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Un assassino meticoloso – di Claudio Dutto

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L’amianto è letale anche per animali e piante

di Claudio Dutto

dutto-amianto-1 “Casale Monferrato è forse la città più controllata e sicura al mondo per quanto riguarda il problema dell’amianto”. Queste parole, pronunciate dal sindaco della città Giorgio Demezzi, possono suonare paradossali a chi ha seguito le vicende collegate al centro piemontese. 
Casale è infatti divenuta celebre nel mondo per l’alto numero di casi di mesotelioma pleurico e asbestosi registrati a causa della presenza in città dello stabilimento Eternit. Qui è stato per decenni lavorato il minerale e sono stati prodotti coperture in fibrocemento e altri derivati contenenti alte percentuali di amianto. “Questo minerale è altamente cancerogeno, spiega Massimo D’Angelo, direttore del Centro Amianto dell’Asl piemontese, e le persone che rischiano di contrarre un tumore o una patologia amianto correlata non sono solo gli operai, ma anche i loro famigliari, che entravano in contatto con gli abiti da lavoro sporchi di polvere d’amianto». Nonostante il polo Eternit sia chiuso da ormai ventisette anni, il numero di vittime per queste malattie non è calato e si prevede che fino al 2020 si continuerà ad aggiornare un lungo elenco di nuovi casi. 
Il 13 febbraio scorso si è celebrato il primo anniversario della sentenza di primo grado che ha condannato a sedici anni di reclusione i vertici della società per omissione di cautele antinfortunistiche sul posto di lavoro e disastro ambientale doloso permanente. Stephan Schmidheiny e Jean Louis De Cartier De Marchienne hanno dovuto rispondere della morte di quasi tremila persone, ma non hanno accettato il giudizio della Corte e per questo sono ricorsi in appello. Il 14 febbraio scorso si è così aperto il processo, dal quale non dovrebbero giungere stravolgimenti eclatanti data la solidità dei capi d’imputazione. O almeno così si augura Bruno Pesce, referente dell’Afeva, associazione famigliari e vittime dell’amianto, che confessa: “Il caso Eternit non ha precedenti nel mondo per la portata della condanna e per il significato che ha assunto. In Francia sono quindici anni che tentano di intentare una causa simile, ma non ci sono ancora riusciti”. 
In uno scenario che ha dunque oltrepassato i confini della sola provincia di Alessandria (il fibrocemento viene ancora oggi impiegato in numerosi stati africani, in Russia e in Brasile), emerge un aspetto non secondario: il problema ambientale. L’Agenzia regionale per l’ambiente (Arpa), attraverso il proprio Centro ambientale amianto, spende infatti larga parte delle proprie forze per individuare i siti dove ancora oggi sono presenti cumuli di detriti di fibrocemento. Gli edifici sono stati infatti quasi totalmente bonificati, ma mancano tutte quelle zone dove venne deposto il cosiddetto “polverino”. 

Si tratta degli scarti di produzione, che la società generosamente regalava ai cittadini affinché li utilizzassero come materiale di riempimento o come isolanti nei sottotetti. “Individuare il polverino non è per nulla semplice, sottolinea Claudio Trova, direttore del Centro ambientale amianto dell’Arpa, perché non esiste una mappa che indichi dove era stato deposto e molto spesso gli antichi proprietari delle case sono deceduti o si sono trasferiti”. La pericolosità di questi materiali per la salute pubblica è pari a qualsiasi altro prodotto contenente amianto. Una volta corrosi, essi liberano microscopiche fibre, fino a milletrecento volte più sottili di un capello, che possono penetrare nelle vie respiratorie e scatenare malattie letali per l’uomo, ma non solo. 
È stato scoperto che cani e gatti esposti a queste sostanze patiscono i nostri stessi problemi e anche le piante non sono da meno. Già nel 1931 venne condotto in Inghilterra uno studio sul cadavere di un terrier che aveva vissuto per oltre dieci anni in uno stabilimento di lavorazione dell’amianto e si scoprì che quel cane presentava nei polmoni una quantità tale di collagene che ne aveva causato la morte per asfissia. A partire dalla seconda metà del secolo, poi, studi analoghi confermarono questa stessa tendenza: esemplari di età superiore ai quindici anni, che per anni avevano vissuto a contatto con la polvere minerale, morivano nel giro di pochi mesi per insufficienza respiratoria. Il problema era dunque diffuso, ma non in maniera omogenea. Alcune razze erano infatti più suscettibili di altre: a maggior rischio erano i maschi di pastore tedesco, setter irlandese e bovaro delle Fiandre. Le patologie riscontrate sui cani sono le stesse che nel tempo vennero scoperte nell’uomo, e che hanno coinvolto migliaia di famiglie a Casale e oltre. Ad accomunare tutti i mammiferi è il fatto che l’amianto penetra nei polmoni e genera reazioni infiammatorie che conducono poi al tumore o all’asbestosi. Anche nelle piante, in fondo, avviene qualcosa di simile.
Le fibre minerali si incuneano all’interno delle cellule vegetali e provocano una serie di scompensi che si possono ripercuotere su tutti gli organi della pianta. Esiste però un filtro naturale che sembra non soffrire della presenza dell’amianto. Si tratta di una serie di licheni in grado di intrappolare le fibre presenti nell’aria, proteggendo l’ecosistema che si sviluppa tutto intorno. A scoprirli sono stati, nel 2006, i ricercatori dell’Università di Torino Sergio Favero-Longo, Consolata Siniscalco e Rosanna Piervittori. Il luogo della scoperta è l’amiantifera di Balangero, in provincia di Torino, dov’è collocata la cava che per decenni ha rifornito lo stabilimento di Casale Monferrato. 
La città simbolo del problema amianto, infatti, non presenta luoghi di estrazione di quelle che in gergo vengono chiamate “pietre verdi”, ma è sempre solo stata la destinazione dei materiali estratti altrove. All’imbocco delle valli di Lanzo, la zona di Balangero è altrettanto a rischio ed è per questo stata classificata come Sin, Sito di Interesse Nazionale. Una serie di decreti legislativi ha stabilito che determinati luoghi (cinquantasette in tutto, sparsi per la penisola) sono contaminati a un livello tale che è necessario un ampio intervento di bonifica per evitate danni ambientali e sanitari ancora maggiori. Anche Casale Monferrato è un Sin. “Qui, aggiunge Claudio Trova, sono necessari ulteriori finanziamenti per continuare il monitoraggio dell’aria e del suolo e per proseguire nell’individuazione dei punti maggiormente inquinati dai derivati dell’amianto”.
In città si cerca di non trattare l’argomento. Parlare dell’Eternit solleva ricordi dolorosi in molte famiglie. Qualcuno ha perso un padre o un fratello, altri una sorella o una nonna per colpa dell’amianto. L’uso sconsiderato di due semplici pietre, l’actinolite e la tremolite, ha provocato e provocherà ancora un numero di decessi e malattie elevatissimo, senza considerare i danni all’ambiente che si protrarranno anche oltre il 2020. “Per poter essere efficaci contro questo problema, conclude Massimo D’Angelo, occorre agire in maniera sinergica, attraverso l’impiego di metodologie validate a livello internazionale”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha a più riprese evidenziato le pericolose conseguenze derivate dall’impiego di lastre e intonaci di fibrocemento, ma, laddove la povertà è ancora troppo diffusa, questi moniti cadono nel vuoto.

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