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1386: il Canavese in rivolta – di Serena Lavezzi

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1386 d. C.: il Canavese in rivolta
di Serena Lavezzi

Prendete una piccola zona del Piemonte, il Canavese, due famiglie signorili, un conte straniero e dei sudditi sfruttati e stanchi: avrete così le basi della più importante rivolta contadina dell’Italia medievale, quella dei Tuchini.
Questa denominazione è abbastanza singolare: la stessa parola tuchiniha diverse accezioni e non è ancora chiara la derivazione linguistica, ma due sono le teorie più accreditate. Una sembra far risalire questo termine proprio al dialetto piemontese, deriverebbe da tucc un “tutti uno”, espressione forse utilizzata dagli stessi ribelli; altrimenti potrebbe provenire dal latino tuchinus, ribelle o predone. Entrambe le origini sarebbero azzeccate.
Siamo nel 1385, il Canavese è un territorio incastonato tra Torino e la Valle d’Aosta con una lunga tradizione di famiglie signorili. A quel tempo i due lignaggi di riferimento erano i conti di Valperga e quelli di San Martino. Entrambi furono convocati il 13 dicembre dal conte di Savoia Amedeo VII e con loro anche i rappresentanti delle comunità minori. Lo scopo della riunione era portare la pace tra le due casate, le cui sanguinose lotte avevano spinto le piccole comunità ad allearsi tra loro e chiedere aiuto ai Savoia. Inoltre, gli stessi signori di Valperga e San Martino, venuti a conoscenza delle azioni autonome dei loro contadini avevano deciso di denunciarli per insurrezione. Fu così che Amedeo VII si preparò ad intervenire. Non si premurò solo di sedare il malanimo dei contadini o di quietare le pretese dei signori, ma si interessò anche al modo particolarmente duro e intransigente con cui i nobili gestivano i contadini e le terre. Ne era esempio il regime della manomorta, che vietava al suddito di fare testamento e imponeva di lasciare tutto al figlio maschio, in mancanza del quale era il signore stesso a impossessarsi di tutti i suoi beni.
In alcune parti nel territorio sabaudo immediatamente confinanti con il Canavese, i Savoia avevano espropriato delle località e concesso delle franchigie, veri e propri alleggerimenti economici per i sudditi. In questi luoghi più che altrove si poteva respirare la differenza tra le gestioni, e fu anche per questo che i contadini chiesero l’intervento di Amedeo VII, convinti di poter migliorare le loro condizioni di vita.
L’assemblea si concluse con un ammonimento per i nobili, ma il conte di Savoia chiese impose anche una pesante ammenda alle comunità, ritenute comunque colpevoli di insurrezione contro i loro signori.
La sentenza, lungi dal pacificarli, infiammò gli animi dei contadini e dei loro rappresentanti, che si sentirono spogliatidei loro dirittiuna volta di più. La situazione si profilò movimentata sin dalla primavera del 1386, e diversi castelli rafforzarono le fortificazioni e le guarnigioni.
Nell’estate di quell’anno anche i Savoia si resero conto della gravità della situazione nel Canavese e decisero di intervenire direttamente sul territorio. Tra agosto e settembre, fu tutto un armarsi e mobilitare piccoli e grandi eserciti. Ci si preparò a una battaglia contro i contadini ribelli, che nel corso dei mesi avevano espulso i nobili dai loro castelli e si erano rifiutati di pagare le imposte. I Tuchini si ritrovarono padroni di intere zone del Canavese, mentre i signori finirono a vivere in esilio altrove.
Non bisogna pensare che queste piccole comunità fossero unite tra loro: alcuni ribelli chiesero protezione ai conti, altri l’intervento dei Savoia, altri ancora si mossero autonomamente per conquistare una fetta di libertà e di potere. Si trattò di un gruppo eterogeneo e diversificato, che spesso trovò nei paesi confinanti come la Valle d’Aosta un nutrito numero di sostenitori.
Una delle caratteristiche di questa rivolta fu il limitato spargimento di sangue, una cosa abbastanza insolita per eventi di questo genere. Vennero registrate infatti soltanto due uccisioni, di un nobile e della moglie, in valle di Brosso e la violenza carnale su un’altra nobildonna.
Le testimonianze della rivolta sono scarse. Sono giunti fino a noi soltanto un paio di documenti da cui si può ricostruire la storia della ribellione. Il primo è la sentenza con cui i Savoia, nel 1391, pacificarono definitivamente la situazione nel Canavese; l’altro sono le franchigie di Aglié del 1423 in cui si rievocarono le vicende di quegli anni, e da quest’ultimo scritto si evince la relativamente poca violenza che caratterizzò gli eventi.
Mentre i signori locali tentavano di difendersi dai ribelli, Amedeo VII non solo provò ad arginare i movimenti dei rivoltosi, ma organizzò operazioni contro il marchese di Monferrato, che approfittando della situazione gli aveva mosso guerra. E furono proprio gli avvenimenti legati a questa lotta nella lotta a determinare le ultime fasi della ribellione. Con la sentenza arbitrale del marzo 1389 il marchese rinunciò a rivendicare le aree dei ribelli e sospese la sua protezione. Si pensò che la resa dei Tuchini sarebbe stata immediata, in mancanza di appoggi esterni, ma la rivolta venne sedata soltanto nell’estate del 1390 quando Amedeo VII ritornò nel territorio e prese in mano la situazione, smantellando le ultime roccaforti dei ribelli. I signori ritornarono ai loro possedimenti, si organizzarono atti formali di riconciliazione e s’impedì ai nobili di vendicarsi con rappresaglie e azioni sanguinose. I crimini commessi negli anni delle rivolte si intesero annullati con l’esecuzione di qualche condanna e il pagamento delle ammende.
La sentenza del 1391 prescriveva che i rapporti tra nobili e sudditi fossero improntati a pace e armonia. Questi ultimi acquisirono il diritto di appellarsi al conte ogni volta che si fossero sentiti danneggiati dai loro signori e una commissione apposita venne creata per valutare i casi di successione. Amedeo VII rinunciò all’ingente pagamento che aveva chiesto nel 1385 per pacificare gli animi, con grande sollievo di tutte le comunità.
E quando finalmente nel 1419 i conti di Valperga concessero una franchigia alla comunità di Cuorgné, nel testo viene riconosciuto il diritto di fare testamento, e questo valse per tutta la zona del Canavese. Un grande passo avanti nell’indipendenza delle famiglie contadine del luogo.

Questo articolo ha ottenuto una menzione alla XI edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura

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