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Retake – di Federica Vivarelli

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Ovvero: come smettere di lamentarsi, dare una pulita e riprendersi gli spazi urbani

di Federica Vivarelli

retake-1 Si, ci sono ancora persone che nel ventunesimo secolo gettano le carte dei gelati o i fazzoletti per terra. A volte lasciano addirittura sacchi della spazzatura, nei casi più fantasiosi materassi, scarpe, bottiglie, frigoriferi: indiscriminatamente dal centro alle periferie, sono tutti oggetti abbandonati lasciati agli angoli delle strade, lì a rappresentare un degrado che molte città non hanno ancora imparato a gestire.
Escludendo l’eventualità di esserne gli autori, si possono forse contare tre reazioni di fronte a questi spettacoli: la prima, la più classica, è il fingere di non vedere. Segue poi il lamentarsene, con il classico “che schifo questa città, ma qui non possa mai nessuno”, o “non li voto più”.
Infine, rimboccarsi le maniche e pulire. Si chiama “Retake” e gioca col nome sul riappropriarsi delle strade, un riprendersi ciò che è proprio a partire dai cittadini. Anche se la cartaccia non è la propria e le tasse le ha pagate anche chi quella cartaccia la sta raccogliendo. Una rivoluzione che parte da un basso che di più non si può, i marciapiedi, e che ha trasformato scopa e paletta in azioni sovversive.
Retake è un ritrovarsi, un modo di fare e una filosofia di vita che forse alcuni piccoli paesi già conoscono senza sapere di farne parte. Tuttavia, il suo arrivo ufficiale in Piemonte risale a circa un anno fa, e nasce prima ancora negli Stati Uniti negli anni Novanta. Su come sia arrivato in Italia, la leggenda narra di un gruppo di signore americane che si ritrovano a bere il tè a Roma, dove vivono. E di come, tra un sorso e l’altro, siano arrivate a lamentarsi dell’incuria e della sporcizia della loro città d’adozione.
Mandano diverse richieste ufficiali al Comune, ai municipi, all’amministratore del condominio. Ma senza successo. Provano allora a raccogliere una petizione tra i condòmini per un pronto intervento, ma oltre che con la burocrazia si scontrano con la difficoltà di mettere insieme teste diverse, ognuna con una propria idea, dove c’è tanta teoria e poca pratica.
Finché, stanche di aspettare, una mattina il gruppo di americane scende in campo con pennelli e vernici e rimette a nuovo le colonne di ingresso del condominio. È proprio con quelle pennellate che nasce Retake in Italia.
Qualche anno più tardi, ancora senza conoscere i particolari di questa storia, un gruppo di amici si ritrova a fare la stessa cosa tra Parella e San Donato, a Torino.
La scorsa estate abbiamo organizzato quattro ritrovi diversi nella stessa giornata: all’orto urbano, all’ecomuseo, in piazza Risorgimento e dietro piazza Massaua”, racconta Cristina Pidello, ventisette anni, che a Parella ci abita da sempre. Quattro luoghi che da segnalazioni e sopralluoghi avevano bisogno di un intervento”. Il bottino di quella prima giornata è stato ghiotto: diversi sacchi della spazzatura, addirittura dei barili abbandonati, aiuole e torèt dell’acqua pubblica ripuliti. Pali e fermate dei bus liberati dalle affissioni selvagge, da chi si sposa a chi ha perso il gatto. Una trentina di partecipanti, un cartolaio che ha lasciato il negozio per seguire un intervento. “Da specificare che chi si avvicina al retake, specie se così all’inizio come per noi, è perché interessato per passione o lavoro. C’è infatti una bella partecipazione degli scout e dell’associazione Jonathan presente sul quartiere”, continua Cristina.
In un anno gli interventi sono continuati, spostandosi anche in altre aree. L’ultimo retake è successo a settembre a Collegno: genitori, figli, politici e passanti si sono cimentati con la pulizia di una zona del parco Dalla Chiesa. “La cosa che incuriosisce di più chi ci vede alle prese con gli interventi è che siamo perlopiù adulti, sottolinea Cristina, in un gruppo troppo vario per poterci classificare come lavoratori socialmente utili o scontanti una pena”.
È difficile, infatti, delineare l’identità tipo del retaker piemontese: partecipano allo stesso modo gli uomini come le donne, i giovani come gli anziani. La comunicazione avviene esclusivamente con il passaparola e sui social. Torino ha un profilo su Facebook, “Retake Torino”, così come Roma.
È proprio attraverso i social e le immagini degli interventi che le due città si conoscono e si tengono in contatto: “Retake non è un gruppo e non ha bisogno di rivendicazioni su chi abbia fatto per primo qualcosa”, spiega Rocco Paolo Padovano, referente per il capoluogo piemontese. Retake non è di qualcuno, ma di tutti. È di chi ha voglia di uscire di casa il sabato mattina per pulire il marciapiede che ha di fronte. Questo giardino ad esempio, è pieno di cartacce. Eppure ci sono bambini, con i loro genitori. Ma preferiscono stare nell’immondizia piuttosto che fare un piccolo gesto”, indica Padovano mentre quelle cartacce le prende e le butta nel cestino della spazzatura.
Certo Roma è la capitale e ha attivato retake già da diversi anni, per cui agli eventi di pulizia e di riappropriazione partecipano in migliaia. “A Torino siamo agli inizi. Non raggiungiamo la cinquantina, ma gestiamo degli interventi che riusciamo a portare a termine con soddisfazione, osserva Padovano, anche se un intervento sotto casa propria o nel proprio quartiere dovrebbe essere cosa di tutti. Non nascondo che quel che è più spiacevole durante le azioni di pulizia è chi ci ferma per farci i complimenti. Lo dico in tono polemico, certo, ma al posto di lodarci occorrerebbe rimboccarsi le maniche. Il beneficio è di tutti”.
C’è anche chi critica il retake in base al principio che spetta ai Comuni risolvere il problema, dal momento che ricevono i soldi delle tasse anche per questo: “Se però siamo riusciti a inculcarci che gettare la carta per terra è sbagliato, ora dobbiamo abituarci a raccogliere la carta degli altri”, sorride Padovano. “C‘è solo bisogno di cittadini sovrani, per dirla con don Milani. Senza tralasciare che in tempi di crisi i Comuni non riescono a stare dietro alle necessità di tutti. E cosa dobbiamo fare, assuefarci al degrado e al lamento?”.
A Torino, non a caso, ci si concentra anche su sopralluoghi e segnalazioni di zone spesso nascoste e un po’ dimenticate dalle vie principali, trasformate in piccole discariche.
Non manca neanche chi prende il retake per un’azienda di pulizia e decorazione: “Spesso ci scrivono chiedendo interventi in determinati luoghi, ma la filosofia sarebbe quella di segnalare la necessità di un intervento e organizzarsi insieme, non indicare a noi dove andare. Chi è disponibile al retake lo fa nel tempo libero”, incalza Cristina. Addirittura, tempo fa un altro quartiere di Torino ci ha contattati per chiedere di ritinteggiare un muro. Ma non siamo certo un’impresa di decoratori! Per la cronaca, quell’intervento è stato comunque fatto in autonomia, e poi criticato perché ha rimosso un famoso murale. Per questo retake secondo me dovrebbe limitarsi a interventi di pulizia, piuttosto che azioni di creatività”.
Già. Sebbene spontaneo e basato sulla disponibilità delle persone, il retake quanto può permettersi di essere libero? Fece ad esempio clamore un paio d’anni fa un signore che, in Sicilia, venne multato perché sorpreso mentre ripuliva l’aiuola sotto casa. “I nostri interventi vengono sempre comunicati alla Circoscrizione, sottolinea Padovano, che comunque appoggia e sostiene il retake. Sia perché facciamo qualcosa di utile per le nostre strade, sia perché in tempi di crisi economica credo che siamo utili anche alle casse della città”.
Ad esempio i materiali: a volte si porta ciò che si ha in casa, come guanti e paletta. Altre volte è proprio l’amministrazione a finanziarli. Di recente, anche grandi e piccoli negozi del fai da te vogliono essere annoverati come sponsor di queste piccole grandi rivoluzioni cittadine.

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