Ricuperare il Cinema Trento non è un’operazione-nostalgia, ma un’operazione di ricostruzione del tessuto sociale e culturale della valle
di Alberto Tessa
C’è una locuzione, appartenente alla ricca lingua piemontese, che non trova traduzione adeguata in italiano: “Mac
pì”. Quasi tutti i piemontesi la italianizzano in “solo più”, anche nel parlato comune, spesso inconsapevoli di non essere del tutto compresi dal resto degli abitanti della Penisola. È un’espressione che indica la presenza di qualcosa che, prima, era quantitativamente più consistente o qualitativamente migliore. “Ci sono solo più due mele nel cesto” indica che ora ce ne sono soltanto due, ma prima di adesso ce n’erano senz’altro di più. Una presenza che, tuttavia, porta dentro di sé anche un’assenza.
Un concetto quasi filosofico, sicuramente molto raffinato che, in altre lingue può essere reso soltanto attraverso complicate perifrasi se si vuole davvero sottolineare la pregnanza del significato.
In Val Pellice, nel comune di Torre, c’è “solo più” l’involucro di un cinema. Ma una volta il Cinema Trento era molto più di un semplice luogo dove guardare in compagnia un film; era un catalizzatore della vita sociale e culturale del piccolo paese, capitale mondiale della fede valdese. Per tentare di farlo rinascere si è costituito da tempo il gruppo spontaneo “Verso il Cinema Valpellice”, allegra combriccola formata da una dozzina di persone, tutte con ruoli e incarichi ben definiti, che si battono affinché al “Trento” tocchi una sorte migliore del Nuovo Cinema Paradiso del film di Tornatore. “Non abbiamo nulla da perdere e non ci rassegniamo a questa mancanza”, spiega Monica Onnis che del gruppo è l’addetta stampa, colei che cura in ogni dettaglio la comunicazione con le istituzioni e con i media. “Torre è a metà strada fra i tre cinema di Pinerolo e l’unico di Barge, tutti distanti molti chilometri e non certo agevoli da raggiungere. La domanda, inoltre c’è: le due rassegne cinematografiche che annualmente si tengono nel comune limitrofo di Luserna San Giovanni, presso il rifugio Re Carlo Alberto (di proprietà della Diaconia valdese), sono sempre molto partecipate, roba da riempire tutti i posti disponibili”.
Tutte le soluzioni sono tecnicamente possibili, ma si scontrano con una realtà in cui la crisi economica la fa ancora da padrone. Il costo stimato di uno dei progetti stilati si aggira infatti attorno a 1,8 milioni di euro, che non sono bruscolini. “Siamo già stati ricevuti in Regione dall’assessore alla Cultura, Antonella Parigi, che ha sottolineato l’interesse dell’ente mettendoci a disposizione due funzionari che ci stanno aiutando a reperire fondi attraverso bandi e altri canali di finanziamento”, continua Monica Onnis. “Una dimostrazione di interesse è arrivata anche dal Ministero della Cultura con cui stiamo cercando di capire se sarà possibile accedere a una piccola parte di quei 120 milioni di euro, distribuiti su cinque anni, destinati appositamente alla riapertura di vecchie sale ormai chiuse. Una legge al riguardo, appena approvata dal Parlamento, esiste già, ma mancano ancora i decreti attuativi che dovrebbero arrivare questa primavera”. La Tavola Valdese, inoltre, si è detta disponibile a finanziare in parte il progetto, servendosi dei fondi dell’otto per mille. “Dopo avere raggranellato un po’ di soldi dalle istituzioni e dalle donazioni dei privati, stiamo pensando di promuovere anche un crowdfunding fra gli abitanti della Val Pellice che potranno così avere modo di tradurre in un gesto concreto l’entusiasmo fin qui dimostrato” spiega la Onnis. E chi dovrebbe gestire il nuovo “Trento”? “Vorremmo che ci fossero dei lavoratori regolarmente pagati a gestire la nuova sala. Senza nulla togliere al pur preziosissimo volontariato, crediamo che un polo culturale così importante debba fornire anche qualche posto di lavoro”.
Il costo annuale della gestione è già stato preventivamente stimato e si aggirerebbe intorno ai centomila euro, cifra che complica ulteriormente le cose. Una nota positiva è il fatto che la struttura del cinema, almeno, è di
Sia come sia, è lecito sperare – soprattutto se dietro alle speranze c’è un serio lavoro di una squadra che si è addirittura divisa in tre sottogruppi per meglio affrontare le varie sfaccettature della questione. Ci sono infatti il gruppo comunicazione, il gruppo deputato al progetto architettonico (formato da tre architetti che stanno studiando le varie soluzioni) e il gruppo di gestione che si occupa di battere tutte le possibili strade per ottenere qualche finanziamento.
“Ricordo di avere visto il mio primo film al cinema proprio al Trento, quando ero bambino” afferma il sindaco di Torre, il giovane Marco Cogno. “Me lo ricordo ancora: era “La Sirenetta”. Oggi mi piacerebbe portare di nuovo in quello stesso cinema i miei figli, come i miei genitori fecero con me”.
L’auspicio è dunque che il Trento torni a essere un grande cinema di valle e non “solo più” un triste involucro abbandonato.