alcuni dei tanti prodotti che hanno fatto la storia della Olivetti, l’azienda nata ad Ivrea nel 1908 e rimasta per molti decenni una delle maggiori imprese mondiali per le macchine da calcolo e per l’informatica grazie alla sua capacità di adattarsi alle condizioni del mercato e alla tecnologia. “Quasi delle mutazioni della specie”, scherza Tozzi.
Non solo. Olivetti è ricordata per il benessere, oggi si direbbewelfare, aziendale e per lo speciale rapporto tra padroni e lavoratori. “La mensa Olivetti è nata nel 1936, ben 32 anni prima di quella della Fiat, racconta Pino Ferlito, ex sindacalista, con quasi quarant’anni di lavoro nell’azienda di Ivrea, per non parlare della settimana di 40 ore, concessa agli operaiben prima che venisse imposta dal contratto nazionale di lavoro”. A Ferlito brillano gli occhi quando ricorda le biblioteche aziendali, gli incontri culturali, le colonie estive, gli asili nido gratuiti per i figli dei dipendenti e le numerose agevolazioni messe a disposizione dalla Olivetti, anche le piccole cose: “Quando pioveva ti prestavano l’ombrello per tornare a casa, se perdevi l’autobus, aziendale pure quello, che collegava tutto il canavese ad Ivrea, ti prestavano la bicicletta”. Un rapporto speciale, che andava oltre quello fra dipendente e datore di lavoro. “Nessuno di noi si sentiva di dovere qualcosa al padrone, nessun paternalismo”, precisa il vecchio sindacalista. “Ci sentivamo parte della fabbrica. Non eravamo coperti dall’ombrello di Olivetti, eravamo parte dell’ombrello”.
Ai ricordi commossi si aggiungono tuttavia le precisazioni di chi l’Olivetti l’ha anche studiata. “Bisogna fare attenzione, avverte Giovanni Maggia, responsabile dell’Archivio Olivetti, ex sindaco di Ivrea e memoria storica dell’impresa olivettiana, “nel mitizzare le innovative opere assistenziali. A volte sembra che la famiglia Olivetti abbia voluto creare dei servizi sociali e poi, non sapendo come mantenerli, vi abbia creato attorno una fabbrica”. La Olivetti è invece sempre stata una grande impresa industriale, sebbene realizzata in un contesto di grande civiltà sindacale e nel benessere dei dipendenti. “In particolare, ricorda Maggia, Adriano Olivetti introdusse un principio completamente nuovo per l’industria italiana e non solo: chi è dipendente ha diritto – l’ex sindaco lo sottolinea con decisione – a servizi socio-assistenziali di fabbrica”.
Nei cinquant’anni seguiti alla morte di Adriano, avvenuta nel 1960, la grande macchina Olivetti è stata lentamente scorporata in quello che viene chiamato lo “spezzatino”. Nel 1979 Carlo De Benedetti prende le redini di un’azienda in crisi portandola a crescere nuovamente fino ad avere 70.000 dipendenti. Ma il mercato cambia, e l’Olivetti si lancia nel settore delle telecomunicazioni. Nascono prima Omintel, nel 1993, e poi Infostrada nel 1995, i primi gestori alternativi di telefonia mobile in Italia. Col tempo vengono via via abbandonate le divisioni storiche fra meccanica ed elettronica. È ormai l’era dell’ingegnere Roberto Colaninno, che nel 1999 lancia un’Opa su Telecom. Il colosso delle comunicazioni viene acquistato a debito, con la speranza di pagarlo con i suoi stessi guadagni. Da questo momento ci si concentra su Telecom: vengono gradualmente liquidati gli asset diventati ormai secondari. Per adeguarsi alla regolamentazione antimonopoli vengono cedute anche Omnitel e Infostrada.
Ma non sono andate perdute le conoscenze e le capacità degli uomini Olivetti, che hanno mantenuto e reinvestito le loro capacità in tante piccole e grandi aziende di successo, fra cui la più conosciuta è la Fastweb di Scaglia, anche lui un ex dirigente olivettiano. E i lavoratori? Certo, il Canavese ha sofferto il dissolversi del mondo creato da Adriano, ma ancora oggi, nella sorica via Jervis, sede dal 1908 dei primi impianti della fabbrica ci sono due grossi call center di Wind e ComData che occupano rispettivamente 1000 e 800 dipendenti.
È tuttavia venuto meno quello che in molti continuano a chiamare lo “spirito Olivetti”, e di quella concezione della città di Ivrea che l’Ingengnere aveva cercato di portare avanti: tutto il territorio come un’unica comunità da far crescere e sviluppare assieme alla “sua” fabbrica. Quell’idea per cui fin dagli anni Quaranta c’era un servizio di trasporto aziendale che portava i lavoratori dalle campagne a Ivrea e poi li riaccompagnava a casa, fino in Val d’Aosta, un modo per incentivare ognuno a vivere sul proprio territorio, per salvare le campagne e la vita contadina. Un’idea che oggi sembra un sogno lontano.
Eppure qualcosa è rimasto. A Villa Girelli, una delle storiche colonie realizzate per i figli dei dipendenti Olivetti, nel 1995 è nata Alce Rosso, una cooperativa che offre servizi educativi per l’infanzia e l’adolescenza, portando avanti lo spirito olivettiano. Tutto concentrato e in sintonia con il territorio del Canavese. Oggi ci lavorano 87 persone, con un consiglio di amministrazione composto quasi esclusivamente da donne sotto i 40 anni. “All’epoca di Adriano innovazione significava andare incontro ai bisogni che in quel momento c’erano”, spiega Andrea Ardissone, presidente di Alce Rosso. “Oggi significa destrutturare i servizi educativi per dar loro flessibilità maggiore e supporto alle famiglie di oggi. L’innovazione di cui parlava Olivetti sta proprio qui: non si traduce più solamente nella creazione di nuovi prodotti, ma nel cercare nuove soluzioni in tutti gli ambiti della cultura”.
Questo articolo ha ricevuto una menzione alla IV edizione del Premio Piemonte Mese, sezione Economia