Aulico e creativo
Palazzo Saluzzo Paesana
di Gloria Guerinoni
A Torino su Piazza Savoia affacciano tre gioielli del barocco torinese: Palazzo Barolo, Palazzo Martini di Cigala e Palazzo Saluzzo Paesana. Quest’ultimo fu realizzato da Gian Giacomo Plantéry tra il 1715 e il 1722, per volere di Baldassarre Saluzzo Paesana.
Giunto all’apice della sua carriera forense, il conte Baldassarre dava il via alla costruzione del grandioso palazzo di famiglia, il più vasto e articolato palazzo nobiliare di Torino. L’ingegnere Plantéry, nel duplice ruolo di progettista e imprenditore, seppe realizzare un complesso che ospitava attività commerciali al pianterreno, appartamenti di rappresentanza e padronali al piano nobile, alloggi d’affitto destinati alla buona borghesia al secondo e terzo piano, e infine abitazioni destinate al popolo minuto nei mezzanini e nelle soffitte. L’edificio rappresenta infatti il modello compiuto dell’estesa edilizia da reddito per ceti elevati della prima metà del Settecento, in cui coesistono le funzioni di residenza nobiliare e di residenza altoborghese in affitto.
Unico per la sua aulicità, che si respira fin dall’androne e dagli scaloni d’onore, il palazzo è celebre per l’eleganza e per il decoro, che ne fanno un degno rivale di Palazzo Reale, ed è un esempio del barocco piemontese più severo dei suoi omologhi romani o siciliani.
In pochi sanno che film quali “Il Divo”, “Trevico-Torino… viaggio nel Fiat-Nam” e il recentissimo “Fai bei sogni” di Marco Bellocchio, tratto dal libro di Gramellini, sono stati girati in quersto palazzo.
Palazzo Saluzzo Paesana è metafora di quella che Daniele Regis definisce, rifacendosi a Gilles Deleuze, “la piega infinita”: “il Barocco (…) non smette mai di fare pieghe. Questo fenomeno non è una sua invenzione: ci sono tutte le pieghe provenienti dall’Oriente, le pieghe greche, romaniche, gotiche, classiche… Ma il Barocco avvolge e riavvolge le pieghe, le spinge all’infinito, piega su piega, piega secondo piega. Il suo tratto distintivo è rappresentato dalla piega che si prolunga all’infinito” (Gilles Deleuze, La piega, Leibniz e il Barocco).
L’ingegner Plantéry era lo zio di Bernardo Antonio Vittone, uno dei più grandi architetti piemontesi del Settecento, ed fu lui a crescerlo proprio nel cantiere di Palazzo Paesana. Divenuto adulto Vittone diventerà accademico di San Luca a Roma e ritornato in Piemonte darà un nuovo impulso all’architettura barocca organica, dando alle stampe ilTrattato di architetturadi Guarino Guarini; lui stesso sarà autore di un trattato in grado di influenzare tutta l’architettura europea della fine del XVIII secolo.
Il palazzo ha il fronte principale su via della Consolata, uno su via Garibaldi, un altro su via Bligny e un altro ancora su piazza Savoia. Le facciate presentano differenze significative: mentre le prime tre sono ricche di stucchi, cornici, maschere e fregi, quelle sulla piazza sono severe, prive di ornamenti. Esemplari da un punto di vista architettonico sono gli sviluppi originali delle volte “planteriane”, che permettono la copertura di ampi spazi con volte a vela lunettate senza sostegni intermedi.
L’ingresso principale su via della Consolata conduce a uno scalone imponente che al piano nobile affaccia su una loggia a tre arcate cui fa riscontro una loggia analoga sul lato opposto dell’edificio.
Il palazzo ha un grande cortile d’onore in cui, secondo il racconto del Marchese del Carretto, si svolgevano eventi e rappresentazioni.
Salendo lo scalone principale e percorrendo il loggiato si raggiunge l’appartamento padronale dei Saluzzo, considerato “patrimonio della Torino del secolo XVIII”. L’appartamento ha una superficie di 560 metri quadri e conserva, nonostante le razzie e deturpazioni subite ad opera delle truppe napoleoniche, arredi e decori settecenteschi, tra cui le volte affrescate e le sovrapporte del pittore savonese Domenico Guidobono.
Dalla porta d’ingresso si accede al vestibolo, un tempo gabinetto di toeletta della contessa moglie di Baldassarre, caratterizzato da un soffitto a volta su cui figurano tre puttini che porgono uno specchio, un pettine, un nastro di seta e uno scrigno per i gioielli. Di qui si passa all’atrio, originariamente camera da letto della contessa, decorato dall’affresco a tutta volta ispirato al Giudizio di Paride, soggetto mitologico che esplicita il favore del padrone di casa nei confronti della consorte, “la più bella tra le belle”, e dal grande pavimento in seminato a disegni policromi.
La Sala dei Busti (un tempo Sala della Musica) è un ampio salone sovrastato da un grande affresco che raffigura la Fama coronata dal Tempo e recante in mano il grande libro della Storia, sulla parte alta delle pareti vari busti celebranti la famiglia.
L’importante sala d’angolo, detta “Sala rossa” o “Camera di Parata”, è la più ricca. Ne sono testimonianza gli arredi e i decori perfettamente conservati: specchiere, camino, angoliere intarsiate, porte e sovrapporte dorate, che “introducono il visitatore in un universo parallelo fatto di gesti cerimoniali e rituali dell’aristocrazia barocca che tendeva a imitare lo splendore della corte del Re Sole”. Un parato di damasco cremisi copre le pareti, mentre le sovrapporte racchiudono i dipinti di Domenico Guidobono: San Tommaso Apostolo, San Giuseppe con bambino, Sant’Anna e la Vergine e, nell’affresco del soffitto, Il sacrificio di Isacco. Le lunette d’angolo sono dipinte a trompe-l’oeil, il tutto a creare, insieme all’affresco sulla volta, un effetto di luci e ombre illusorio per l’osservatore.
Nel centro del grande appartamento la Sala del Consiglio, alias camera per le udienze private, è quella in cui fanno tuttora mostra di sé importanti mobili settecenteschi.
Gli ambienti privati del conte comprendevano uno studio, una biblioteca e uno spazio per le preghiere quotidiane. Nell’ex biblioteca il pittore lombardo Felice Cervelli ha raffigurato il Convito delle Muse, dove si manifestano i molteplici interessi di Baldassarre Saluzzo per la poesia, la musica, il teatro, le scienze e l’arte militare.
La consistenza attuale dell’appartamento è il risultato dell’intervento voluto da Marco di Saluzzo, che, nel secolo scorso, “si prodigò per recuperare parte dell’originaria dimensione settecentesca degli ambienti interni”. Come scrivono Zinetta Giusiana Sirchia e Roberto Lombardi: “Quando iniziammo i lavori nel 1992, l’appartamento si trovava (…) con pesanti superfetazioni che chiudevano il ballatoio, in condizioni di parziale disuso per gravi danneggiamenti, abbandono e obsolescenza degli impianti, dovuti al generale stato di degrado di tutto il palazzo”.
L’appartamento è destinato dall’attuale proprietà a spazio per eventi culturali nello stesso spirito della famiglia Saluzzo Paesana, “che già all’epoca esplorava le avanguardie artistiche al di fuori dei codici morali imposti dall’etichetta nobiliare settecentesca”. Inoltre sono state ripristinate le cucine, attrezzate modernamente pur mantenendo in modo assolutamente filologico la veste originaria. Il tutto, ambienti, fervide iniziative culturali e cucine, costituisce un’opportunità imperdibile per aggirarsi in quel mondo, godere della sua cornice particolarmente adatta a dar risalto a eventi significativi e, particolare non trascurabile, gustare in cene periodiche organizzate a palazzo “Les saveurs du Palais” che coniugano la creatività anarchica già tipica della famiglia Paesana con l’eleganza barocca del palazzo ora di nuovo in auge più che mai.