Silvio Raffo racconta Amalia Guglielminetti
di Federica Liparoti
“Se a scriversi sono due poeti come Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti, due esteti della parola, due
“La Guglielminetti è stata la protagonista di uno dei più clamorosi casi di damnatio memoriae della letteratura novecentesca. Scrittrice, giornalista d’avanguardia, ma soprattutto brillante poetessa, ebbe un successo effimero nell’Italietta dannunziana e liberty, per poi sprofondare ingiustamente nell’oblio”, continua Raffo. Nata a Torino il 4 aprile 1881, cresce in una famiglia dell’alta borghesia sabauda. Il bisnonno, Pietro, a metà Ottocento si era trasferito dal Cuneese nel capoluogo, dove aveva stabilito una piccola industria di materiali in legno. Era stato proprio lui, fornitore del Regio Esercito, a inventare la borraccia, che ai tempi veniva fabbricata in legno.
Amalia all’età di cinque anni perde il padre, così la famiglia si trasferisce dal nonno, che la fa studiare in scuole religiose. “L’esperienza degli istituti cattolici e dei conventi di monache negli anni dell’adolescenza lascia un’intensa traccia nell’immaginazione della giovane”, sottolinea Raffo, “traccia che ritroviamo nel suo primo importante libro di poesie, Le Vergini Folli”.
Appena ventenne Guglielminetti inizia a collaborare con il quotidiano torinese “Gazzetta del Popolo” e a
I due si incontrano per la prima volta alla biblioteca della Società della Cultura di Torino. Il fatale momento è rievocato dallo stesso Gozzano in una lettera che scriverà alla Guglielminetti tempo dopo: “Da molto tempo sapevo di esservi antipatico… D’incarico della direzione io giravo per la ‘Cultura’ invitando i soci ad apporre le firme per un acquisto. Venne il vostro turno. Mi avvicinai urbanamente e urbanamente mi scusai di distogliervi dalla lettura, vi porsi la penna. Voi apponeste la firma. Poi, mi credetti in dovere di dirvi il mio nome, Voi scattaste in piedi con un tale atteggiamento di fierezza ribelle di certi vostri sonetti… Vi ero antipatico. E Voi? Credete di essermi molto simpatica Voi? Avete invece, agli occhi miei, delle qualità allontananti. Prima di tutto siete bella”.
A dispetto del primo incontro che non lasciava bene sperare, i due iniziano a scriversi. È la primavera del 1907. A fare il primo passo è Amalia, che inizia la missiva con un formale “Egregio Avvocato”. Ben presto però tra i due il registro cambia e si accordano per un appuntamento, per il 12 ottobre al Meleto di Agliè Canavese, la residenza estiva di Gozzano, tutt’oggi visitabile.
I due trascorrono assieme quattro ore, tra silenzi e parole. “Le donne d’un fascino spirituale come Voi non hanno il diritto si esser belle come voi” scriverà Guido ad Amalia qualche giorno più tardi, ricordando il loro pomeriggio. Tra i due vi è “un gioco di sguardi” e nulla di più. Tuttavia, la memoria di quegli sguardi s’imprime nell’anima di Amalia e l’ombra di Guido percorre l’intera successiva raccolta di poesie “Le seduzioni”, un drammatico diario d’amore. “Da un lato, ricorda Raffo, la passione che lei sente, inalterata e incalzante, per Guido (“Era una mano ambigua, di pallore / femmineo, di linea virile… / lenta in ogni suo gesto, ma febbrile / nella carezza quasi da far male”, scrive Amalia), dall’altro l’aridità sentimentale di lui che, seppur annichilito dalla sua bellezza, sa concederle soltanto una fraternità ispirata dalla comune dedizione alla poesia. Sono evidenti le corrispondenze tra Le seduzioni e l’epistolario dei due”.
Guglielminetti inizia una relazione con il giovane Pitigrilli, alias Dino Segre, noto scrittore e aforista, e si dedica alla narrativa e pubblicistica: “Dopo la stagione della femme fatale incarna un nuovo tipo di femminilità dinamica ed emancipata ma eccentrica, un’amazzone vestita mezza alla dandy mezza allo sportsman” commenta Raffo. Ma per mano dell’amante Pitigrlli Amalia si trova coinvolta nell’episodio che segna la fine della sua carriera. Subisce infatti un processo per diffamazione perché, invidioso dei suoi successi letterari, Segre contraffa alcune sue lettere interpolandole con frasi di dileggio verso Mussolini. Guglielminetti viene assolta, ma per seminfermità mentale. Ricoverata in una casa di cura, si spegne in solitudine nel 1941, a sessant’anni, per i postumi di una caduta occorsa mentre cercava di raggiungere un rifugio antiaereo. Muore emarginata dalla Torino mondana e letteraria di cui era stata protagonista, per finire nell’oblio, fino alla riscoperta della sua opera, cinquant’anni più tardi, avvenuta anche grazie al contributo di Silvio Raffo.