Dalle emigrazioni del ‘500 all’uso della telecamera
di Viviana Vicario
Quella dello spazzacamino è un’immagine antica, sbiadita dal tempo. Già agli albori della fiaba europea, il fanciullo imbrattato di fuliggine era un personaggio ambito dai migliori racconti di tradizione orale e scritta. Andersen li faceva innamorare di una pastorella, William Blake li rappresentava in tutta la loro innocenza.
Nelle sere d’inverno, prima di andare a dormire, ce li immaginavamo in cima a camini fumanti, sporchi di fuliggine sul viso e troppo poveri per permettersi di vivere un’infanzia serena. Li pensavamo non abbastanza vicini nel tempo per vederli ancora, o addirittura sospesi in un’epoca irreale.
Eppure, il mestiere esiste ancora. Se ci si reca a Santa Maria Maggiore la prima domenica di settembre, se ne possono persino vedere tanti. Al Raduno Internazionale degli Spazzacamini le fiabe diventano realtà. In migliaia, provenienti da tutto il mondo, si radunano una volta l’anno, fra feste e parate, occasioni per conoscersi e condividere la passione per un mestiere antico. C’è persino il “Museo dello Spazzacamino”, inaugurato nel 1983 con una piccola collezione di oggetti e rinnovato nel 2005 con un innovativo percorso sensoriale. È gestito dall’Associazione Nazionale degli Spazzacamini, presieduta da Anita Hofer.
Santa Maria Maggiore trasuda di storia. Qui, i lavoratori dei camini non sono i protagonisti di una triste favola ma i testimoni, antichi e viventi, di una realtà di migrazione, sfruttamento minorile e povertà.
Percorrendo le stradine di questo paese della Valle Vigezzo si respira l’aria che per secoli ha portato via piccoli e grandi abitanti del posto. È infatti dal lontano ‘500, che la Valle fu teatro di un pesante fenomeno di emigrazioni. Storie struggenti, di migranti autoctoni costretti ad abbandonare la terra natia; avvenimenti che si sono protratti per secoli e hanno costretto i vigezzini a cercare lavoro come spazzacamini in Francia, Germania, Austria e, dal ‘700, anche in Olanda. La causa principale fu la scarsità di risorse offerte dal territorio.
Nell’Ottocento si sviluppò anche un altro fenomeno, distinto dal precedente. Non si trattò più di emigrazione, ma di sfruttamento del lavoro minorile. Furono gli anni in cui si costruirono i camini in pietra che da sempre caratterizzano i paesi della Valle. Gli spazzacamini anziani, rusca in dialetto locale, giravano di casa in casa a reclutare i bambini più poveri, quelli che non potevano essere mantenuti dalla famiglia e venivano mandati a lavorare. La fuliggine che i bambini rimuovevano a mano dai camini era venduta dai padroni come concime per la terra. Avevano tutti all’incirca tra i sei e i sette anni.
La storia la raccontano bene i fratelli Milani, spazzacamini da tre generazioni. Questi hanno vissuto sulla propria pelle le difficoltà, lo sfruttamento ma anche il lento progresso che ha attraversato il mestiere.
Sono originari della Valle Cannobina, coinvolta nello stesso fenomeno avvenuto in Valle Vigezzo.
Oggi Livio, Manuela e Bruno gestiscono insieme una ditta di spazzacamini che ha sede a Casale Corte Cerro, in provincia di Verbania.
Il loro destino è stato segnato dal nonno Luigi Milani, classe 1901, il primo della famiglia a iniziare il mestiere. Aveva circa sei anni quando fu affidato a un padrone con cui lavorava nella stagione invernale.
Erano anni duri. I piccoli spazzacamini partivano a piedi per raggiungere il posto di lavoro, che spesso si trovava nella zona lombarda. Sopportavano la neve e il gelo. Molto spesso dormivano nei fienili e non sempre ricevevano un pasto caldo. Non è difficile immaginare Luigi Milani raccontare ai nipoti i ricordi d’inverni passati a Pavia, dell’odore di fuliggine acuito dal freddo e di quei camini, così bui e stretti in cui era costretto ad arrampicarsi dal padrone, che gli attizzava il fuoco da sotto.
Difficoltà, fatiche e sconforto erano all’ordine del giorno. I bambini di allora vivevano sulla propria pelle quello che le favole avrebbero raccontato negli anni seguenti. Subivano umiliazioni dai loro padroni, che li spingevano con ginocchia e schiena su dalla canna fumaria. Una volta giunti in cima al camino, dovevano tirare fuori il braccio e urlare “Spazzacamino!”.Solo così il padrone sapeva che erano arrivati.
Intervenne poi la Chiesa, che obbligò i padroni a fornire un pasto caldo ai bambini. Il sacerdote Don Achille Ratti, divenuto poi papa Pio XI, si occupò dei piccoli spazzacamini. Mise in atto una disposizione secondo cui per lavorare dovessero avere almeno 14 anni. Fu l’inizio della fine. Da quel momento in poi, trovare bambini da schiavizzare fu sempre più difficile. Le limitazioni imposte dalla Chiesa ridussero pian piano lo sfruttamento.
Fu negli anni seguenti che Franco Milani, padre dei tre fratelli, iniziò il mestiere. Nacque nel 1929, e a solo otto anni partì dalla Valle Cannobina. Iniziò con l’andare a piedi, poi in bicicletta, in moto e infine in auto. Franco ha vissuto solo la fine di un lungo periodo di sfruttamento iniziato nel secolo precedente. Lavorava nelle stesse zone del padre, ma fu testimone vivente del progresso durato una quarantina d’anni. Lo stesso progresso che ora i figli vivono direttamente, ringraziando di non essere vissuti negli anni in cui il nonno faceva il loro stesso mestiere.
“Nostro padre ci raccontò un aneddoto che ci fece capire le difficoltà del mestiere di allora. Erano le otto di mattina e il panettiere presso il quale lavorava aveva appena finito il turno di notte. Il camino era molto caldo, ma lui provò lo stesso a salire. Il padrone gli intimò di salire più in fretta. A metà del camino trovò una strozzatura che gli impedì di proseguire. Non ebbe scelta. Scappò con tutta la forza che aveva nelle gambe”.
Negli anni Trenta del Novecento, essere uno spazzacamino significava ancora sottostare alle pesanti regole dettate dai padroni ai piccoli lavoratori. Questi racconti di certo non scoraggiarono i fratelli Milani, che decisero presto di seguire le orme familiari.
Da piccoli ascoltavano i racconti del padre Franco, che per diversi anni è stato presidente dell’Associazione Nazionale Spazzacamini. Era conosciuto e stimato in tutto il mondo. La sua figura fu determinante nella scelta lavorativa dei fratelli Milani. Persino la sorella Manuela, stanca di essere una maestra d’asilo precaria, ha deciso di seguire i fratelli e buttarsi in un mestiere non proprio femminile, ma non per questo privo di gratificazioni, secondo le sue parole. “La cosa più affascinante del nostro lavoro, spiega, sono gli interni che scopriamo andando di casa in casa. Ci sono camini antichi, altri tradizionali, altri ancora più innovativi. È un modo alternativo per viaggiare”.
Anche se il progresso ha cambiato alcune normative sul mestiere, il lavoro è sempre lo stesso.
“Gli attrezzi che usiamo, li produciamo noi e sono identici a quelli di una volta. Ci sono la raspa, lo scopino, il riccio, la squareta, la caparuza, e il sacco per la fuliggine. Con il tempo se n’è aggiunto qualcuno, come l’aspirapolvere e la telecamera per i lavori più ostici. Per i camini in acciaio si usano invece spazzole di nylon”.
Sospeso fra favola e realtà, fra antichità e progresso, lo spazzacamino è il simbolo della storia della Valle Vigezzo. Rivive il suo passato durante il raduno internazionale; arricchisce la storia nel Museo di Santa Maria Maggiore; e acquisisce un nuovo progresso, incentivato dalla passione di chi, ogni giorno, lo pratica ancora.
Questo articolo ha vinto l’ottava edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura e Turismo.