Portato da un viaggiatore ottocentesco, l’esotico fiore ha trovato nelle peschiere poirinesi un ambiente ideale
di Gabriele Pieroni
Le chiama rasatà Francesco Pennazio le immense distese di campi riarsi dal sole che separano Ceresole d’Alba da Torino. Usa il piemontese per sottolineare la difficoltà di una terra che da centinaia d’anni conosce una straordinaria secca estiva, con precipitazioni sporadiche e poco abbondanti, che il lavoro e la fatica dell’uomo ha però saputo mitigare attraverso un sapiente uso delle acque piovane, raccolte in centinaia di grosse pozze – le peschiere, appunto – utilizzate per abbeverare il bestiame, irrigare i campi e allevare le tinche poi mangiate durante le feste autunnali. E che, in maniera straordinaria e misteriosa, da oltre cent’anni accolgono un ospite floreale esotico e particolare, unico nel territorio: il Fior di Loto.
Pennazio, ormai in pensione, aiuta il parroco del paese a tenere in ordine la chiesa dei Cappelli, piccola frazione in direzione di Poirino. Ma è anche un appassionato testimone della storia locale e una guida disponibile per la scoperta del territorio. È lui che, procedendo per la peschiera del Gallina, lungo la provinciale che da Ceresole tutti percorrono per raggiungere Torino senza passare dall’autostrada, racconta di come la rosa del Nilo è giunta in questa pianeggiante porzione del Roero. “La cascina Gallina fu proprietà di un signorotto locale che si divertiva a fare l’esploratore” dice indicando un torrione neogotico che qualche architetto ha aggiunto al profilo austero di una casa colonica, forse per sottolineare la schiatta del suo illustre tenutario. “Tornando dall’Egitto decise di portarsi dietro un pezzo di quelle terre e di piantare il fior di loto nelle peschiere di sua proprietà”, continua, “ma era sempre in giro per il mondo”. E a bassa voce, come glossando, aggiunge: “U iera pin ed sod”, aveva un sacco di soldi.
Tra le tante avventure che lo videro coinvolto fu però l’Egitto a conquistare Enrico Testa, e la rosa del Nilo a fargli desiderare un angolo dell’antico regno tolemaico nel suo giardino. È così possibile che verso la fine dell‘800 l’esploratore di Moncalieri abbia portato in cascina Gallina i rizomi che ancora oggi, dopo più di un secolo, continuano a fiorire all’interno della peschiera. “Anche io sono stato in Egitto”, rivela Pennazio. E racconta della traversata sul Nilo che ha fatto in compagnia della moglie, a bordo di piccole imbarcazioni: “Il loto cresce come erba sulla superficie dell’acqua. I pescatori passano in mezzo a foreste galleggianti di enormi boccioli rosa che sul far del mattino schiudono i loro petali grandi come una mano”.
La bellezza del loto è anche un mistero “tecnologico”. Il cosiddetto effetto loto è la capacità di questo fiore di restare pulito grazie a microscopici cristalli di cera che rivestono la sua superficie esterna, creando un mantello idrorepellente. Sulle foglie di loto l’acqua scivola via portando con sé sporcizia e insetti indesiderati, una caratteristica oggi studiata avidamente dalle aziende tessili, ma considerata simbolo di purezza in Oriente, tanto che l’induismo e il buddismo lo reputano un fiore sacro.
Una tradizione che ancora oggi sopravvive e si espande. Don Dino Negro, parroco del Duomo di Alba, appassionatissimo di botanica, ogni anno non si lascia sfuggire l’occasione per visitare le peschiere Gallina. Per adornare l’altare di qualche messa estiva o il Tabernacolo, va dalla famiglia Pellissero e coglie alcuni di questi fiori. Resistono poco fuori dal loro ambiente naturale, ma tanto basta perché i parrocchiani restino ammaliati dal loro aspetto esotico. A chi si avvicina lodandone la bellezza, don Dino sorride calorosamente, e a funzione finita racconta del loro segreto custodito fra le rasatà di Ceresole.