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Pony Zero – di Federica Vivarelli

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Pony Zero, il recapito diventa bio

di Federica Vivarelli

Si parla tanto di green economy,  ma se ne vede poca: si ammirano le idee con i rifiuti in Francia, le sperimentazioni futuristiche del turismo tedesco. E si sospira al pensiero che fuori Italia ci sia sempre spazio per un’attenzione al verde che qui è un colore ancora poco di moda.
Eppure basterebbe poco. Come prendere il servizio postale, metterlo in sella a una bicicletta nel centro di Torino et voilà. Di una semplicità sconcertante.
L’idea è realtà nel capoluogo piemontese da oltre un anno, e abita in via Po 52 con il nome “Pony Zero”. Dove lo zero sta per il numero di emissioni di gas, di biossido di carbonio, di traffico. E anche di costi: nessun furgone, benzina, Ztl o multa. Tutto inizia quando due amici cicloappassionati decidono di tentare con un’idea che frulla nelle loro teste già da un po’: consegne di pacchi e di lettere. Da farsi esclusivamente in bicicletta.
A decidere di lasciare tutto e mettersi in sella sono Marco Actis, all’epoca insegnante, e Davide Fuggetta, impegnato nel settore trasporti. “All’inizio erano solo in due ad occuparsi delle distribuzioni, con una piccola sede in corso Francia. Un giorno mi rivolgo anche io a loro per una consegna urgente”, racconta sorridendo Alessandro Mohammadi.“Ricordo che subito chiesi se fosse legale, perché si presentò Davide, che ha una corporatura alquanto robusta, e mi assicurò che in dieci minuti sarebbe stato di ritorno. La consegna da farsi era da Torino centro a Moncalieri”. Così nel giugno 2013 si aggiunge anche Alessandro come socio e Pony Zero diventa srl: “Nello specifico io mi occupo di marketing, aggiunge Mohammadi, e abbiamo incontrato degli investitori che hanno creduto in noi, e che hanno dato benzina ai nostri sogni”.
Il sogno diventa realtà. E la realtà diventa bio, oltre che puntuale. Si aggiunge poi il sostegno dell’incubatore di impresa dell’Università di Torino, e nomi di grandi clienti che iniziano ad avvalersi del pony a due ruote: Reale Mutua, Adecco, Scuola Holden, giusto per fare qualche nome. Anche i partner sono altisonanti: ToBike, Bikepride, “senza dimenticare avvocati e commercialisti che devono muovere molta corrispondenza certificata nel centro città”, aggiunge il socio.
Inizia così un viaggio al centro dell’azienda che muove l’economia torinese con un colpo di pedale. Tutto parte da un bilocale di un vecchio piano alloggiato nel pieno centro di Torino: ecco cos’è oggi Pony Zero. La stretta scala è un viavai di giovani con il casco in testa, bici a due ruote, bici con carretti traino agganciati davanti per i pacchi più grossi, diversi strati di abbigliamento per combattere il clima invernale. Ed è il centro di smistamento della corrispondenza (“riceviamo anche telefonate, ma perlopiù si tratta di prenotazioni online”, sottolinea Mohammadi). Dei tre soci, Alessandro – classe 1988 – è il maggiore. In tutto trenta i dipendenti, di età tra i venti  i trentacinque anni. È l’esercito dei bike messenge, i corrieri in bicicletta che non temono vento, neve e freddo. Spesso sono studenti che fanno questo mestiere per arrotondare, e perché continuano così la loro passione da cicloamatori: “L’azienda mette a disposizione dei mezzi, ma molti di loro preferiscono usare il proprio bolide”, sottolinea il terzo socio. “Nessuna discriminazione nemmeno sul genere. Ci sono indistintamente sia uomini che donne, con nessuna differenza sulle capacità nei tempi di consegna, anzi”. In quella che sembra essere un’oasi dell’eterna giovinezza: giovani i capi, giovani i lavoratori.
I bike messenger sono divisi per aree territoriali a seconda della rispettiva residenza, e ricevono attraverso una segnalazione via app il luogo del ritiro del pacco postale: “Presto renderemo questa applicazione scaricabile anche per i clienti, aggiunge Alessandro, in modo da tenere d’occhio la spedizione in diretta. Così da un telefonino si potrà seguire dov’è il proprio pacco”. Gli ostacoli per queste staffette non sono mandrie di bufali o indiani arrabbiati, ma automobilisti e traffico – e non pare facile stilare una classifica del pericolo per i messaggeri di ieri e di oggi.
Poi i costi. Un servizio postale in bicicletta sembra sostenibile sia per l’ambiente che per il portafogli: si parte con meno di sessanta centesimi per una lettera semplice con posta prioritaria.
Così dalla green economy alla bikenomics il passo è breve, quel sistema dove pedalare significa soldi. E a Torino è bastata un’idea semplice di un gruppo che non raggiunge gli ottant’anni in tre per dimostrare che costruire un business basato sulla bicicletta è davvero possibile. Senza dimenticare di costruire anche un primato sempre sulla due ruote: nel novembre 2014 il bike messenger ventisettenne Valerio Giordano “credo abbia realizzato la spedizione più lunga con un viaggio in bicicletta lungo sette mesi, destinazione Dublino. In realtà dietro c’era una sua esigenza personale di viaggio e noi ne abbiamo approfittato per portare il marchio Pony Zero a Marbella, a Lisbona, a Bilbao, a Dublino”, sottolinea Alessandro. Insomma, la consegna in bicicletta è uno stile di lavoro, ma anche una scelta di vita.
Il sistema Pony Zero è già stato richiesto in altre città, a partire da Milano e da Como: “Al momento stiamo allargando i nostri orizzonti, ancora non sappiamo in che formula,aggiunge Alessandro, se con una nuova sede decentrata o come franchising. Ci sono già diversi ragazzi che vorrebbero aprire una nostra filiale in diversi punti d’Italia”.
In realtà la storia dei bike messenger inizia a New York quasi cinquant’anni fa, poi la “bike revolution” nel servizio postale contagiò anche Berlino con un’espansione recente anche in Italia, da Bari a Padova. Anche Torino sta recuperando il tempo perso, anche se Pony Zero è al momento unico nel suo genere. Non a caso l’ultimo rapporto di Green Italy stilato da Unioncamere e fondazione Symbola parla chiaro: il capoluogo piemontese è al terzo posto in Italia per aziende che si muovono a energia verde, con oltre undicimila imprese. Dimostrando che le soluzioni alternative al rispetto dell’ambiente producono lavoro.
Anche se la legge italiana non sembra al passo con i tempi: “È molto difficile trovare soluzioni. Ci sono momenti dove noi soci non arriviamo a prendere che quattro euro l’ora pur di sostenere l’azienda e i dipendenti, conclude Alessandro Mohammad, e anche in quei casi, lavoriamo con spirito e ottimismo perché sappiamo di portare avanti un ideale oltre che posti di lavoro. Ed è questa la strada del futuro: la condivisione, dalla macchina alla bicicletta”. D’altronde l’ambiente il conto lo porta a tutti, senza alcuna esclusione.   

Questo articolo ha conseguito il secondo premio all’ottava edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Enogastronomia, Economia, Ambiente

 

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