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Collombardo – di Gabriella Bernardi

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Natura, storia e bellezza a due passi da Torino

di Gabriella Bernardi e Amedeo Bernardi

Quando le giornate iniziano ad allungarsi il pensiero vola alle gite fuori porta, e chi direbbe che a soli 33 chilometri in linea d’aria da Torino si trova un ampio pianoro erboso ad alta quota? Lontano dalla caotica vita cittadina, a millenovecento metri di altezza, si può respirare aria pura e vedere un panorama di una bellezza particolare.
Questo luogo incontaminato esiste veramente e porta il nome di Pian del Collombardo (o Colombardo). Proprio con questa denominazione lo si ritrova già nel 1866 sulla tavola censuaria dei Comuni di Lemie e di Condove e per raggiungerlo si può scegliere fra due percorsi. Il primo è quello che parte dalle valli di Lanzo: una volta raggiunta Viù e superata la frazione Forno di Lemie, in fondo al rettilineo si deve svoltare a sinistra e percorsi i dieci chilometri della strada comunale si giunge finalmente al pianoro. Il bello di questo itinerario è che si snoda tra fitti boschi di castani, roveri, betulle e faggi, una vera oasi di benessere per occhi e polmoni; e una volta superata la morena frontale si arriva in Valle Orsiera, il cui nome deriva dall’esser stata riserva di caccia agli orsi dei duchi di Savoia fino al 1703. L’ultimo orso fu abbattuto secoli dopo, oggi crescono ancora i ciliegi selvatici i cui frutti aromatici venivano utilizzati per il liquore Ratafià.
Il secondo percorso è quello che dalla bassa Val di Susa prosegue per Condove; superata Mocchie si svolta a destra, da dove parte una carreggiata montana per la frazione Rocca; arrivati al colle degli Astesiani si prosegue per la Tomba di Matolda e il Colombardino, e infine si raggiunge il Collombardo. Entrambe le vie nel tratto finale sono sterrate e a volte dissestate, meglio andarci in fuoristrada. Meglio ancora, con un buon paio di scarponi. O in mountain bike, datosi che il Collombardo è inserito in un itinerario fra i più spettacolari e impegnativi per gli appassionati praticanti.
Il secondo percorso si affaccia, proprio come un balcone, verso la Valle di Susa: si vedono pascoli e lunghe baite per il ricovero del bestiame, e qua e là le mandrie punteggiano il paesaggio. Guardando giù verso la Valle del Sessi vediamo il monte Pirchiriano, inconfondibile perché sulla sua vetta si erge la Sacra di San Michele; in lontananza si scorgono i laghi di Avigliana.
L’ampio pianoro è coperto da un soffice manto erboso, che in tarda primavera è pieno di primule, viole, mughetti, ciclamini, genzianelle, campanule, arniche e rododendri ferruginei, e sembra un giardino.
Ad est il pianoro è limitato da una costa rocciosa che raggiunge i 2302 metri con il Monte Civrari, che deriva dal dialetto locale e può essere tradotto con il monte delle capre; a sud ovest dalla valle dove scorre il torrente Sessi che raggiunge il paese di Caprie, ed ad ovest dal Colombardino, dove termina il cocuzzolo del monte Grifone con la Tomba di Matolda. Il toponimo deriva da Math, che significa “grande” e Holda, il nome della ninfa germanica dei laghi e delle sorgenti; è un’ulteriore testimonianza della presenza di Burgundi e Longobardi da qui fino al fondovalle tra Caprie e Sant’Ambrogio. Il libro della storia dei Papi accenna a doppie Chiuse presenti sin dal 584, quando il re dei Burgundi, Gontranno, scacciò i Longobardi portando il confine sulla seconda strettoia all’inizio della Valle di Susa. In contrapposizione, i Longobardi crearono le loro contro-Chiuse a Ad Fines, che caddero nel 773 sotto l’urto dei Franchi di Carlo Magno.
A nord l’altopiano termina con una depressione, dove una fontana offre un’acqua purissima sullo sfondo dei grandi monti delle Valli di Lanzo e oltre, sino ai massicci del Gran Paradiso e del Monte Rosa.
L’unico contributo umano è un santuario dedicato a Santa Maria degli Angeli, attorniato da un porticato con parecchi locali usati un tempo come rifugio per alpinisti, ricercatori botanici e cacciatori. Sulla facciata una targa ricorda che “Giovan Battista Giorgis del Forno di Lemie erigeva per voto 1704-5, l’indefessa generosità dei parrocchiani di Lajetto ampliando riedificava 1869-70”.
La Festa del Santuario, che si celebra la prima domenica di agosto, in passato fu causa di gravi liti e risse fra gli abitanti di Lemie e di Mocchie che si contendevano la proprietà del santuario, ma soprattutto dei ricchi pascoli che l’attorniano. Le contese iniziarono nel 1733 e culminarono il 2 Agosto 1837, quando una quarantina di giovani lemiesi s’inerpicarono sulla mulattiera, armati di schioppo. Dalla testimonianza del chierico Giuseppe Vinassa: “vi furono parecchi scherzi pesanti” che degenerarono nello scorrimento di sangue del mocchiese Giovanni Battista Garnero. In seguito, per opera del capitano dei carabinieri Corsi si giunse ad un vero e proprio trattato di pace, firmato sul colle dalle parti e seguito da un banchetto.
Oggi questo altopiano, intatto dal punto di vista ambientale, meriterebbe di essere tutelato, magari regolamentando l’accesso per salvaguardare la bellezza naturale dei pascoli, della flora e della fauna, in particolare le marmotte. E, pensando al nome di un monte vicino, perché non pensare alla reintroduzione del grifone? Si tratta del più grande rapace in via di estinzione, fra queste valli troverebbe il suo habitat naturale, e considerando le sue abitudini alimentari non sarebbe di certo un pericolo, anzi!

 

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