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C’era una volta la città dei matti – di Sara Tricarico

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La Certosa Reale di Collegno

di Sara Tricarico


Certosa di CollegnoSono passati quasi quarant’anni dal 13 maggio 1978. La legge che veniva messa in vigore quell’anno era la 180, da molti anche conosciuta come “Legge Basaglia”. Franco Basaglia, psichiatra veneziano, nonché vero promotore della riforma psichiatrica italiana, è rimasto nella storia per aver rivoluzionato totalmente i trattamenti di cura battendosi per restituire dignità a coloro che venivano definiti “matti”.

Gli ci sono voluti anni di dura lotta contro le istituzioni per riuscire a sradicare pratiche che perduravano da decenni nelle strutture: le camicie di forza, i letti di contenzione e l’elettroshock erano trattamenti quotidianamente usati all’interno dei manicomi e gli unici ritenuti idonei a placare i disturbi psichiatrici.
Non vi era alcuna finalità di cura, né di riabilitazione. I manicomi non erano nati con quell’intento, ma con l’obiettivo di allontanare e nascondere il diverso dalla società, per salvaguardarla; quest’ultimo era solo un reietto, un essere non degno di vivere una vita.

Gli effetti del manicomio sulle persone sono stati devastanti e hanno lasciato cicatrici profonde; la violenza che ha fatto più male è stata quella che oggi viene definita
violenza strutturale, cioè quella data dalla quotidiana disfunzione delle istituzioni. Non sarebbe stata infatti solo la patologia congenita, quanto la violenza esercitata da queste strutture e le pratiche utilizzate a portare la persona a sviluppare comportamenti definiti folli.
Solo nel 1978 si pose fine a questa situazione. La Legge Basaglia venne approvata dal Parlamento e con essa venne decretata la chiusura dei manicomi, portando l’Italia all’avanguardia nella conoscenza di nuove pratiche per la cura delle malattie psichiatriche.

Con la rivoluzione basagliana cambiarono totalmente i trattamenti, vennero eliminate le pratiche violente e coercitive. L’obiettivo fu quello di restituire dignità alle persone che soffrivano, attraverso la riabilitazione delle capacità personali e interventi mirati all’incremento del loro benessere fisico e psicologico.
Uno dei luoghi fulcro di questa rivoluzione si trova ancora oggi a Collegno, piccola cittadina in provincia di Torino. Lo storico Manicomio di Collegno si colloca infatti nel centro della città, nella struttura della Certosa Reale, costruita nel 1641. Fu Cristina di Francia, moglie di Vittorio Amedeo I di Savoia, a desiderarne la costruzione. Sembrerebbe infatti che, dopo essersi recata in Francia per incontrare il fratello, Re Luigi XIII, avesse promesso di far erigere a Torino una certosa simile alla Grande Chartreuse di Grenoble, casa madre dell’Ordine dei Certosini, per poterla donare ai monaci.
Ad occuparsi della realizzazione della struttura fu in un primo momento Maurizio Valperga, allora primo Ingeniere del Monarca, e successivamente Filippo Juvarra.
Quest’ultimo continuò infatti il lavoro dedicandosi all’ampliamento della Certosa costruendo la porta, l’atrio, la cappella, il chiostro e un ampio complesso di padiglioni.
Furono questi nuovi ampliamenti a conferire alla Certosa Reale di Collegno sempre più l’aspetto di un ospedale, tanto da far nascere l’idea di spostare i pazienti del Manicomio Regio di Torino, allora sovraffollato, nei nuovi spazi costruiti. Il cambiamento avvenne nel 1852 anno in cui tutte le persone che allora vivevano nel manicomio di Torino furono trasferite nella Certosa di Collegno.

Essendo nata come donazione da parte di Cristina di Francia ai Certosini, ed essendo ancora residenza di questi ultimi, la convivenza tra i monaci e i pazienti si rivelò piuttosto difficile. Per questo nel 1853 Urbano Rattazzi, allora Ministro di Grazia e Giustizia del Governo Cavour, prese la decisione di destinare la Certosa Reale di Collegno esclusivamente al Manicomio.
Da quel momento centinaia di persone vennero ricoverate e passarono parte della loro vita all’interno delle mura e nel mentre continuarono sempre più gli ampliamenti delgli spazi. A metà del 1900 fu addirittura necesario costruire una piccola linea ferroviaria all’interno della struttura con lo scopo di collegare i venti padiglioni che componevano il complesso.
Si ha inoltre testimonianza che fin dal 1854, sotto la direzione del Dottor Porporati, si incominciarono ad attribuire impieghi all’interno della Certosa alle persone ricoverate: le donne lavoravano nella lavanderia della struttura, mentre gli uomini si occupavano della coltivazione dei terreni.
Nei successivi cento anni il territorio della Certosa Reale diventò una vera e propria azienda agricola con cascine, orti, falegnameria e allevamento del bestiame tanto da rendere Collegno una cittadella autonoma grazie alla manodopera dei pazienti ricoverati.

Questo ampliamento continuò fino al 1978 quando, con l’introduzione della Legge 180, venne sancita la chiusura di tutte le strutture manicomiali. In quello stesso anno vennero abbattute le mura che separavano la Certosa dal resto della città.
Nel piano socio-sanitario del 1982-83 il Piemonte mise in atto provvedimenti che portarono ad un sostanziale cambiamento della struttura, ma nonostante ciò fu solo nel 1993 che vennero soppressi gli ultimi quattro reparti dell’ospedale psichiatrico. L’ultimo passo verso la chiusura totale avvenne nel 1997 con il decreto Garavaglia: stabiliva che non ci sarebbe più dovuta essere traccia dei vecchi reparti affinchè la struttura potesse essere utilizzata come spazio pubblico.

Dopo la chiusura definitiva il progetto della Regione Piemonte e dell’Amministrazione Comunale di Collegno è stato quello di non abbandonare questo luogo della memoria, ma di rendelo cuore pulsante della città.
Il recupero e la riqualificazione del complesso della Certosa Reale si inseriscono oggi in un piano denominato “Il centro allargato”: la struttura si pone infatti come elemento di connessione tra la zona contemporanea di Collegno e il centro storico. La proposta dà forma all’obiettivo di riappropriarsi di questi luoghi attraverso ipotesi volte a valorizzare il patrimonio architettonico, ambientale e storico della Certosa al fine di renderlo uno spazio pubblico usufruibile da tutti gli abitanti. Alcuni padiglioni sono diventati uffici comunali, altri spazi destinati all’ASL.

La valorizzazione principale è stata riservata al Parco della Certosa Reale che con i suoi quattrocentomila metri quadri di verde e i viali alberati si offre per ospitare strutture ed attività risocializzanti e culturali durante tutto l’anno. Mensilmente vengono ospitati artisti di ogni genere e centinaia di persone confluiscono nel parco per assistere agli spettacoli.
La Certosa Reale continua ad essere il cuore di Collegno, portandosi dietro tutta la memoria storica che le appartiene, ma prestandosi al rinnovo che le spetta.

Questo articolo ha ricevuto una menzione alla IX edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura

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