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Piemonte in carovana – di Silvia Nugara

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I ricordi di Camelia Angeleri

di Silvia Nugara

Nell’ottobre del 1931 la carovana con cui gli Angeleri percorrevano in lungo e in largo le strade del Piemonte sostava nella piazza di Vestigné: lì, nella casa viaggiante di famiglia, è nata Camelia. Nell’atto di nascita il padre camelia-1   Giacomo è indicato come “Giocoliere di piazza”. Forse all’epoca la parola “giostraio” non era d’uso, o forse, di fronte al podestà, l’impiegato zelante volle prendere le distanze da un mestiere inconsueto e in odore di disordine. “Sono l’ultima di sette, mi hanno fatta coi ritagli”, scherza Camelia, che è arrivata dopo Rosa, Leandro, Giacinto, Dalia, Margherita e Violetta, venuti al mondo tra Torino, Rodallo, Vistrorio e Chambave. Dare ai figli nomi così belli è un gesto d’arte e di poesia, ma “quando mi hanno battezzata il prete disse che non esisteva una santa chiamata Camelia e mi fece dare il nome di Amelia: così, ancora oggi per la chiesa sono Amelia”.
Il “mestiere di piazza” è ricco di fatiche e di sorprese. Per una bambina vuol dire continui cambi di scuola, di maestre, di compagni. “In prima elementare la maestra mi chiamava “pulcino”, ero così minuscola e piena d’ansia che non dormivo la notte e così persi un anno. Ricominciai la prima l’anno seguente, a sette anni”. Da lì in avanti Camelia fu sempre un’allieva dal “lodevole profitto”, come dimostrano le pagelle che per tutta la vita il padre ha conservato gelosamente: “Mio padre era uno che sapeva molte cose e teneva tantissimo ai nostri studi”. Camelia mostra oggi le sue pagelle con orgoglio ma anche con sgomento per quel “P.N.F. Gioventù Italiana del Littorio” scritto in copertina accanto, di volta in volta, a insegne militari, fasci littori, mappe delle terre coloniali.
Per poter cambiare spesso scuola i bambini viaggianti come Camelia avevano un permesso speciale dall’Ispettorato agli Studi e dovevano portare con sé un libretto su cui la maestra segnava il nome dell’istituto, il periodo di frequenza e un giudizio sul profitto. Dal 1938 al 1943, tantissime sono le tappe nel libretto di Camelia: Cuorgné, Albiano, Settimo Moncalvo, Rodallo, Castellamonte, Pont Canavese, Castiglion Dora, Valdigna d’Aosta, Verres, “Ponte San Martino”, Nus, fino a Villanova Baltea dove ha conseguito la licenza elementare. 
In estate, la carovana di famiglia non rimaneva più di quindici-venti giorni nello stesso paese, mentre in inverno ci si ritirava per qualche mese, ragion per cui Camelia ha passato periodi più lunghi a Caluso, dove il padre aveva acquistato una casa. “A scuola mi capitava di essere più indietro o più avanti degli altri con il programma. Per esempio, mi ricordo che nel 1943 a Villanova Baltea la classe era molto in arretrato con la ginnastica mentre io ne avevo fatta tanta prima a Nus, dove avevo un’insegnante giovane. Così, la nuova maestra, che non era portata per queste cose, mi chiese di mostrare ai compagni gli esercizi per il saggio finale. Solo che io ero piccola e allora mi facevano salire sulla cattedra per essere vista da tutti, e al saggio vincemmo noi!”
In ogni scuola in cui andava Camelia si faceva nuovi amici e uno dei modi per entrare in confidenza con i coetanei era distribuire dei biglietti omaggio per le giostre di famiglia: “Erano cartoncini gialli con su scritto “Parchi divertimenti Angeleri Giacomo”.
Nel corso del tempo gli Angeleri hanno avuto diversi tipi di attrazioni, tutte costruite in proprio: la “calcinculo” o giostra a seggiolini, le barchette, le gabbie volanti, una rotonda dei pesci, gli anelli, il tirassegno. Nel lavoro erano indipendenti e dove arrivavano montavano l’intero luna park, di solito ci voleva una giornata intera. Appassionato melomane, quando la sera si avvicinava l’ora di chiusura Giacomo metteva sul piatto dischi d’opera: “C’erano persone che rimanevano fino all’ultimo proprio per godersi le romanze mentre si spegnevano le luci”. Poi, quando era ora di partire, si levavano le tende e si caricava il materiale su un furgone diretti alla località successiva. A volte, quando capitava di dover andare su per paesini di montagna o per strade strette e ripide, la famiglia si faceva aiutare da trasportatori con cavalli: “Pensa salire a Rueglio con le giostre e i cavalli, pensa la fatica che facevano quei poveri cavalli: io, bambina, quanto soffrivo se il conducente li sferzava!” Quando possibile, si usufruiva della ferrovia: “Avevamo la cosiddetta “riduzione nona” per viaggiare insieme al materiale. Mia sorella più grande faceva domanda per avere un vagone e un pianale su cui caricavamo tutto, e così si andava. L’8 settembre del 1943 ci trovavamo a Bardonecchia e caricammo con noi un ragazzo che aveva lasciato l’esercito e cercava di tornare a casa vicino Caluso, è stato un bel rischio. Poi, subito dopo la guerra, mio padre e i miei fratelli hanno comprato un camion dagli americani, un 18BL con le ruote piene, che per quanto ne so poteva anche essere un residuo della guerra del 15-18; con quello facevamo almeno due riprese”. 
Nella scatola in cui Camelia conserva documenti e memorie c’è una sua fotografia nel giorno della prima Comunione. Ha l’aspetto innocente e sontuoso di una regina bambina: sul capo un velo bianco, una cuffia di tulle che le incornicia il volto, le trecce lunghissime e sottili, strette in fondo da due fiocchi, un vestito ampio e immacolato con guanti bianchi: “Aveva cucito tutto mia madre, Angela: era lei che ci vestiva ed è da lei che già a dodici anni ho imparato a fare le calze a maglia”. Di quel giorno Camelia ha un ricordo vivissimo: “Eravamo a Châtillon, che allora si chiamava Castiglion Dora, e al mattino, digiuna, feci la prima comunione. Poi, mia zia mi portò a un bar lì sulla strada: io non ero mai entrata in un bar! Mi fece prendere un cappuccino, che forse allora si chiamava caffelatte, e un torcetto di quelli grandi e arrotolati… che festa! Nel pomeriggio arrivò il vescovo e ci fecero pure la Cresima”.
Gli anni delle giostre, quelli dell’infanzia e della prima adolescenza, Camelia li ricorda come anni bellissimi a cui ha dovuto dire addio quando si è sposata. Nel 1955 la madre è morta e il padre ha continuato ancora un po’ la vita del giostraio ma poi ha smesso e si è ritirato. Con lui si è chiusa l’epoca della carovana perché i figli Angeleri hanno intrapreso altre strade: chi “ha sposato una che era ferma”, chi ha trovato lavoro in fabbrica, chi è emigrato in Svizzera. Camelia ha cresciuto i bambini e assistito gli anziani di numerose famiglie torinesi che ancora oggi le sono riconoscenti.
Tra i parenti materni qualcuno ha continuato l’attività di giostraio ancora in anni non lontani. Quando c’era il luna park in piazza Vittorio, a Torino, la ruota panoramica era di una sua cugina. Una nipote ha tenuto per un po’ un banco di torroni nelle fiere e un altro, dopo qualche anno di giostre, ha preferito aprire un’agenzia immobiliare, il che è quasi il colmo per un ex nomade. L’unica ancora oggi del mestiere è una parente che ha aperto un parco divertimenti ad Ankara, in Turchia, e lì si è stabilita definitivamente.
Il mondo delle fiere viaggianti è cambiato, le attrazioni sono sempre più spettacolari, piene di luci, di meccanismi sofisticati, di fumi, suoni, colori. I parchi si promuovono attraverso siti internet e social network. Oggi, dice Camelia, “non conosco più questo lavoro ma a me ha dato modo d’incontrare il povero e il ricco, il simpatico e l’antipatico e nella mia vita quest’esperienza mi è servita molto”.  

Questo articolo ha ricevuto una menzione speciale alla V edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura e Ambiente

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