Enter your email Address

Dead Cat in a Bag – intervista di Nico Ivaldi

0

Il mondo di Luca Andriolo

intervista di Nico Ivaldi

Non passa certo inosservato per la strada, Luca Andriolo, musicista, trentasei anni, alto, magro, sguardo ascetico, tutto di nero vestito, compreso il cappotto, le scarpe a punta e il cappello alla Tom Waits.
Ma io non ho nessuna voglia di passare per l’ubriacone nottambulo” precisa. “La cravatta, per esempio, è solo una questione di stile. I miei sono semplici accidenti estetici
cover-maggio13Sicuro che non è per darti un tono?
Sicurissimo”
Ammetterai che almeno il nome del tuo gruppo ha qualcosa di stravagante: Dead cat in a bag. Perché questa scelta macabra?

Ci siamo ispirati al gatto che Tom Sawyer e Huck Finn vanno una notte a seppellire nel cimitero del loro villaggio. Letteratura a parte, per noi un gatto morto nel sacco è tante cose. È qualcuno di cui avresti dovuto prenderti cura. È uno scheletro nell’armadio. È un fardello che ti porti dietro. È un mistero sul tuo cammino. Ed è anche qualcuno che ami e che non c’è più…”  dice Andriolo con la voce incrinata dalla commozione.
(Quel qualcuno che non c’è più è la sua compagna Federica Genovesi, morta solo pochi giorni prima di questa intervista e ricordata da Andriolo con la sua band e da altri musicisti – uno su tutti: Gian Luca Mondo, nuovamente live dopo una lunga assenza dai palchi – in uno struggente concerto da Giancarlo 2 ai Murazzi)
E comunque io un gatto ce l’ho” dice Andriolo ritrovando una specie di sorriso “per fortuna è vivo, si chiama Ricky ed è uno degli esseri che amo di più al mondo
Come sono nati i Dead cat in a bag?
Qualche anno fa, io e Roberto Abis, in momentaneo stallo dei rispettivi progetti musicali, ci siamo trovati per registrare qualche canzone. Avevamo già suonato nello stesso gruppo. Poi le cose si sono evolute, abbiamo trovato altri compagni di viaggio come il polistrumentista Luca Iorfida, il violinista Andrea Bertola, il trombettista Ivan Bert, Diego Mancanura alla batteria e Antonello Eloise alle tastiere (ora salpati per altri lidi). Ed infine abbiamo arruolato un fisarmonicista che si fa chiamare Scardanelli”.
La musica calda e teatrale dei Dead Cat in a Bag – scrive la critica – è fatta di fumo, polvere e ruggine, di vagabondaggi lungo itinerari che spaziano dalla canzone d’autore francese al country americano, dal tex-mex ai sapori balcanici, dal cabaret mitteleuropeo alle fanfare mediterranee, seguendo geografie immaginarie e suggestioni quasi cinematografiche.

Suonando il banjo, libero tutto un immaginario che non porta certo al centro di Torino” dice Andriolo accendendosi un’altra sigaretta. “Lo so, sono ancora di quelli che fumano sul serio. Sono contrario alle sigarette elettroniche, almeno il fumo devono lasciarmelo analogico
Quando hai capito che la musica era la tua strada? 
Non so se sia la mia strada. So che mi piace fare musica. La musica è gioia. E mi ha aiutato. Potessi tornare indietro, investirei di più sulla mia preparazione, studierei pianoforte da bambino. Ma è andata diversamente. E sta ancora andando, per certi versi. Però posso affermare che i miei compagni d’avventura hanno una preparazione solidissima
E poi c’è il teatro.
Io faccio teatro in virtù della musica. Quando recito, recito. Invece quando canto, vivo. Uno spettacolo teatrale è rappresentazione, uno spettacolo musicale è quanto di più vicino si possa associare a un rituale pagano. Quando canti se piangi, piangi davvero, perché la musica ti porta lontano”
Eppure dicono tu sia molto teatrale quando suoni e canti.

Forse è vero, sono molto teatrale perché sono pienamente al centro di quello che sto facendo: non mi provoco lacrime, non mi provoco la voce in modo piuttosto che in un altro, è tutto autentico. La mia vera ragion d’essere è la disponibilità a farmi capitare quella certa cosa. Insomma, suono non facendo finta di suonare. Però mi è anche capitato di piangere sul serio, durante alcune canzoni, le più tristi ”
Hai lavorato nell’editoria, fatto il traduttore, il critico d’arte, nonché il fotografo (le copertine dei cd dei Dead bag portano la sua firma). 
Con la fotografia ho chiuso. Non sono fatto per le nuove tecnologie. E poi la musica è una moglie esigente e anche un’amante viziata, e quindi non posso praticare una poligamia ancora più estrema
Perché scrivi i testi delle canzoni in inglese?
Perché mi permette di mettere una distanza, oltre che di indossare una maschera con la quale penso di essere ancora più sincero
La lingua italiana non andava bene?
È una cosa che mi hanno chiesto spesso. Ho sempre risposto che ho dei problemi con la mia ‘r’. E che mi viene naturale scegliere non solo le parole secondo la loro musicalità, ma persino la lingua. Di fatto, facciamo una musica che ha solo antenati anglofoni. E il mercato della musica in lingua inglese non è così ristretto in Italia, mentre è vasto nel resto del mondo. Insomma, l’inglese ci fornisce, paradossalmente, una più vasta comprensibilità e una certa coerenza
C’è un animo gitano che trapela dalle vostre canzoni. È un modo per esternare la vostra identità priva di radici o è un semplice omaggio a quella gamma musicale?
Entrambe le cose. In verità sia io che Roberto Abis siamo stati conquistati da Les Musiciens de Lviv, bravissimi musicisti da strada che si esibiscono nel metro di Parigi. Quando li ho visti la prima volta ho percepito quell’insopprimibile senso di nostalgia che la musica folk dell’Est riesce a comunicarti senza che capissi una sola parola della loro lingua, e questo me li ha fatti amare fin da subito. Quel giorno capii che c’era qualcosa che poteva condire la nostra musica e che io definii aceto balcanico
E’ merito  loro se sono nati i Dead cat in a bag?
No, non credo, sarebbero nati ugualmente, ma avremmo fatto cose più vicine al folk americano o addirittura alla country western che è il mio genere preferito se dovessi dirne uno, ma non è il genere musicale che ascolto di più
Era questo che volevi fare da ragazzo?
Potrei fare il personaggio dicendo che sognavo una vita normale, e in realtà il mio sogno è ancora quello. Però con un carattere come il mio non è facile. Mi viene da dire che nella vita io non mi sono mai fatto mancare nulla, mi è sempre mancato tutto spontaneamente
Perché, che carattere hai?
Ce l’ho sempre con qualcuno o con qualcosa, altrimenti non canterei. Se ce l’ho col mondo? Diciamo che la cosa è reciproca. E poi sono rimasto vedovo, più di così il mondo non può avercela con me. E non è neppure la prima disgrazia che mi capita. Non giudico il mio diario personale interessante quanto una mia canzone, che presume e presuppone un percorso di sintesi ben diverso. Ogni volta che canto una canzone per quanto possa essere personale, magari legata anche a fatti ben specifici, ho la presunzione e la speranza di dire qualcosa che possa essere universale, che possa servire a qualcun altro a sentirsi un po’ meno solo. Alcune volte le gioie mancate possono essere peggiori di alcuni ricordi. Tutto questo finisce in ciò che faccio”.
Da dove nasce la tua ispirazione?
Dalla vita vissuta e dalla vita sognata. La vita vissuta è quella che ti obbliga a sognare”.
Tu hai sempre sognato?
Si dice che solo i pazzi non sognino mai. Nella musica però ci sono molti più sogni a occhi aperti.  Pensa a quello che ha fatto Morricone dando musica al vecchio West. La bellezza della musica è anche questa: l’idea di portarti un deserto in casa”
Pensi che con la pancia troppo piena la creatività venga meno, oppure un artista dà il meglio di sé solo quando si trova in condizioni esistenziali difficili?

Da giovani è più facile credere nell’ipotesi romantica che porta a far coincidere l’arte con la vita, ma io credo che la valutazione eccessiva del dolore sia una grossa mistificazione. Si sta meglio quando si sta meglio, e quando si hanno più agi e serenità si riesce anche a impiegare meglio le proprie risorse emotive e mentali. Quindi non è vero che bisogna star male, anzi il troppo star male crea solo dolore e autodistruzione. Magari questo farà bene alle vendite dei dischi o alla necessità di costruire personaggi a tavolino, ma nella realtà dei fatti credo che tutti vogliano essere felici. Anche perché costruirsi un’infelicità ad arte per poter fare gli artisti è abbastanza falso oltre che sciocco
Sei di quelli che prendono appunti sui pezzi di carta e sui tovagliolini dei bar?
Sì, anche se poi puntualmente li perdo. Avrei una produzione enorme se solo fossi più ordinato. Diciamo che è una selezione aleatoria, è il caso che sceglie per me
Quali artisti ti hanno maggiormente influenzato?
Leonard Cohen su tutti. Credo che chiunque abbia preso in mano una chitarra o tentato di scrivere una canzone non possa aver saltato quel confronto fondamentale. Lo ritengo uno dei più grandi poeti viventi in lingua inglese e una delle personalità più importanti del Novecento. Mi ha sempre ispirato tantissimo, mi ha sempre dato conforto oltre che una prospettiva artistica. Dall’altro lato si colloca Jacques Brel, uno di quelli con il cuore in mano che non ha paura di mostrarsi disarmato di fronte a te, con quel lirismo che viene direttamente dal sentimento. Io ho sempre oscillato tra questi due poli, anche se poi musicalmente molti altri hanno influenzato la mia musica
E Bob Dylan?
Lo amo tantissimo ma non è percorribile, non è qualcosa che puoi ricreare. Così come non potresti riscrivere Kerouac, ma solo farne una brutta imitazione.”
Degli italiani chi ti ha ispirato?
Paolo Conte, per esempio. Con De André ho un rapporto di amore e stucchevolezza. Lui è un figlio piccolo di Cohen e Brel. Mi piace il primo De Gregori. E l’ultimo grande amore è per Stefano Rosso, un artista troppo presto dimenticato, autore sì di arrangiamenti non all’altezza e spesso con problemi di sintassi nelle sue canzoni, ma con un cuore enorme e una poetica e un’ironia che me l’hanno fatto riconoscere come una sorta di fratello maggiore. Per me è stato uno dei più importanti cantautori italiani”
Oggi che cosa stai facendo?

Sto lavorando su più progetti nonostante un’industria musicale agonizzante, dove non basta più lavorare nel proprio studio di registrazione e sfornare i manufatti già pronti. Ci sono in mezzo tanti altri passaggi e altre operazioni: la promozione, la diffusione, la distribuzione. Ci sono un sacco di cose che non dipendono solo più da te
I guadagni?
Poca roba. Quando ti va bene spendi un po’ meno di quelli che incassi. Quando va male, spendi di più. Per fortuna lavoro anche nel teatro. Diciamo che quello che investo nel gruppo mi ritorna dagli altri ambiti. Fino ad ora ce l’ho fatta e mi ritengo fortunato a esserci riuscito. Non posso promettere di continuare a farlo
Luca Andriolo, come vedi il tuo futuro di musicista? 
Chi dire, vorrei continuare a suonare quei pochi accordi di banjo che so fare. E tentare di cantare le cose che sento di cantare. Tutto quiPer me il momento non è propizio per grandi progetti

Comments are closed.

Exit mobile version