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La lettrice vis-à-vis – intervista di Nico Ivaldi

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Il mondo portatile di Chiara Trevisan
Intervista di Nico Ivaldi

Se ne arriva con la sua bici che traina un carretto pieno di libri. In testa ha un vezzoso cappello largo, indossa un abitino elegante ma volutamente démodé e una sciarpa avvolta intorno al collo. Si ferma in un angolo di una delle auliche piazze torinesi (o dove la porta l’ispirazione), smonta dalla bici e prepara il salottino: due sgabelli, un tappetino e pure una luce che fa tanto atmosfera. E quindi, aspetta.
I passanti distratti che la osservano senza fermarsi sono autorizzati a pensare di lei qualsiasi cosa, pure che legga i tarocchi o le linee della mano o che si sia inventata un gioco strano. E invece basta avvicinarsi a quel siparietto intimo, bussare alla porta immaginaria (veramente c’è pure un campanello) e farsi aprire: benvenuti nel mondo della “lettrice vis-à-vis”.

Foto Marco Diulgheroff

Chi sei, Chiara Trevisan: una performer? Una lettrice? Un’improvvisatrice? Una psicologa? Una confidente? Ma soprattutto: che cosa racconti alle persone che decidono di venirti a trovare nel tuo salottino en plein air?
Tutto è cominciato cinque anni fa. Dopo altre esperienze artistiche di cui ti dirò e complice la famigerata crisi, avevo pensato che forse per me era arrivato il momento di lavorare in strada, approfittando anche del fatto che il Piemonte, attraverso un’apposita legge, tutela il lavoro degli artisti di strada. Però potevo contare soltanto su una bicicletta e sui miei libri. Dovevo fare qualcosa che fosse sostenibile, smontabile, trasportabile e in cui io potessi essere totalmente autonoma. E così è nata la lettrice vis-à-vis”.
Come si stabilisce il contatto?
Quando arriva l’ospite, gli lascio scegliere dalla scatola un biglietto con una parola chiave, un titolo o una frase che in qualche modo lo rappresenta. Io recupero dal catalogo il libro e la pagina di riferimento e la leggo per lui, per poi scambiare quattro chiacchiere sull’argomento. Dunque ciascuna scelta fa sì che si entri in relazione con il libro, ma, soprattutto, attraverso il libro”.
Ti è già successo che la tua capacità empatica e il tuo sorriso spontaneo abbiano creato equivoci?
Il rischio esiste, non da parte mia naturalmente. È successo una sola volta con una persona che ha frainteso il mio comportamento. È bastato ignorarla e tutto è finito lì. Ma non è certo questa la cosa che mi infastidisce di più del mio lavoro. C’è dell’altro…”
E che cos’è?
Per esempio il modo in cui la gente passa, mi scatta la foto e se ne va, senza nemmeno salutare, nemmeno fossi un pezzo di arredo urbano. Il più delle volte quando sono incazzata rispondo per le rime, quando invece sono di buonumore tiro fuori il mio telefono e fotografo anch’io a mia volta. Altri invece passano e dicono: ‘Però, che bella idea, brava!’. Io ringrazio, però vorrei che questa bella idea fosse sostenuta, dal momento che vivo di questo. Ancora oggi c’è chi pensa che l’intrattenimento di strada sia pagato dal Comune, ma non è proprio così!”
Come e quanto ti prepari?
Questo lavoro mi costa molto sacrificio perché, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, gran parte della preparazione si svolge in solitudine. Progettazione, creazione, produzione, diffusione, sono aspetti che, in un’attività individuale come la mia, si sviluppano parlando più con se stessi che con il mondo esterno. Si può ben capire che quando arrivo finalmente al momento della relazione, il minimo che possa scaturirne è un sorriso di puro piacere. E sono ben contenta che si veda!”
Facciamo un passo indietro: prima di diventare lettrice vis-à-vis che cosa facevi?
Ho iniziato con il Teatro di Figura e poi mi sono dedicata al Circo di Pulci, con il mio spettacolo Valentino’s Flea Circus, con cui ho girato per otto anni per festival, sia in Italia sia all’estero. Mi incuriosiva molto questo genere di spettacolo popolare molto in voga fin dalla metà dell’Ottocento e poi, purtroppo, piano piano abbandonato”.
Come si svolgevano i tuoi spettacoli?
All’interno di parallelepipedi di ridotte dimensioni avevo allestito micro-spettacoli per uno spettatore alla volta. La visione avviene attraverso un oculare posto anteriormente, ed è generalmente accompagnata da una traccia sonora udibile in cuffia. Le brevi storie (durano quattro, cinque minuti) erano manipolate da aperture posteriori o superiori con varie tecniche di Teatro di Figura (piccole marionette, pupazzetti, ombre, oggetti). Di solito avevo scenografie assai raffinate, grazie alla perfetta miniaturizzazione di ambienti realistici o alla suggestione di trucchi ottici e visioni oniriche”.

Foto di Alessandro Lercara

Una volta si diceva che venissero usati strumenti elettrici, magnetici e meccanici per “aiutare” i movimenti delle pulci e che talvolta l’intero spettacolo fosse una finzione, senza alcuna pulce. Qualcuno ti ha mai chiesto se ci fossero per davvero quei minuscoli animaletti?
A chi mi faceva questa domanda, rispondevo: Parliamone dopo lo spettacolo. La pulce è grossa come un puntino fatto con una biro, meno di un millimetro e mezzo. Io faccio tutto il possibile per agevolare la visione, dopo di che lo spettatore deve avere i suoi apparati per vederla. Le pulci si sono manifestate in molti modi, ogni spettatore ha trovato il proprio, sono pochissimi quelli che sono rimasti delusi”.
Quando, in seguito alle difficoltà di cui abbiamo parlato sopra, hai deciso di reinventarti e di diventare una lettrice vis-à-vis, come hanno reagito all’inizio i passanti?
Ancora adesso la gente non capisce bene che cosa faccia, benché sia già arrivata a duemila interazioni. All’inizio anche per me tutto ciò era molto strano: a lunghi tempi di attesa corrispondevano lunghi tempi di incertezza. Mi chiedevo: Ma perché diavolo nessuno si ferma?”
Dove hai cominciato ad allestire i tuoi primi salotti?
Ho fatto le prime uscite a San Salvario all’interno del Salone del Libro Off. Ho avuto la fortuna di non essere sola: il primo giorno ho avuto la compagnia di Alberto Bertolino, suonatore di organetto, e del giocoliere inglese Ian Deady, che mi hanno dato il benvenuto. Il loro supporto è stato per me molto importante. Se non fossi partita così, sarebbe stata molto più dura”.
Ti sei mai chiesta che tipo di reazione ispiri il tuo carretto di libri?
Molte persone guardano sempre i libri con un ritegno, quasi con un senso di inferiorità. Ma la cosa curiosa è che la maggior parte di coloro che si fermano da me sono dei non-lettori! E molto spesso me lo dicono apertamente. Non leggono, ma hanno l’intuizione di capire che i libri si possono anche utilizzare in un modo diverso che non leggendoli dalla prima all’ultima pagina. Possono contenere quell’idea che, attraverso il mezzo, che sono io, ti sposta il punto di vista. Questo è il miglior pubblico, forse. A me divertono molto quelli che mi dicono: ‘Sono passato tante volte di qui, ma soltanto oggi mi sento di fermarmi’. Perché comunque si tratta di entrare in uno spazio scenico, in casa d’altri, e sai che gli altri ti vedranno. La cosa incredibile è che dopo pochi minuti si dimenticano di essere dove sono, sono tutti concentrati sull’ascolto”.
Come scegli i libri da portare nel carretto?
Scelgo soltanto i libri importanti per me. C’è molta poesia, per me la poesia è uno strumento fondamentale perché trasversale, facilmente metaforico. Tra i miei preferiti c’è il Premio Nobel Wisława Szymborska, poi la torinese Alessandra Racca, e l’uruguaiano Mario Benedetti. E poi porto molta narrativa contemporanea, io privilegio l’editoria indipendente e medio-piccola, quella meno visibile. Tengo molto a Kamchatka di Manuel Figueras e ai racconti di Deborah Willis. Ma gli autori che amo sono tantissimi, l’elenco sarebbe infinito”.

Foto di Michele Maiocchi

Secondo te, che cosa si aspetta la persona che entra nel tuo salottino?
Credo che voglia essere ascoltata, anche se molti vengono per giocare. Ho scelto di fare questo lavoro soprattutto in strada (ma lo faccio anche a domicilio, nei festival, nei ristoranti, nei locali, in un giardino) per mettermi in un posto in cui mi potesse trovare chi non mi stava cercando. In questi quattro anni ho imparato sugli altri e su di me tante di quelle cose che nessun’altra esperienza mi avrebbe potuto insegnare”.
Immagino che non ti manchino certo gli aneddoti…
Ne ho una casistica lunghissima. Diciamo che gli Orfani del Cantiere (copyright Chiara Trevisan), sono i più curiosi. Gli Orfani del Cantiere sono quelle persone che dal lunedì al venerdì se ne stanno a pontificare mentre osservano gli altri lavorare. Il sabato e la domenica, disoccupate perché i cantieri sono fermi, girano con la bici e quando mi vedono inchiodano e cominciano a osservarmi, mentre il loro cane di solito mi abbaia. Nella loro testa mi fanno una radiografia completa. E poi, dopo avermi chiesto qualche informazione generica, mi spiegano nei dettagli come dovrei fare il mio lavoro e perché, se lo facessi come dicono loro, avrei sicuramente più lavoro. Insomma, mi circondo mio malgrado di veri esperti che hanno molto da insegnarmi!”
Ma c’è un personaggio che ti ha colpito più di altri?
Oh sì, è un signore che arrivò un sabato pomeriggio di un novembre umido di nebbia. Dopo avermi elargito anche lui consigli utili per la mia attività, esclamò: ‘Non va bene così, dovresti fare come una mia amica che la domenica mattina se ne sta sul lungomare di Nizza a fare le bolle sotto il sole’. L’ho ringraziato per il consiglio non

Foto di Alessandro Fregomeni

richiesto e per un attimo ho invidiato la sua amica che si esibiva al caldo del mare invece che nella nebbia di Torino. Ma si può?”
Altri tipi?
Quelli che mi porterebbero via volentieri la mia vecchia e cara bici. E soprattutto i tamarri, coloro che mi passano vicino con il loro fisicaccio palestrato e mi chiedono: ‘Oh, bellezza, ma quando smonti?’ E io lì, che non so che cosa rispondere. Alle volte mi riprometto di fare la statua, almeno non sono obbligata a rispondere a questi buzzurri”.
Lettrice vis-à-vis ma soprattutto artista di strada: non siete molte a Torino…
Vero. Sono molte di più le donne che lavorano in strada e fanno un altro mestiere o al massimo chiedono l’elemosina. Per qualcuno meno fortunato intellettualmente vedermi lavorare in piazza può creare qualche equivoco. Però non mi è mai successo niente di brutto, a parte qualche aspirante spasimante. La cosa peggiore mi è successa quel giorno in cui è scoppiato un temporale in piazza Carignano e non c’è stato nessuno che mi abbia offerto un ombrello o che abbia cercato di coprire i miei poveri libri dall’acqua. Mi hanno lasciata lì come una povera scema a bagnarmi tutta…”
C’è una frase tratta da uno dei tuoi libri che ti appartiene più di altre?
Assolutamente. È del messicano Juan Villoro, autore de Il libro selvaggio, uno dei testi che preferisco. Dice: ‘Ho passato la vita a leggere, ma ci sono ancora molte cose di cui non so niente. L’importante non è avere tutto in testa, ma sapere dove trovarlo’. Ed è quello che faccio io con il mio lavoro, in fondo. No?”

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