Orchid Watching
Non serve andare in Asia, basta una scampagnata tra colline e vigne
di Gabriella Bernardi
Vuoi per i cambiamenti climatici o perché ormai è diventata una moda importata dall’estero, l’Orchid Watching, etteralmente “osservazione delle orchidee”, in Piemonte è una realtà consolidata. Viaggi stagionali organizzati portano appassionati tedeschi ed inglesi tra le nostre vigne: certo, anche per i classici giri delle cantine, ma soprattutto per ammirare la fioritura delle orchidee che fanno capolino tra i filari.
Come spesso capita, a parte gli addetti ai lavori e gruppi di appassionati, ben pochi piemontesi conoscono questo peculiare patrimonio locale. Infatti pare incredibile, ma la nostra regione, dai confini liguri a quelli dell’alto Novarese, ospita un gran numero di varietà di questi fiori, una vera ricchezza in alcuni casi nota per lo più da fuori: tanto per rendere l’idea, la provincia di Asti vanta più specie dell’intera Inghilterra.
Ma attenzione, dire orchidea non è così semplice e persino gli specialisti in certi casi sono in difficoltà nel riconoscerne alcune.
Questi bellissimi fiori, che nell’immaginario comune evocano esotismo e umidità tropicale, da noi si manifestano anche in forme e dimensioni differenti: dai piccolissimi che quasi si confondono fra gli steli d’erba e i cui fiori sono da osservare stendendosi a terra e usando una lente di ingrandimento, a quelli più strabilianti e di ben altre dimensioni che ricordano piccole scimmie o degli insetti. Sì, proprio degli insetti; e pochi sanno che Charles Darwin, prima di dedicarsi alla famosa impresa che lo portò sulla goletta in giro per il mondo, si preparò studiando in modo approfondito le orchidee e il loro complesso ed affascinante legame con gli insetti. Uno studio certosino che si rivelò utile anche per esporre le sue rivoluzionarie teorie.
Che sia per adattamento o per i cambiamenti climatici, per la presenza dell’uomo o l’uso dei diserbanti, è certo per esempio che la popolazione delle orchidee presenti nella zona di Superga da trentun specie si è abbattuta a due e in quella pre-collinare ad oggi è diminuita di nove specie, ma ne sono comparse quattro nuove. Questo dato confermerebbe che negli ultimi trent’anni alcune specie sono in notevole espansione grazie ai cambiamenti climatici, e che l’aumento della temperatura media ha favorito un lungo percorso di alcune orchidee del bacino del Mediterraneo, che si sono espanse fino ad arrivare alle porte di Parigi.
Alcune orchidee fioriscono già da fine febbraio appena la neve si scioglie dalle montagne; altre fanno capolino nelle campagne o nelle zone umide ai primi di ottobre o a ridosso della stagione più rigida. Tutto deriva anche dalle particolarità del terreno; infatti, chi le monitora per professione non solo si munisce di macchina fotografica e mappa del territorio, ma anche della carta geologica, perché un terreno acido o basico dice già cosa si può trovare e così si può andare a colpo sicuro nella speranza di vedere certe specie. Ma anche l’osservazione diretta sul campo non è da sottovalutare. La conformazione del territorio o il suo utilizzo – ad esempio per pascoli caprini o bovini – sono degli ottimi indizi che gli esperti non mancano di osservare.
Ma attenzione: andare alla scoperta di questi bellissimi regali della natura non vuol dire estirparli per trapiantarli nel giardino di casa o rivenderli via internet. Già, la triste realtà è anche questa; oltretutto, fuori dal proprio territorio le orchidee sono destinate a morire nel giro di poco tempo e si perde così un preziosissimo ed unico patrimonio floreale.
L’Italia è ricca di endemismi poco protetti ed ogni specie ha bisogno del proprio terreno di nascita e di tante altre condizioni al contorno. Per questo, lontano dal proprio habitat, anche le orchidee sono condannate a morte certa ed estinzione, com’è successo per una tra le specie grandi e rare, la Cypripedium calceolus. Forse più conosciuta come “Scarpetta di Venere” per la sua grande protuberanza gialla che ricorda una pantofola, è considerata rarissima in tutte le Alpi, ma in Piemonte la si poteva trovare addirittura sulla collina torinese o all’imbocco delle Valli di Lanzo.
Chi la vide per prima volta, alla fine del 1800, fu un botanico e poliedrico studioso inglese, Clarence Bicknell (la sua villa–museo è visitabile a Bordighera) e quando la notizia si diffuse fu la sua rovina. Infatti, la sua vistosa bellezza la condannò a raccolte indiscriminate, tanto che nel 1916 la specie venne considerata già estinta. Nel 1992 però venne riscoperta e messa sotto stretta protezione e anche se alle porte di Torino è ormai scomparsa, recentemente è stata avvistata in Val di Susa e nel Cuneese.
Un altro pericolo sono gli incendi. Ad esempio, quelli che hanno colpito la Val di Susa fino a lambire il rifugio della Ca’ d’Asti sul Rocciamelone hanno anche coinvolto zone dove si trovavano delle stazioni osservative; ora gli esperti sono con il fiato in sospeso e possono solo aspettare lo scorrere delle stagioni per vederne gli effetti. Il loro studio svelerà se il fuoco può rigenerare la crescita delle orchidee, come capita per altra flora, o ha per sempre cancellato la loro presenza in alcune zone.
Per rafforzare la tutela di questo delicatissimo patrimonio e per mettere a punto la catalogazione della flora regionale, a tutt’oggi non ancora completa, sono nate delle collaborazioni tra gli Istituti competenti e gli osservatori, professionisti e non. Indispensabili, questi ultimi, perché si muovono sul campo e da anni tengono sotto controllo alcune zone specifiche del Piemonte. Andare la domenica a fare una bella gita anche per osservare le orchidee nelle stagioni giuste può contribuire ad incrementare l’Atlante delle Orchidee Piemontesi, ovvero il progetto PaoP.
Questo progetto è nato nel 2004 e lavora per raccogliere i dati relativi alle Orchidacee del Piemonte; questi dati vengono integrati con quelli già raccolti dalle istituzioni e anche dai floristi, dai botanici o dai semplici appassionati, per creare un database più ampio e completo. Lo scopo è quello di realizzare in futuro la pubblicazione di un atlante della distribuzione delle Orchidee in Piemonte.
Tutti possono partecipare, a prescindere dal livello di conoscenza floristica: basta avere occhi, gambe e tempo, e soprattutto voglia di stare all’aperto. I dati si possono inviare, una volta registrati, seguendo una semplice proceduta. Fondamentali, ovviamente, sono le foto che evidenziano i dettagli, scattate anche da un semplice cellulare. Il tutto costituirà un’utile descrizione e testimonianza che sarà valutata dagli esperti, i quali vorranno soprattutto informazioni sul luogo dell’avvistamento. Quindi il consiglio per avere un’idea precisa dove si trova l’esemplare, è quello di usare le mappe geografiche o ancora meglio un comodo Gps.
Sul sito www.floradoc.org/rete-floristica/progetto-atlante-orchidee-piemontesi.html si possono trovare, previa registrazione, ulteriori informazioni e scaricare i documenti disponibili come la cartografia provvisoria o le chiavi di determinazione. In più, per essere aggiornati o richiedere informazioni ci si può iscrivere al gruppo Facebook chiamato ovviamente “Orchidee Piemontesi”. Quindi, occhi aperti: che siano radure solitarie in alta quota o zone umide, vigneti o noccioleti, si possono fare piacevoli scoperte. Magari, se quello che si trova non è ancora stato classificato e che chissà, si potrebbe addirittura avere un fiore che porta il proprio nome!