TINA SGRÒ
Spazioluce
4 novembre 2017 – 6 gennaio 2018
Torino, Galleria Febo e Dafne
Tina Sgrò, calabrese, classe 1972, lavora ormai da anni tra Reggio Calabria, sua città natale e di formazione, e Milano. Un excursus che include lavori precedenti e opere espressamente prodotte per l’occasione e che rivela i molteplici aspetti dell’indagine della Sgrò.
Scene d’interni si confrontano con paesaggi urbani, seguendo due ambiti di esplorazione dello spazio, paralleli e complementari, che da tempo l’artista persegue. Minimo comun denominatore è per lei sempre la raffigurazione della luce che, nelle contrapposizioni bilanciate di chiari e scuri e nei contrasti a volte estremi, è la vera protagonista del suo lavoro.
Non sono gli arredamenti, nemmeno gli oggetti di uso quotidiano, tantomeno le strade, ad essere gli autentici significanti di quelle opere che lei preferisce definire “visioni”. È la luce ad essere realmente rappresentata, con una tecnica sapientemente esercitata e che fa richiamo inevitabilmente all’insegnamento caravaggesco. Gli oggetti, gli ambienti fissati nelle sue tele, non sono che un punto di partenza, un pretesto per consentire alla rappresentazione della luminosità di esprimere un messaggio tanto semplice quanto sostanziale: la convinzione che la realtà sia racchiusa essenzialmente in oggetti e luoghi di uso quotidiano, dalla fallace consistenza (come in realtà la vita stessa è), che attraverso la luce possano irradiare la loro insita essenza, come se appunto il senso della vita fosse rinchiuso proprio nei dettagli più effimeri.
Un vaso pieno di fiori, un comò carico di oggetti per la toilette, oppure le scie di un’automobile passata così velocemente da non lasciare alcuna traccia nell’istantanea colta dall’artista: la presenza della vita e delle azioni è suggerita dall’assenza dei protagonisti. Qualcuno ha riempito quei vasi, ha adoperato quei profumi, ma la loro attività è impressa solo nelle testimonianze lasciate dall’uso di quegli “utensili”. Senza i protagonisti dell’azione gli strumenti conquistano la ribalta e la scena rimane significativamente vuota. Solo la luce può rivelare uno scorcio attraverso cui spiare il vero senso della realtà; quelle immagini non narrando apparentemente nulla, si trasformano in evocazione emotiva: la visione di uno stato d’animo.
Negli interni la raffigurazione rimane intima, raccolta, ravvivata da colori a volte surreali che rivelano il dettaglio di un’unica tonalità estrapolata dallo spettro della luce; sono queste riflessioni sull’attimo che si ferma, come congelato e che ci consente di entrare nella vera essenza delle cose. Gli esterni al contrario, rappresentano il movimento, lo scorrere disordinato ed inarrestabile del tempo, delle azioni, della totalità. Qui allora compaiono solo le scie delle luci di un’automobile, le pennellate raffigurano le impronte veloci dei pneumatici sull’asfalto; la scena è congelata, ma paradossalmente il soggetto è proprio il movimento, ciò che scorre all’interno di uno still life.
Esempi emblematici di quella che l’artista stessa definisce la “poetica dell’insignificante”, secondo la Sgrò è infatti sempre il fruitore a dare valore a ciò che vede nel quadro: “I miei dipinti vivono di soggetti fermi, dopo l’immediato movimento/uso. La figura, assente, ha compiuto l’azione, scomparendo repentinamente. Io racconto il dopo-azione. La successione di attimi vitali.” La ricomposizione della storia e del significato spettano quindi allo spettatore, poichè ognuno ha il potere di attribuire alla vita stessa il significato che ritiene più opportuno.