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Antonello Panero: un silenzio mai visto – intervista di Nico Ivaldi

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Antonello Panero, la sclerosi, Dracula e la necessità del teatro

Intervista di Nico Ivaldi

Raccontare la propria malattia si può, a patto di usare l’ironia e l’intelligenza. 
Antonello Panero, attore torinese malato di sclerosi multipla, ci sta provando con il suo spettacolo Un silenzio mai visto: ogni sclerosi è multipla, che da novembre riporterà in teatro.
cover-ott13  Quando è andato in scena per la prima volta?
Nel 2006, poi lo abbiamo riproposto cambiando qualcosa. In quest’ultima versione i protagonisti sono due malati: il primo, Bond, è interpretato da Luca Armato, bravissimo attore doppiatore; il secondo, Zombie, dal sottoscritto. Bond è alto, elegante e distinto, quello che non dice di avere la malattia, che agisce dietro. È cieco, perché la malattia colpisce spesso la vista. Zombie invece entra in scena muovendosi in modo disarticolato, facendo versi strani”.
Perché proprio uno zombie?

L’idea mi è venuta qualche tempo fa. Quando stai passeggiando in una via isolata e ti viene incontro una persona, qual è la prima cosa che ti spaventa o ti mette in allarme? Il modo in cui cammina. Se cammina in maniera strana, automaticamente sei sul chi va là. Ecco, questa malattia fa camminare in maniera strana. E poi da sempre io amo i film horror e gli zombi; l’idea mi è venuta proprio riguardando il capolavoro di George Romero”.
Quando hai scoperto di essere malato?

Esattamente dieci anni fa. Dapprima ho avuto problemi alla vista: era come se avessi una tendina davanti agli occhi. Non riuscivo più a leggere né a muovermi. Mi trovarono un edema sulla retina. Dopo che la vista era tornata abbastanza normale ho cominciato a perdere la sensibilità e la forza alle gambe. Sentivo solo scariche elettriche dal torace in giù, non percepivo più il caldo e il freddo e nemmeno il dolore, quando sbattevo da qualche parte. Infine, la diagnosi finale”.
Adesso come stai?

La situazione è stabileGrossi peggioramenti delle placche non ce ne sono, ma gli alti e i bassi sono all’ordine del giorno. Sarebbe già molto non rivivere uno dei momenti più brutti della mia vita, quando, talmente gonfio di cortisone a causa di una terapia sbagliata, ebbi un’ischemia in autobus. Lo racconto in teatro e ogni volta è come si riprovassi quel momento”.
Pur malato, riesci lo stesso a recitare?
Per fortuna sì! Nel 2003 sono ancora riuscito a fare Clara di Arthur Miller, nonostante le prime sedute di chemio mi lasciassero debolissimo e nonostante non avessi quasi voce: fortuna che la sala era abbastanza piccola altrimenti non mi avrebbero sentito oltre la quarta fila. Solo nel 2004 non ce l’ho proprio fatta a salire sul palco. Dal 2005 invece non ho fallito un colpo”.
Torinese, cinquant’anni, Antonello Panero deve a una zia l’amore per il teatro.

A quindici anni mi portò al teatro Alfieri di Asti a vedere Due sul pianerottolo, con Macario e Rita Pavone: fu la scoperta di un mondo bellissimo. Tra l’altro ebbi anche la fortuna di conoscerli. Poco dopo cominciai a fare teatro sotto la guida di Giovanni Graglia, che dirigeva una piccola compagnia amatoriale a Selvaggio di Coazze. Nell’81 debuttai con Occùpati di Amelia di Georges Feydeau, dove recitavo in due ruoli. Passavo le mie estati a provare e riprovare gli spettacoli, ogni mese riuscivamo a prepararne due o tre. In quella compagnia ho imparato moltissimo”.
Cosa ti dà la recitazione?

È un modo per raccontare, per conoscere sia me stesso sia gli altri, è una forma di comunicazione molto forte. Dopo l’apprendistato da autodidatta, negli anni seguenti ho cominciato a fare corsi di recitazione e poi a insegnare: ho scoperto che è molto gratificante. Per alcuni miei spettacoli ho ingaggiato debuttanti assoluti, persone che non avevano quasi mai recitato in vita loro. E devo dire che ci ho quasi sempre visto giusto. Nel primo Dracula per esempio, ho arruolato Federico Sacchi, cantante lirico: è stato un Dracula fantastico.”
Stiamo parlando della più classica fra le storie di vampiri, basata sul romanzo di Bram Stoker, che andò in scena nel 1927 a Broadway, con Bela Lugosi grande protagonista. 

Sapevo che Dracula era nato come dramma teatrale nel ’25, ma non ero mai riuscito a leggerlo. Grazie all’interessamento dello studioso Massimo Introvigne, sono entrato in possesso del copione e l’ho tradotto. Credo che noi di Thealtro siamo stati la prima compagnia indipendente italiana a portare in scena quest’opera, che ha sempre un fascino immortale e universale”.
Sei soddisfatto del risultato?

Molto, anche se ho dovuto fare qualche taglio perché c’erano scene troppo lunghe, d’altronde è pur sempre un testo vecchio di ottant’anni. Ho giocato molto sulle caratterizzazioni degli attori”.
Al punto che l’hai impersonato anche tu…

È vero, l’ultima volta nel 2011 ho rischiato il tutto per tutto e il vampiro l’ho fatto io”.
Curiosità draculesche?

Ce ne sono due. La prima è che al Festival della Letteratura di Cuneo ho conosciuto  il pronipote di Stoker, Dacre, che ha scritto il seguito del romanzo: è una persona di una simpatia contagiosa”.
La seconda curiosità?

All’Autunno Nero, il festival dell’horror a Dolceacqua, era tutto pronto per lo spettacolo quando cominciò a piovere di brutto. Visto che il cortile era impraticabile, abbiamo rimontato la scena nell’androne del castello. Senza volerlo si è ricreata un’atmosfera particolare. C’era vento e faceva freddo. Rondini che vagavano in cielo ricordavano i pipistrelli. Addirittura quando il vampiro ha baciato Lucy è rintoccata la campana. Altro che effetti speciali!”
E comunque al pubblico siete piaciuti.

“Decisamente!”
Avete ancora portato in giro Dracula?

“No, da due anni riposa tranquillo nella sua bara, poi si vedrà”.
Nel frattempo, tu che cosa hai fatto?

Ho lasciato Thealtro, che avevo fondato con altre persone, per lavorare da indipendente. La compagnia impegna troppo, per me era diventato troppo faticoso gestire tutto. Però il lavoro non me lo sono mai fatto mancare. Nel 2011 per esempio ho viaggiato alla media di due spettacoli al mese. Da un po’ di tempo faccio cabaret insieme a Giorgio Perona. Ci divertiamo molto a rifare Gaber, i Gufi, Cochi e Renato, Jannacci, Andreasi, tutti i nostri miti in bianco e nero. Ora stiamo preparando La settima moglie, dello stesso Perona, un giallo a tre ispirato a un racconto ambientato in Inghilterra. L’anno scorso con I Teatranti sono stato Prospero nella Tempesta di Shakespeare, cosa che non avrei mai pensato di fare nella mia vita”.
Che lettore sei?

Un lettore onnivoro, non leggo solo teatro e basta. Leggo e rileggo di tutto. Simenon è una delle mie riletture preferite. Lo trovo sempre straordinario. Ha scritto romanzi folgoranti, come Le campane di Bicetre, che racconta la storia di un ricco uomo bloccato a letto a causa di una malattia che lo obbliga a dipendere da chiunque, e cambiare radicalmente la sua visione della vita. Mi ci sono immedesimato. Raccontare il malato dal punto di vista del malato: Simenon è riuscito nell’impresa”.
Panero è anche scrittore: ha pubblicato Quizionario del cinema (1400 quiz originali sulla storia del cinema) e Un giorno mi imbarcai su un cargo battente bandiera panamense, chiacchierata con Carlo Verdone. Nel tuo futuro c’è ancora spazio per lo scrittura?

Chi lo può mai sapere. Certo è che l’esperienza con Verdone mi ha divertito molto e non mi dispiacerebbe ripeterla, magari raccontando di un altro grande artista”.
Com’è nata la collaborazione con l’attore romano?

Attraverso l’editore Gremese, col quale avevo pubblicato il Quizionario. Verdone mi mandò una cassa con tutte le cassette dei film e tutti i copioni, che spulciai avidamente. Poi andai a Roma a casa sua a completare il lavoro: chiacchierammo tre ore e mezza e lui mi raccontò i dietro le quinte e un mare di aneddoti e di curiosità. È stata un’esperienza molto gratificante”.
Com’è stato lavorare con lui?

Carlo è una persona molto cortese e cordiale. La nevrosi di cui lo si accusa è in realtà il segno di un’umiltà profonda e di una grande timidezza. In questo mi ha ricordato Gassman, lo accusavano di presunzione mentre in realtà era timidissimo”.
Ritorniamo a Un silenzio mai visto. Che reazione ha provocato tra gli spettatori in sala?

Di grande commozione soprattutto fra i non malati. Altri mi domandano come si possa raccontare una malattia come la mia. Altri ancora mi ringraziano per avergli fatto capire che cos’è la sclerosi. Ho cercato di raccontare soprattutto i lati ironici della malattia”.
Dove sta l’ironia?

L’ironia sta, per esempio, nel giocare sui nomi degli esami. Ce n’è uno che si chiama i Potenziali Evocati, che ricorda un incantesimo da mago Merlino. Sta nell’accostare la descrizione dei quaranta micro aghi infilati nel cuoio capelluto e collegati a fili che finiscono in uno schermo alla cura Ludovico a cui venne sottoposto Alex, il protagonista di Arancia meccanica. E sta nel raccontare che non è vero che non possiamo più correre o fare altri sforzi perché sul palco all’improvviso ci mettiamo a ballare”.
E un’ironia comune agli altri malati di sclerosi?

Purtroppo no, molti hanno mollato, sono crollati. Per fortuna c’è ancora chi lotta disperatamente e non si arrende”.
E tu?
Io invece lascio che le cose vadano per la loro strada. È un modo di reagire quasi fatalista. È talmente complicata questa malattia, non si sa ancora che cosa la faccia scattare. Si sa solo che il sistema immunitario distrugge le cellule sane anziché quelle buone e causa questi black-out. Quindi in realtà sono io che la scateno, e il grande consiglio che mi ha dato un medico fin dall’inizio è quello di seguire sì tutte le terapie, ma di non andare mai contro la malattia, perché più la si combatte e più lei vince”.
Parli a livello fisico?

Non solo, anche a livello morale . Per ora le cose vanno meglio, ma non posso sapere come sarà fra una settimana, un mese, un anno. Non faccio previsioni a lungo termine, cerco di comportarmi con me stesso nel modo migliore possibile. Per esempio ora non riesco più ad andare a cena con gli attori dopo lo spettacolo. So di non poter reggere più certi ritmi, il giorno dopo sto peggio. È limitante. L’unico vizio che mi concedo è il fumo, lasciatemi almeno quello”.
E il teatro, naturalmente…

Quello non è più un vizio, è una necessità”.

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