Enter your email Address

Quando l’amore è una chimera. Silvio Raffo racconta Amalia Guglielminetti – di Federica Liparoti

0

Silvio Raffo racconta Amalia Guglielminetti

di Federica Liparoti

Se a scriversi sono due poeti come Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti, due esteti della parola, due sognatori inguaribili, penetrare nella loro corrispondenza d’amorosi segni è un privilegio”, spiega Silvio Raffo, traduttore, poeta e narratore, nonché autore di Lady Medusa. Vita, poesia e amori di Amalia Guglielminetti (Bietti, 2012). Non solo vita e poesia: nell’antologia sono contenute anche le lettere che Gozzano e Guglielminetti si scambiarono. Ed è proprio basandosi su questa corrispondenza epistolare che Raffo ha scritto e, da qualche mese, continua a portare sulla scena la pièce teatrale “Chimera d’amore” (2016). Un amore platonico e tormentato, che segnò l’esistenza e la fortuna della poetessa.
La Guglielminetti è stata la protagonista di uno dei più clamorosi casi di damnatio memoriae della letteratura novecentesca. Scrittrice, giornalista d’avanguardia, ma soprattutto brillante poetessa, ebbe un successo effimero nell’Italietta dannunziana e liberty, per poi sprofondare ingiustamente nell’oblio”, continua Raffo. Nata a Torino il 4 aprile 1881, cresce in una famiglia dell’alta borghesia sabauda. Il bisnonno, Pietro, a metà Ottocento si era trasferito dal Cuneese nel capoluogo, dove aveva stabilito una piccola industria di materiali in legno. Era stato proprio lui, fornitore del Regio Esercito, a inventare la borraccia, che ai tempi veniva fabbricata in legno.
Amalia all’età di cinque anni perde il padre, così la famiglia si trasferisce dal nonno, che la fa studiare in scuole religiose. “L’esperienza degli istituti cattolici e dei conventi di monache negli anni dell’adolescenza lascia un’intensa traccia nell’immaginazione della giovane”, sottolinea Raffo, “traccia che ritroviamo nel suo primo importante libro di poesie, Le Vergini Folli”.
Appena ventenne Guglielminetti inizia a collaborare con il quotidiano torinese “Gazzetta del Popolo” e a pubblicare poesie sul supplemento domenicale, poi raccolte nel volume Voci di giovinezza, edito nel 1903, che non suscita però l’interesse dei lettori. Inizia a frequentare i salotti della Torino mondana e a conoscere esponenti della cultura locale. Quattro anni più tardi pubblica Le vergini folli, che diventa subito un caso letterario. Dietro il suggerimento della parabola evangelica sulle vergini che attendono lo Sposo, Guglielminetti conduce il lettore in un’atmosfera mistica ma al tempo stesso erotica. “Il libro è in realtà un viaggio simbolico dell’Anima in un convento abitato da misteriose creature”, osserva Raffo. “Le suggestioni e i colori sono quelli dell’arte preraffaelita, in pittura e in poesia, fanno tornare alla mente i dipinti di Dante Gabriel Rossetti. L’io poetante constata di aver ‘snudato con mani violente/anime acerbe, macerate, rose’ per comporre una ‘ghirlanda temeraria’ e chiede d’esser perdonato. Si tratta di un’opera di unicità assoluta”. È un successo. I consensi arrivano sia dal pubblico sia dalla critica. Per Guido Gozzano, Amalia compie “quasi un vergiliato, conducendo il lettore attraverso i gironi di quell’inferno luminoso che si chiama verginità”.
La presenza di Gozzano nella vita di Amalia non si esaurisce certo nel ruolo di critico.
I due si incontrano per la prima volta alla biblioteca della Società della Cultura di Torino. Il fatale momento è rievocato dallo stesso Gozzano in una lettera che scriverà alla Guglielminetti tempo dopo: “Da molto tempo sapevo di esservi antipatico… D’incarico della direzione io giravo per la ‘Cultura’ invitando i soci ad apporre le firme per un acquisto. Venne il vostro turno. Mi avvicinai urbanamente e urbanamente mi scusai di distogliervi dalla lettura, vi porsi la penna. Voi apponeste la firma. Poi, mi credetti in dovere di dirvi il mio nome, Voi scattaste in piedi con un tale atteggiamento di fierezza ribelle di certi vostri sonetti… Vi ero antipatico. E Voi? Credete di essermi molto simpatica Voi? Avete invece, agli occhi miei, delle qualità allontananti. Prima di tutto siete bella”.
A dispetto del primo incontro che non lasciava bene sperare, i due iniziano a scriversi. È la primavera del 1907. A fare il primo passo è Amalia, che inizia la missiva con un formale “Egregio Avvocato”. Ben presto però tra i due il registro cambia e si accordano per un appuntamento, per il 12 ottobre al Meleto di Agliè Canavese, la residenza estiva di Gozzano, tutt’oggi visitabile.
I due trascorrono assieme quattro ore, tra silenzi e parole. “Le donne d’un fascino spirituale come Voi non hanno il diritto si esser belle come voi” scriverà Guido ad Amalia qualche giorno più tardi, ricordando il loro pomeriggio. Tra i due vi è “un gioco di sguardi” e nulla di più. Tuttavia, la memoria di quegli sguardi s’imprime nell’anima di Amalia e l’ombra di Guido percorre l’intera successiva raccolta di poesie “Le seduzioni”, un drammatico diario d’amore. “Da un lato, ricorda Raffo, la passione che lei sente, inalterata e incalzante, per Guido (Era una mano ambigua, di pallore / femmineo, di linea virile… / lenta in ogni suo gesto, ma febbrile / nella carezza quasi da far male”, scrive Amalia), dall’altro l’aridità sentimentale di lui che, seppur annichilito dalla sua bellezza, sa concederle soltanto una fraternità ispirata dalla comune dedizione alla poesia. Sono evidenti le corrispondenze tra Le seduzioni e l’epistolario dei due”.
Nel 1913 va in stampa L’insonne. Si tratta del testo del disincanto amoroso. “È significativo che, come in una competizione a distanza con Gozzano, adotti il suo verso prediletto, il distico di ottonari e novenari a rima interna. Il tono è sempre in bilico tra la parodia e la nostalgia”, spiega Raffo.Resta il fatto che dopo la prematura morte di Gozzano, nel 1916, Amalia non scrive più poesie, dedicandosi esclusivamente alla prosa. Inizia per lei un’altra stagione, letterariamente minore, in cui si manifesta in modo più acuto la sua vocazione al disastro, nel senso etimologico del termine: astrum, che significa stella, preceduto dal prefisso dys, che indica l’alterazione di uno stato”.
Guglielminetti inizia una relazione con il giovane Pitigrilli, alias Dino Segre, noto scrittore e aforista, e si dedica alla narrativa e pubblicistica: “Dopo la stagione della femme fatale incarna un nuovo tipo di femminilità dinamica ed emancipata ma eccentrica, un’amazzone vestita mezza alla dandy mezza allo sportsman” commenta Raffo. Ma per mano dell’amante Pitigrlli Amalia si trova coinvolta nell’episodio che segna la fine della sua carriera. Subisce infatti un processo per diffamazione perché, invidioso dei suoi successi letterari, Segre contraffa alcune sue lettere interpolandole con frasi di dileggio verso Mussolini. Guglielminetti viene assolta, ma per seminfermità mentale. Ricoverata in una casa di cura, si spegne in solitudine nel 1941, a sessant’anni, per i postumi di una caduta occorsa mentre cercava di raggiungere un rifugio antiaereo. Muore emarginata dalla Torino mondana e letteraria di cui era stata protagonista, per finire nell’oblio, fino alla riscoperta della sua opera, cinquant’anni più tardi, avvenuta anche grazie al contributo di Silvio Raffo.

Comments are closed.

Exit mobile version