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    Gli artigiani del cielo – di Andrea Di Salvo

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    By Andrea Di Salvo on 1 Aprile 2012 Piemontesi di scienza e d'ingegno

    I fratelli Margaro e la fotografia astronomica

    di Andrea Di Salvo

    Vivere in una città come Torino garantisce una certa comodità, ma gli svantaggi non mancano. Uno tra questi è di-salvo-1   senza dubbio l’illuminazione elettrica. Se è vero infatti che ci viene permesso il lusso di vivere la città in notturna, è altrettanto vero che tanta luce oscura il fascino della volta stellata, di quelle piccole luci che poste così lontano da noi hanno solo una frazione trascurabile della potenza artificiale dei nostri lampioni. Mi è capitato di confermare questo svantaggio di recente, intervistando due fratelli – gemelli, per la precisione – che della fotografia astronomica hanno fatto la loro passione: Carlo e Mauro Margaro. Ci siamo incontrati attraverso un progetto triennale, finanziato dalla Regione Piemonte e ora giunto al termine, il cui fulcro era la divulgazione astronomica attraverso la Rete.
    All’inizio erano reticenti a rilasciare un’intervista davanti a una telecamera perché preferiscono il contatto con le persone, specie con i bambini delle scuole dove vanno spesso a tenere delle lezioni di astronomia. “Tu non hai idea di quanto siano intelligenti i bambini, afferma Mauro nella sala riunioni dell’Osservatorio Astronomico di Torino, dove siamo stati ospitati per un primo incontro, sono persino più svegli di certi ragazzi delle scuole superiori”.
    I fratelli abitano vicino a Scarmagno. Nel cortile di casa c’è uno dei loro siti osservativi: una casetta in legno con accanto una piccola roulotte. Ci spiegano che – quando non vanno in Valle d’Aosta, dove hanno una postazione fissa all’interno di un campeggio di appassionati come loro, a 1500 metri d’altezza – fanno le loro osservazioni da quella roulotte con il telescopio remotizzato e cioè comandabile a distanza, lasciando così la strumentazione al freddo della notte. Ci dicono subito che questo comporta due grandi vantaggi: loro stanno al caldo e la strumentazione, lavorando a basse temperature, non soffre di alcuni disturbi che ci spiegheranno dopo.
    Per entrare in casa passiamo dal garage, dove ci mostrano vari oculari e lenti raccolti in una sorta di laboratorio-magazzino. Carlo tira fuori da un cassetto un foglio di carta. È uno dei progetti fatti da lui: un anello di giunzione tra l’oculare e il corpo della camera CCD, che è quella che usano per fare le fotografie. Ne ha fatti molti altri, dice, perché se vuoi realizzare delle buone fotografie non puoi fare altrimenti: devi costruirti ciò di cui hai bisogno. Penso che li si possa definire artigiani del cielo.
    In casa, sistemata la videocamera, siamo pronti a girare. Sul tavolo c’è un foglio con la traccia per l’intervista. Mauro cerca di seguirla, l’occhio cade spesso sulla pagina. “È una passione che ci arriva da un po’ di anni fa, quando avevamo un negozio di fotografia ad Ivrea. Veniva sempre a trovarci un nostro amico che era già appassionato di cielo e di stelle molto prima di noi e ci diceva sempre: ma voi con la passione che avete, perché di-salvo-2non fotografate il cielo e tutto quanto? Eh, fotografare il cielo è come vedere tutte le stelle, ma cosa fotografi? Bisogna sapere cosa! E lui ci ha spiegato, un giorno, che sei voi uscite e guardate il cielo e vedete tutte le stelle che brillano e ne vedete una che non brilla, quella non è una stella, ma è un pianeta. Così, non riuscivo a dormire, una notte, era in pieno inverno: mi ricordo che sono uscito sul balcone e mi è venuto in mente quello che il mio amico mi ha detto e ho guardato il cielo stellato che era una cosa pazzesca, poi oltretutto c’era anche stato il vento e le stelle scintillavano molto. Una era ferma. Mi è venuto in mente quello che mi ha detto e sono entrato in casa: quando eravamo piccolini ci avevano regalato per Natale un piccolo cannocchiale, un telescopietto, una cosetta… un giocattolo insomma. L’ho cercato, sono riuscito a trovarlo e mi ci è andato una ventina di minuti a puntare quest’oggetto. Quando l’ho visto, mi sono spaventato. Era Saturno. Di lì non ci ho più visto. Sono andato a svegliare subito mio fratello, lui – indica Carlo, che se la ride – che era mezzo addormentato. Alzati, gli ho detto, vieni fuori, guarda!” Quando lo ha visto anche lui ci è rimasto, ci siamo guardati in faccia e abbiamo detto “No, non è possibile”. E da lì è incominciata la nostra passione”.
    Hanno così pensato di comprare un vero telescopi. Ma se non sai dove guardare, non riesci a vedere. Per questo hanno iniziato a fare foto al cielo. Chiariscono subito che una fotografia astronomica non è come quella tradizionale che siamo abituati a fare. “Non basta un clic!”, precisa Mauro. Ci vogliono ore e ore di posa, inseguendo l’oggetto con l’otturatore aperto. Carlo racconta: “Abbiamo iniziato con la pellicola e c’erano dei problemi. Quello più grande era chiaramente trovare gli oggetti. Si andava all’addiaccio in alta montagna, -20° C tutta la notte, si dava via alla posa – anche 7 ore di posa! – smontavamo tutto, si tornava a casa, si sviluppava il rullino e l’oggetto non c’era. Perché è difficile a volte individuare il punto esatto: gli oggetti sono talmente piccoli che bastava essere mezzo grado più spostati che l’oggetto non c’era”.
    di-salvo-3Il digitale invece è diviso tra un pregio e un difetto. Innanzitutto si vede subito se l’oggetto è ben inquadrato. A esposizioni più lunghe corrispondono maggiori informazioni accumulate sul sensore e tutto sembra andare bene. Il problema è il rumore termico: “Più si danno lunghe pose, più vien fuori del rumore termico sopra il chip, sul sensore”. “Sembrano tutte stelle”, scherza Mauro. Bisogna quindi fare delle immagini di buio, i dark frame, e sottrarli all’immagine dell’oggetto. Così rimangono solo le stelle. La pellicola, al contrario, dopo un po’, ingrigisce soltanto: è l’effetto della reciprocità. Non si riescono quindi a cogliere dettagli né piccoli né grandi, né luminosi né bui.
    Un altro punto importante è che “le camere CCD per astronomia sono in bianco e nero”. Quindi bisogna fare una posa per avere la luminanza, cioè il dettaglio, la forma dell’oggetto perfetto (e sono 4-5 ore) e poi altrettante pose con i filtri rosso, verde e blu (a voi i conti). In quadricromia, insomma.
    “La difficoltà più grande però sta tutta nell’inseguimento dell’oggetto”. In un’ora infatti percorriamo ben 15 gradi, per via della rotazione terrestre, perciò bisogna seguire bene ciò che vogliamo fotografare altrimenti vedremo l’oggetto mosso e le stelle formeranno delle lunghe linee di luce. I Margaro usano una guida fuori asse, lavorando con due telescopi: uno guida l’altro. Mentre il primo punta l’oggetto l’altro, che è ancorato sopra in parallelo, tiene come riferimento una stella e attraverso una complicata calibratura di cui tralasciano i dettagli, riesce a vedere lo spostamento, comandando la montatura che così corregge l’inseguimento.
    di-salvo-4La nostra traccia non finisce qui, ma è impossibile contenere la voglia di parlare di questi due fratelli tanto appassionati che sovrapponendosi e correggendosi a vicenda ci parlano delle distanze, della grandezza e della quantità degli oggetti del cielo. Infine, prima di andare, rincorriamo con gli occhi stupiti le loro prime fotografie, già di grande qualità, tutte raccolte in un album. Molte di queste sono pubblicate sulle riviste nazionali specializzate, come Nuovo Orione. Altre invece sono finite tra un commento e un altro di Margherita Hack, sulla rivista Le Stelle. E ce lo dicono così, quasi in sordina.

    Questo articolo ha ricevuto una menzione alla V edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura e Ambiente

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    Andrea Di Salvo

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