LE RICETTE DEL GASTRONOMADE
L’ultimo libro di Chef Kumalè
Lucilla Cremoni
“Troppo spesso i nostri pregiudizi ci impongono di assumere come assolute delle certezze inutili. Le nostre conoscenze in materia di cucine “altre” sono ancora a uno stato embrionale perché noi possiamo esprimerci in modo adeguato”. Lo scrive Vttorio Castellani alias Chef Kumalè nell’introduzione del suo ultimo libro Nuvole di drago e granelli di cous cous. Ricette facili di un gastronomade senza frontiere, recentemente pubblicato da Vallardi.
I pregiudizi, spesso alimentati dalla frequentazione di ristoranti etnici nostrani che stanno alla cucina che dicono di rappresentare come le infami “fetuchini Alfredo” ai tajarìn col tartufo, non si applicano solo alle cucine di Paesi lontanissimi come India o Cina, ma anche ai vicini di casa come la Francia, ancora troppo spesso identificata con pappette pannose e soup d’oignons, o il Medio Oriente mediterraneo, che molti considerano un universo indifferenziato di hummus e kebab.
In fondo, è la solita, vecchia distinzione fra turisti e viaggiatori. Il turista è impermeabile, potrà percorrere in lungo e in largo continenti e oceani ma tornerà a casa sempre uguale a se stesso; dopo aver passato qualche giorno a New York monterà in cattedra a raccontarci che l’America è così o cosà per concludere col sempreverde “certo che come si mangia in Italia non si mangia da nessuna parte”.
Il viaggiatore è quello che non sentenzia, perché per luoghi, usi e costumi prova una genuina curiosità non sentendoli come altro da sé ma come prodotto dell’ingegno e della fantasia di suoi pari e simili con abitudini diverse ma sempre interessanti. Quindi, alla fatidica domanda “Qual è la miglior cucina, il miglior piatto del mondo?” uno come Castellani/Kumalè ammette di non saper rispondere. Forse, e giustamente, la cosa non gli pare nemmeno importante perché “chi risponde con sicurezza, senza esitazioni a questa domanda lo fa senza riflettere, o forse non ha avuto la fortuna e la possibilità di conoscere altre cucine… Com’è possibile rispondere a un simile quesito senza ribadire che non esiste in assoluto la migliore cucina del mondo? O almeno io non l’ho ancora trovata”.
Inoltre, come si può parlare di cucina nazionale quando è chiaro a tutti che nessun Paese, soprattutto quelli che hanno una geografia e una storia particolarmente variegate, ha una cucina, ma almeno tante cucine quante regioni, per non parlare delle varianti locali o addirittura di clan, che vedono più o meno ogni famiglia convinta di custodire la “vera ricetta” del baccalà alla vicentina o del coniglio al civet. A proposito, esiste il “vero modo” di fare le cose, oppure si tratta più che altro di abitudine? In altre parole, siamo certi che i nostri antenati cucinassero certi piatti in un certo modo per scelta etica ed estetica o non, piuttosto, perché non c’erano alternative?
Senza dimenticare, soprattutto, che la tradizione è nata dall’imbastardimento, dal contatto e commistione fra elementi diversi. Chi inneggia alla polenta come cibo “nostro” da contrapporre al “forestiero” cous cous dimentica che la prima è, di fatto, un cibo molto più “extracomunitario” del secondo, visto che il mais è arrivato in Europa solo una manciatina di secoli fa, mentre il grano duro da cui deriva la semola è conosciuto e usato da millenni in area mediterranea. Il che porta il discorso sulla provenienza degli alimenti, quello che Kumalè definisce “Chilometraggio illimitato vs. chilometri zero”: proprio come col passare del tempo prodotti orientali o provenienti dalle Americhe (dal riso al mais, dal tacchino alle patate) sono diventati tradizione in Occidente, così oggi si sta affermando la coltivazione, nelle nostre campagne e (si spera) con tutti i crismi e i controlli previsti dalle nostre leggi, di ortaggi e cereali tipici di altre culture gastronomiche – dal riso per sushi a verdure usate nella cucina cinese eccetera. Ed è certo che col tempo anche questi prodotti interagiranno con la nostra cucina, come peraltro sta già avvenendo con il crescente utilizzo di ottima carne piemontese per fare hamburger o kebab (nessuna scoperta clamorosa, qui: da molti anni faccio un curry strepitoso unendo l’ottimo agnellone nostrano a quanto imparato a Londra da coinquilini asiatici di gran talento culinario).
Incidentalmente ma non troppo, di quale cucina stiamo parlando? Di quella rappresentata dai ristoranti prestigiosi e dagli chef pluristellati, o di quella casalinga? Su questo punto Kumalè non sembra nutrire molti dubbi: pur rendendo il debito rispetto e omaggio all’alta professionalità e all’eccellenza dell’insegnamento ricevuto da scuole esclusive e chef di genio, precisa che “le cose più importanti di questa mia passione non me le ha insegnate nessuno star chef bensì le donne di casa, a partire da mia madre e dalle mie zie cuoche fino alle donne immigrate nelle nostre città e coinvolte nei corsi di formazione o showcooking che ho organizzato nel corso del tempo”.
È questo tipo di approccio che il libro rappresenta. Le duecento ricette sono suddivise per area geografica: Europa mediterranea (Francia, Spagna, Grecia); Maghreb (Marocco, Tunisia); Africa (Senegal, Mauritius, Corno d’Africa); Turchia e Medio Oriente (Egitto, Libano, Turchia, Iran); India; Oriente (Cina, Giappone, Corea); Sud-est asiatico (Thailandia, Vietnam, Indonesia); Australia; Sudamerica (Perù, Argentina, Brasile); Caraibi (Guadalupa, Giamaica); Mesoamerica (Messico, Louisiana); Europa settentrionale (Irlanda, Svezia); Europa centro-orientale (Russia, Romania). E ogni sezione ha una sintetica ed efficace introduzione che rende bene lo spirito della cucina di cui si parla, e magari bacchetta qualche luogo comune.
Le ricette proposte sono semplici e realizzabili da chiunque sia dotato di un minimo di confidenza con pentole e fornelli e abbia gli ingredienti giusti o sappia dove procurarseli. Per questo, in fondo al libro si trovano un utilissimo glossario e altrettanto preziose indicazioni su dove trovare prodotti e spezie: drogherie, negozi etnici generici o specializzati, mercati in cui trovare i prodotti “a chilometri illimitati”, indicazioni di siti per acquisti online; e per concludere un po’ di autopromozione, peraltro sacrosanta visto che da parecchi anni il sito www.ilgastronomade.com è pioniere e punto di riferimento per curiosi e appassionati di cucina e di cucine.
Un’ultima precisazione. Nel caso qualcuno si domandasse quanto le ricette proposte siano fedeli a una qualche filologia culinaria dei rispettivi luoghi d’origine, l’autore per primo si dice certo di deludere chiunque pensi di trovare nel libro “la vera ricetta” di questo o quello. Ma chissenefrega: la pratica culinaria non è “una sequenza di dettami fatta di segreti e disciplinari ma una semplice forma di espressione del sé e di appagante gratificazione, da realizzare preferibilmente in compagnia”. “Ciò che importa”, conclude Kumalè, è “sviluppare un’attitudine curiosa verso l’universo cibo”.
Vittorio Castellani alias Chef Kumalè, Nuvole di drago e granelli di cous cous. Ricette facili di un gastronomade senza frontiere. Antonio Vallardi Editore 2011, 320 pagine, € 14,90.