i rifugi antiaerei delle Valli Chisone e Germanasca e i loro custodi
Interviste di Nico Ivaldi
Ricorda benissimo quando, bambino, si rincorreva con altri coetanei lungo quei cunicoli di cemento armato che dovevano proteggerli dalle bombe assassine.
Negli occhi degli adulti che si precipitavano nei rifugi antiaerei si leggeva il terrore, ma per i loro piccoli figli era solo un gioco. Provare a divertirsi mentre la guerra presenta il conto: forse soltanto così c’era la possibilità di sopravvivere.
Italo Bernardi, settantotto anni, uomo massiccio di poche ma misurate parole, era uno di quei bambini. Durante la guerra abitava nelle “case venete” di Perosa Argentina, dove c’era, e c’è ancora, il rifugio antiaereo della Gütermann, lo storico setificio tedesco del piccolo paese dove si tra l’altro si costruivano i paracadute, e per il quale ha lavorato trentasei anni. Erano tempi in cui su 2800 abitanti della piccola località, ben duemila erano impiegati in quella fabbrica.
Da quando è andato in pensione, il signor Bernardi si è caricato sulle spalle il compito di conservare la memoria storica del rifugio, autoeleggendosene custode e dunque guida storica.
Un pomeriggio ci accoglie sulla porta del rifugio con un curioso berretto blu d’ordinanza su cui è stampato il suo nome di battesimo: Italo. Lo porta sempre, nessuno l’ha mai visto senza.
“Venga, tenga questo” dice premuroso, prestandoci un pile che ci aiuterà nella perlustrazione del rifugio, freddo, ma non troppo.
È vero che basta telefonarle e lei scende per fare visitare il rifugio?
“Eh sì, il mio numero di cellulare è scritto dappertutto e poi io abito qui” dice, dando per scontata la sua reperibilità in tutti i giorni dell’anno, o quasi. “Faccio la guida da ben ventotto anni, senza nessun finanziamento, sono un autentico volontario”.
Davvero nessuno la aiuta?
“Soltanto nelle emergenze, tipo quando si rompe una lampadina, chiamo il Comune o la Pro Loco, e loro vengono. E se tardano, io richiamo finché non vengono a fare le riparazioni”.
Il signor Bernardi ci presenta una giovane studentessa alla quale sembra che abbia affidato il testimone per quando non ci sarà più o non avrà più voglia di fare la guida.
“Mi porto avanti con il lavoro, come ha detto qualcuno qua in paese. I giovani devono sapere. A proposito di questo rifugio, devo dire che noi fummo fortunati perché nessun ordigno colpì Perosa” esordisce. “Qui tutto è rimasto come una volta, meno le panche; dopo la guerra qualcuno ha pensato bene di portarle via per farne non si sa che cosa. Ne ho ritrovate due lunghe e sto raccogliendo vecchie sedie per segnare con appositi cartellini i 344 posti di cui disponeva il rifugio”.
Naturalmente di persone potevano starcene ben di più, fino a cinquecento. Tutte strette come sardine, ma almeno al sicuro. Il signor Italo non si è limitato a questo: ha perfino ricostruito l’infermeria con un lettino e alcuni attrezzi medici. Il suo sogno è di renderlo più autentico possibile.
“Su quelle panche aspettavamo che terminasse il suono della sirena. Ogni tanto si sentiva un colpo da fuori. Per noi bambini era tutto un gioco, anche se sui volti dei nostri genitori si leggeva la paura. Qualcuno stava in silenzio, altri chiacchieravano per far passare il tempo più in fretta possibile, altri ancora scrivevano sui muri; qualche scritta c’è ancora se ha voglia di cavarsi la vista”.
Il tunnel è lungo 138 metri e si sviluppa a S. Le curve servivano ad attutire lo spostamento d’aria dell’eventuale bombardamento.
“Il rifugio fu costruito in sei mesi, nel 1942, e utilizzato fino al 1944. La sua particolarità è questo camino verticale di diciassette metri che fungeva da uscita di sicurezza. È dotato di una scala marinara, fatta di pioli di ferro piantati direttamente nel muro, che sale talvolta da un lato e talvolta dall’altro, interrotta da terrazzi a cadenza regolare per facilitare l’uscita e limitare i rischi di eventuali cadute durante la fuga. Non fu mai utilizzato per fuggire, non ce ne fu bisogno. In compenso venne usato come camino per cucinare durante la permanenza dei rifugiati che alle volte poteva durare anche per l’intera notte”.
Qua sotto il signor Bernardi, è il caso di dirlo, si muove come nel salotto di casa sua. Non c’è spazio per quanto piccolo del rifugio del quale non ti racconti qualcosa. E non finisce di elogiarne la robustezza: “È costato quattrocentocinquantamila lire ed è tutto fatto in cemento armato e poca sabbia, l’esatto contrario di quel che accade nella costruzione di molti edifici odierni, che poi infatti crollano. Questo resisterà ancora dei secoli”, sottolinea.
A un tratto ci fermiamo e da una borsa posta su un piccolo tavolino di bambù Italo estrae un lettore di cd, un walkman, collega uno spinotto, alza il volume dell’altoparlante, abbassa le luci e in pochi secondi eccoci trasportati indietro di più di settant’anni. Nelle nostre orecchie risuona il fischio angosciante della sirena, mentre sopra si sente distintamente un rumore di bombe che esplodono. Poi la voce di radio Londra e infine i messaggi in codice per i partigiani. Una ricostruzione sonora di un paio di minuti, che questo appassionato custode ha voluto per il “suo” rifugio.
“È importante che soprattutto le scolaresche capiscano cosa voleva dire vivere qua sotto. Ricreare i rumori rende bene l’idea” sottolinea il signor Italo, orgoglioso della sua iniziativa.
E non è finita. Al termine della visita ci aspetta un altro dei suoi orgogli personali: un piccolo museo della guerra allestito grazie ai pezzi raccolti sui mercatini da amici e conoscenti.
“Ci sono elmetti, vecchi fucili, una baionetta, giacche e indumenti militari, razioni alimentari in dotazione ai soldati impegnati nelle cosiddette missioni di pace contemporanee. Non tutti gli oggetti esposti appartengono alla seconda mondiale, ce ne sono anche della prima, sono testimonianze di ogni tempo di cui vado molto fiero, come le foto d’epoca di cui sono collezionista”.
Perosa Argentina disponeva anche di un altro rifugio: costruito nel ’41, anch’esso per proteggere le maestranze delle fabbriche tessili, poteva ospitare ottanta persone e attraversava la strada provinciale per arrivare al parco “Enrico Gay”. È rimasto intatto ed è tuttora visitabile. E non lontano da qui, a Inverso Pinasca, in località Grande, si trova un altro rifugio nelle vicinanze della centrale elettrica che forniva la corrente alla fabbrica RIV di Villar Perosa; anch’esso è stato ristrutturato e reso visitabile grazie al lavoro dei volontari del Comitato Promotore per lo Sviluppo delle Valli Chisone e Germanasca. Il rifugio è molto suggestivo, in parte scavato nella roccia e in parte coperto da volte a botte.
Ma la palma del più grande delle valli, più grande anche dei rifugi torinesi, spetta a quello di Villar Perosa, come ci spiega Luigi Fedele Bounous, settantanove anni, volontario dell’Associazione Culturale “Vivere le Alpi”, che in collaborazione con il Comune di Villar ha reso visitabile questa enorme costruzione.
“Il rifugio di Villar Perosa è un’opera superba costruita ad una velocità impressionante in grado di ospitare sino a 3500 persone, 2500 seduti e 1000 in piedi” ci spiega Bounous. “Formato da dieci corridoi lunghi 730 metri, fu costruito dal senatore Giovanni Agnelli per proteggere la RIV, la fabbrica di cuscinetti a sfera, e ovviamente i dipendenti e le famiglie. Villar Perosa fu colpita da un terribile bombardamento, durato sette lunghissimi minuti, il 3 gennaio del ’44, quando 61 su 312 bombe sganciate hanno colpito lo stabilimento senza causare vittime, proprio grazie al rifugio”.
È costato molto meno del rifugio di Perosa Argentina: solo 78.000 lire.
“Gli operai andavano in Chisone a caricare pietre con i carri; anche i bambini partecipavano, nel senso che, all’andata, avevano il permesso di salire sopra i carri, mentre al ritorno, quando erano carichi, vi correvano dietro. In pochi mesi i lavori vennero ultimati e, nel giugno del 1943, si poté tirare un gran sospiro di sollievo: i rifugi antiaerei di Villar Perosa, a prova di bomba, erano pronti!”
Fin qui il passato.
Uno dei progetti futuri, a cui stanno lavorando Comuni e Pro Loco di queste valli, di concerto con associazioni locali, è quello di creare un circuito collegato di visite ai rifugi antiaerei. Magari abbinandolo con degustazioni di cibi e bevande locali e unire così la storia con i peccati di gola. (A Perosa Argentina esistono già il Percorso del Tessile e la Strada del Ramie, il vino Doc prodotto localmente).
“Se fossimo in Francia l’avrebbero già fatto” osserva il signor Bounous, che, nonostante l’età non più verdissima, ha entusiasmo da vendere.
Come Italo Bernardi, d’altronde, che ha appena risposto al cellulare a una coppia di turisti che vorrebbe venire a visitare il rifugio di Perosa. “Arriveranno da Aosta il giorno di ferragosto” ci comunica.
Ma lei ci sarà quel giorno?
“Che domande, certo che sarò al mio posto, dove vuole che vada!”
Ecco i riferimenti per visitare i rifugi antiaerei:
Italo Bernardi (Perosa Argentina) 347 9922404)
Luigi Fedele Bounous (Pinasca) 333 3826348
Luca Grande e Simona Pons (Villar Perosa) 338 2127624 e 346 6098402
Siti internet:
www.unionevallichisonegermanasca.it/comunita-montana
www.viverelealpi.com