1386 d. C.: il Canavese in rivolta
di Serena Lavezzi
Prendete una piccola zona del Piemonte, il Canavese, due famiglie signorili, un conte straniero e dei sudditi sfruttati e stanchi: avrete così le basi della più importante rivolta contadina dell’Italia medievale, quella dei Tuchini.
Questa denominazione è abbastanza singolare: la stessa parola tuchiniha diverse accezioni e non è ancora chiara la derivazione linguistica, ma due sono le teorie più accreditate. Una sembra far risalire questo termine proprio al dialetto piemontese, deriverebbe da tucc un “tutti uno”, espressione forse utilizzata dagli stessi ribelli; altrimenti potrebbe provenire dal latino tuchinus, ribelle o predone. Entrambe le origini sarebbero azzeccate.
L’assemblea si concluse con un ammonimento per i nobili, ma il conte di Savoia chiese impose anche una pesante ammenda alle comunità, ritenute comunque colpevoli di insurrezione contro i loro signori.
La sentenza, lungi dal pacificarli, infiammò gli animi dei contadini e dei loro rappresentanti, che si sentirono spogliatidei loro dirittiuna volta di più. La situazione si profilò movimentata sin dalla primavera del 1386, e diversi castelli rafforzarono le fortificazioni e le guarnigioni.
Nell’estate di quell’anno anche i Savoia si resero conto della gravità della situazione nel Canavese e decisero di intervenire direttamente sul territorio. Tra agosto e settembre, fu tutto un armarsi e mobilitare piccoli e grandi eserciti. Ci si preparò a una battaglia contro i contadini ribelli, che nel corso dei mesi avevano espulso i nobili dai loro castelli e si erano rifiutati di pagare le imposte. I Tuchini si ritrovarono padroni di intere zone del Canavese, mentre i signori finirono a vivere in esilio altrove.
Non bisogna pensare che queste piccole comunità fossero unite tra loro: alcuni ribelli chiesero protezione ai conti, altri l’intervento dei Savoia, altri ancora si mossero autonomamente per conquistare una fetta di libertà e di potere. Si trattò di un gruppo eterogeneo e diversificato, che spesso trovò nei paesi confinanti come la Valle d’Aosta un nutrito numero di sostenitori.
Una delle caratteristiche di questa rivolta fu il limitato spargimento di sangue, una cosa abbastanza insolita per eventi di questo genere. Vennero registrate infatti soltanto due uccisioni, di un nobile e della moglie, in valle di Brosso e la violenza carnale su un’altra nobildonna.
Le testimonianze della rivolta sono scarse. Sono giunti fino a noi soltanto un paio di documenti da cui si può ricostruire la storia della ribellione. Il primo è la sentenza con cui i Savoia, nel 1391, pacificarono definitivamente la situazione nel Canavese; l’altro sono le franchigie di Aglié del 1423 in cui si rievocarono le vicende di quegli anni, e da quest’ultimo scritto si evince la relativamente poca violenza che caratterizzò gli eventi.
La sentenza del 1391 prescriveva che i rapporti tra nobili e sudditi fossero improntati a pace e armonia. Questi ultimi acquisirono il diritto di appellarsi al conte ogni volta che si fossero sentiti danneggiati dai loro signori e una commissione apposita venne creata per valutare i casi di successione. Amedeo VII rinunciò all’ingente pagamento che aveva chiesto nel 1385 per pacificare gli animi, con grande sollievo di tutte le comunità.
E quando finalmente nel 1419 i conti di Valperga concessero una franchigia alla comunità di Cuorgné, nel testo viene riconosciuto il diritto di fare testamento, e questo valse per tutta la zona del Canavese. Un grande passo avanti nell’indipendenza delle famiglie contadine del luogo.
Questo articolo ha ottenuto una menzione alla XI edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Cultura