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Quando Luigi Fortebraccio suonò al Chiarella – di Giovanni Andriolo

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Distrutto dai bombardamenti e sostituito da un cinema ora a luci rosse, il Chiarella fu uno dei più importanti teatri di Torino nei primi decenni del Novecento

di Giovanni Andriolo

Nel gennaio del 1935 il jazzista Luis Armstrong si trovava sul transatlantico Champlain nel mezzo dell’Oceano: tornava negli Stati Uniti dopo essersi esibito, a conclusione di una tournée europea, al Politeama Chiarella di Torino. Era la sua prima volta in Italia.
roncaglia3Un ‘esperienza memorabile per la città e il suo teatro, che malgrado la censura fascista era riuscito a far esibire un artista statunitense e di colore. In realtà si trattava di uno dei tanti momenti memorabili che il Politeama Chiarella organizzò a Torino tra il 1908 – anno della sua costruzione – e il suo abbattimento durante la seconda guerra mondiale, sopportando la competizione dei teatri Regio e Carignano.
Il nuovo teatro, un luogo di innovazione culturale a livello cittadino e nazionale fondato da Achille e Giovannino Chiarella, fu intitolato al padre, il genovese Daniele Chiarella.
I due fratelli conquistarono ben presto una posizione rilevante sulla scena teatrale torinese: acquistarono nel 1912 il Teatro Carignano – vendendolo al Comune di Torino soltanto negli anni Trenta per permettere la costruzione dei portici su via Roma – e la famiglia Chiarella lo gestì fino al 1977.
Achille e Giovannino uscirono dai confini di Torino quando, insieme all’impresario e critico teatrale torinese Adolfo Re-Riccardi, costituirono il più grande trust teatrale in Italia, arrivando a controllare le maggiori compagnie del teatro drammatico e musicale del Paese.
Le attività innovative e sperimentali ospitate al Politeama Chiarella scatenavano forti dibattiti in città. L’8 marzo del 1910 resterà nella storia: Filippo Tommaso Marinetti e altri artisti della sua corrente scelsero il Chiarella per presentare al pubblico per la prima volta il Manifesto dei pittori futuristi. L’occasione? Il terzo esperimento di “serata futurista“, dopo quelli di Trieste e Milano: eventi durante i quali i futuristi, per far esprimere l’animo artistico e suscitare la reazione spontanea dei presenti, sferzavano il pubblico con scherzi e provocazioni; ad esempio, facevano sedere nelle prime file persone irruente, spesso assegnando lo stesso posto a più di dieci invitati, o cospargevano i sedili di colla o di polveri urticanti.
In questo modo, le serate futuriste degeneravano spesso in risse. Come durante la serata torinese, dove fin dalla declamazione del famoso Manifesto il pubblico non lesinò fischi e una pioggia di patate, legumi e monete all’indirizzo dei futuristi. Che cercarono di fuggire nascondendosi tra il pubblico, ma non andò bene a tutti: all’uscita, Umberto Boccioni fu schiaffeggiato da uno sconosciuto.
Una serata memorabile, si diceva, che il giorno successivo il giornale Il Mattino descrisse con un articolo dal titolo “Pagliacciate futuriste a Torino”. Un aneddoto che tuttavia ben descrive la vocazione verso artisti e forme di spettacolo nuove che il Politeama Chiarella dimostrava, anche contro i dogmi artistici del tempo.
Questa posizione emerge ben chiara anche negli articoli giornalistici dell’epoca: “Torino è diventata una fiera, Barnum è diventato il dio tutelare dell’attività estetica e del gusto dei torinesi. […] Barnum o il trust dei fratelli Chiarella“, scriveva nel 1917 l’allora giovane cronista Antonio Gramsci nel giornale Avanti!. I fratelli Chiarella erano definiti “monopolisti” del teatro torinese e accusati di aver svilito la scena teatrale cittadina. La loro colpa? Aver favorito il varietà a detrimento dello spettacolo teatrale e preferito un tipo di intrattenimento di basso livello per conseguire maggiori guadagni: “Lo spirito animatore è lo stesso: è lo spirito dell’accumulatore di quattrini, cieco, sordo, insensibile a tutto ciò che non sia cespite di guadagno“.
Malgrado queste critiche – a cui i Chiarella risposero animando con Gramsci un dialogo rilevante a livello cittadino sulla funzione del teatro e su dinamiche economiche che, a ben vedere, non sono così distanti dalle attualii – il Politeama Chiarella sopravvisse alla Prima Guerra Mondiale.
E crebbe, tra le due Guerre, ancora di più. Ospitò una giovanissima Anna Magnani nel 1932 per la prima presentazione assoluta di Tifo!, di Celso Maria Poncini e Roberto Biscaretti, e nel settembre del 1933 offrì il palco all’inizio della stagione della „Compagnia del Teatro Umoristico“ dei fratelli De Filippo.
Fino ad accogliere Luis Armstrong nel gennaio del 1935, per ben due serate. Una presenza controversa in quel periodo storico dell’Italia: sebbene il fascismo non abbia mai vietato ufficialmente la “musica dei selvaggi“ – così veniva definito il jazz nelle cronache di regime del tempo – sicuramente la osteggiava in quanto espressione artistica poco vicina alla tradizione italiana. E così, sebbene Luis Armstrong venne chiamato ben presto Luigi Fortebraccio per non urtare la sensibilità delle autorità del tempo, i suoi concerti non furono vietati ed ebbero un grande successo. Alfredo Antonino, il cultore di jazz torinese che allora riuscì a invitare Armstrong a Torino, raccontò successivamente che la coda per entrare al Teatro Chiarella, oggi in corso Principe Tommaso 6, arrivava in corso Vittorio Emanuele II.
Una piccola vittoria per Torino su Milano: i teatri della città lombarda, infatti, non avevano inizalmente accettato una sua esibizione; dopo il successo delle serate torinesi, gli impresari meneghini lo contattarono prontamente. Armstrong rifiutò, e decise di tornare negli Stati Uniti.
Il concerto di Armstrong fu un volano per la scena del jazz torinese. Dopo le due serate i primi musicisti torinesi diedero vita a diverse jam session e concerti clandestini. Una passione per il jazz che a Torino, come testimonia il Jazz Festival che si organizza ogni anno, continua ancora oggi.
Se sopravvisse alla censura fascista, il Chiarella non uscì indenne dalla Seconda Guerra mondiale. Nel 1942 i bombardieri della Gran Bretagna abbatterono il Politeama Chiarella, distruggendo non soltanto l’edificio, ma anche l’epoca culturale che aveva rappresentato.
Oggi, quasi a ribadire il concetto, sul sito dove sorgeva il Chiarella, in via Principe Tommaso 6, si trova il cinema a luci rosse Metropol: se da un lato può sembrare curioso che nello stesso luogo si trovi un’altra sala per spettacoli – quasi a voler suggerire una predestinazione dell’area – è indubbio che la differenza di cartellone tra Metropol e Chiarella non può che ricordare come l’epoca sia profondamente cambiata.

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