Un’immigrata piemontese protagonista delle lotte ruralI nell’Argentina del primo Novecento
di Sofia Vallania
Nella seconda metà del XIX secolo si diffuse in Argentina un modello economico di grandi implicazioni socio-economiche per il Paese, chiamato Modello agro-esportatore. In questo modello prese l’avvio l’attività agricola su larga scala i cui eccedenti d’esportazione fornirono la domanda alimentare e di materie prime d’Europa. Sulla base delle grandi dimensioni delle sue esportazioni, l’Argentina, “il granaio del mondo”, riuscì ad avere un posto di primo piano nell’ordine internazionale, divenendo agli inizi del XX secolo la settima economia globale.
Fino al 1870 l’Argentina si contraddistingueva per il suo vasto territorio scarsamente popolato. L’attività agricola e zootecnica serviva solo a soddisfare il fabbisogno locale. Nelle zone rurali esistevano due ceti sociali ben definiti: da un lato l’aristocrazia possidente, dall’altro una popolazione contadina che sprofondava pesantemente nella povertà.
A tal proposito, il 25 giugno 1912 nella località di Alcorta, provincia di Santa Fe, ebbe luogo uno dei più importanti avvenimenti della storia agraria del Paese: la sommossa rurale chiamata “El grito de Alcorta” (il grido di Alcorta). Questa manifestazione di rivendicazione agraria fu capeggiata da agricoltori immigrati, la maggior parte dei quali piemontesi. I coloni protestavano contro i soprusi che subivano dai proprietari terrieri, i quali imponevano dei contratti usurai sui terreni agricoli in locazione.
Questa importante rivendicazione ebbe conseguenze fondamentali per la storia agraria argentina poiché significò l’irruzione dei chacareros (piccoli imprenditori agricoli) nella politica nazionale del XX secolo, comportando la nascita della Federación Agraria Argentina (Confederazione Argentina Agricoltori) quale primo ente di organizzazione sindacale in questo settore.
Si potrebbe argomentare che elementi della “mentalità piemontese” contribuirono allo sviluppo della rivolta rurale. Non solo i valori e tradizioni apportati dagli immigrati piemontesi, ma anche il ruolo determinante assunto da una donna piemontese, Maria Robotti.
Questa legittima aspirazione di mobilità sociale, che nel futuro condurrà gli immigrati e i loro figli a costituire il ceto medio argentino, li spinse a organizzarsi per modificare le antiche strutture socio-economiche rurali.
Ad Alcorta, nel 1912, i proprietari terrieri stabilirono delle clausole vessatorie sui contratti di locazione rurale: gli affittuari non soltanto dovevano pagare canoni esosi, ma erano anche obbligati ad acquistare provviste e attrezzature dai proprietari e a vendere loro il raccolto a prezzi inferiori a quelli di mercato. Allora un gruppo di coloni agricoltori capeggiati da Francesco Bulzani incominciò a riunirsi per dibattere sulle condizioni di contrattazione che dovevano essere modificate.
Il suo gesto ispirò e spinse gli uomini presenti ad aderire allo sciopero da lei iniziato e da quel momento più di trecento agricoltori locatari decisero di unirsi. La protesta rurale dilagò gradualmente su un territorio di oltre 250.000 chilometri quadrati, coinvolgendo centomila agricoltori.
Il coraggio e l’iniziativa di Maria Robotti innescò il processo di riscatto dei coloni nelle zone rurali argentine. L’eredità lasciata da questa lotta fu la nascita della Federación Agraria Argentina, l’organizzazione sindacale agraria che ancor oggi tutela i piccoli e medi produttori agricoli.
In omaggio al valore e determinazione di questa donna piemontese, il poeta José Pedroni la celebrò nei seguenti versi: “…Finché notte di sudore e terra / sola di solitudine, vuota, / con grembiule di pianto tra i denti, / in un grido desti il giorno.”
Questo articolo ha ricevuto una menzione alla VI edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura, Storia e Ambiente, e l’autrice è dottoranda presso l’Università di Cordoba
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