La rigenerazione urbana a Torino si fa col teatro sociale
di Sara Locatelli
Motivazioni date da esigenze storico-economiche, probabilmente. Torino, come e più di altre città italiane, con l’avvento della crisi economica subisce profonde mutazioni nelle geografie interne ed esterne: l’abbandono di grandi aree industriali e residenziali e i cambiamenti sostanziali nella composizione della popolazione sono solo alcuni dei fenomeni più rilevanti che si presentano. La città e, in particolare, le periferie, vivono uno spaesamento radicale, dato dalla perdita di definizione della propria identità culturale. Si rende allora necessario un intervento concreto. Che cosa ha a che fare il teatro contemporaneo con tutto ciò?
Molto più di quello che si possa pensare. Si incarica di (ri)trovare la risposta alla domanda: qual è l’identità dei cittadini di Torino, oggi?
Se la direzione dell’arte negli ultimi anni mostra un progressivo avvicinamento alle questioni sociali, il teatro – che ricomprende e sintetizza tutti i linguaggi artistici – prende una delle più complesse problematiche dell’attualità direttamente tra le mani, con coraggio. La esplora e trasforma, facendo tesoro del carattere multiforme e
inestricabile che ci pone di fronte la situazione attuale. Fa di migrazioni e immigrazioni, abbandoni e ripopolamenti – un’identità stravolta, che fatica a riconoscersi – un bagaglio di ricchezza e opportunità.
È il Teatro Comunità, quella branca contemporanea delle arti sceniche tutta sperimentale (e spesso, ingiustamente, non considerata nel suo pieno valore) a intervenire in un polo metropolitano come Torino, che da decenni ormai porta avanti politiche sociali che mirano a non abbandonare ampie fasce di popolazione nel disagio e nell’esclusione, cercando di contrapporre all’abbandono una presa in carico sentita e sincera (si tratta del Progetto Periferie, poi ridenominato come Progetto Rigenerazione Urbana).
Il teatro sociale si propone come attore principale nella missione di coinvolgere attivamente fasce di cittadini, le più ampie e diversificate possibili, per cercare l’incontro e il dialogo, lo scontro e il confronto, tentando di raccogliere un contributo ricco e svariato. Un compito impegnativo, proprio perché ambisce a rispondere a un quesito all’apparenza irrisolvibile: qual è l’identità culturale in cui si riconoscono, oggi, i cittadini della metropoli torinese?
Una questione non discussa, ma lasciata da parte con noncuranza. Una modernità continuamente mutevole non riesce a dare risposte a interrogativi sulle tradizioni al giorno d’oggi – sulla loro possibile sopravvivenza – e trova più semplice escluderne dal dibattito l’esistenza, appellandosi al principio della loro (presupposta) scarsa utilità.
È proprio in ambiti scomodi come questo, scomodi ma fondamentali e fondanti per la cultura di un territorio, che l’arte si pone coraggiosamente a pilastro creativo, trovando spazio e senso d’esistere.
Centro e motore di azione concreta, il teatro sociale tende a- e pretende la partecipazione attiva e diretta dei cittadini. Non lo fa gratuitamente, ma si prende cura e si assume la responsabilità di custodire e valorizzare ciò che i partecipanti portano, in uno scambio concreto cui obiettivo è definire ciò che siamo insieme; ciò che significa essere una comunità.
Gli attori professionisti affiancano e guidano, dunque, gli individui non professionisti – spogli di esperienza teatrale, ma ricchi delle proprie storie personali. Un patrimonio inestimabile, che il teatro sociale chiede di poter raccogliere per metterlo in condivisione e a disposizione della collettività. Mettersi in gioco e mostrarsi è un primo passo coraggioso e indispensabile, attivo e sincero, che permette di individuare i fili diversi da poter intrecciare per costituire una trama comune, comunitaria: il tessuto narrativo dell’identità di una cittadinanza.
Svariate le compagnie teatrali d’avanguardia che hanno lavorato e tuttora lavorano in questa direzione: Stalker Teatro, Art’ó, Choròs, Nartea sono solo alcuni dei nomi che partecipano al mosaico composito costituente il Coordinamento delle Compagnie di Teatro Comunità, centro del cui progetto è la ricostruzione storica del capoluogo piemontese attraverso una memoria viva e vitale, formata dagli abitanti stessi e dalle loro testimonianze.
È un teatro che si fa veicolo di comprensione e motore di cambiamento sociale: vuole ricondurre al senso della comunità, al valore del rito, alla matrice antropologica. Lo strumento di cui si avvale e che costituisce il nucleo della sua attività è il training, ovvero la preparazione, che passa attraverso appuntamenti regolari di workshop.
In queste occasioni il gruppo di cittadini si trova e incontra, portando la propria individualità e intrecciando rapporti e relazioni nuove o consolidando e approfondendo quelle esistenti.
Il teatro sociale offre uno spazio e un tempo per un’esperienza comune in cui gli abitanti si fanno produttori consapevoli di cultura: quella che in prima persona scoprono – e, al tempo stesso, creano – è la propria.
Il lavoro del Teatro Comunità all’interno delle maglie della città è concreto e porta a risultati concreti. Propone un nuovo strumento di gestione dei conflitti: l’ascolto attivo, e ne rende possibile la sperimentazione. L’ascolto attivo si basa sul presupposto che le opinioni diverse dalle nostre, lontane al punto di risultare incomprensibili e creare irritazione, sono da considerarsi intelligenti. Un approccio nuovo, spiazzante, che crea la possibilità di prendere in vera considerazione l’opinione dell’altro e punta ad includerla – diversamente dal comune strumento democratico dell’ascolto seguito da voto di maggioranza; un meccanismo obsoleto e non più applicabile alla gestione dei conflitti nel complesso panorama moderno.
Il percorso proposto dal Teatro Comunità è dunque un processo di scoperta che porta a un miglioramento della qualità di vita: offre tecniche alternative di risoluzione degli attriti interpersonali promuovendo l’empowerment (acquisizione di abilità spendibili nel quotidiano che migliorano il senso di saper gestire la propria vita).
Il lavoro di teatro sociale richiede inoltre l’uscita dalla solitudine e una messa in gioco profonda. I partecipanti condividono la loro interiorità e le proprie esperienze personali, affrontano lo sguardo altrui e si aprono al confronto sincero, che avviene però in un contesto protetto dalla finzione, dal “come se” che caratterizza la vita sul palcoscenico.
Nella rappresentazione pubblica, risultato del percorso creativo, le storie personali e collettive di identità filtrate attraverso l’estetica della forma (uno spettacolo, una rappresentazione, un evento, una festa…) ritrovano dignità e coraggio di esistere, si espongono al mondo. La scena diventa così metafora della vita collettiva agita nel territorio.
Il Piemonte e il suo capoluogo, detentori di un ruolo di prim’ordine nella sperimentazione e innovazione teatrale, continuano a rinnovare la propria forza motrice. I gruppi teatrali odierni si dimostrano così all’altezza delle lezioni di Eugenio Barba: se la compagnia teatrale, con le relazioni e interrelazioni tra attori è al centro, questo cerchio può allargarsi e includere gli spettatori. Può comprenderci, esaltando il potenziale creativo insito in ognuno di noi e aiutandoci a trovare radici nel luogo in cui viviamo. Per riuscire a vederlo e viverlo, per provare ad abitarlo davvero.
Questo articolo ha vinto la X edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura