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I Macchiaioli. Arte italiana verso la modernità alla GAM fino al 24 marzo 2019

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I MACCHIAIOLI
Arte italiana verso la modernità
26 ottobre 2018 – 24 marzo 2019
Torino,GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea

Gli antefatti, la nascita e la stagione iniziale e più felice della pittura macchiaiola, ossia il periodo che va dalla sperimentazione degli anni Cinquanta dell’Ottocento ai capolavori degli anni Sessanta, sono i protagonisti della mostra che per la prima volta alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino valorizza il dialogo artistico tra Toscana, Piemonte e Liguria nella ricerca sul vero.

Silvestro Lega, Una veduta in Piagentina, 1863

I Macchiaioli. Arte italiana verso la modernità”, organizzata e promossa da Fondazione Torino Musei, GAM Torino e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, a cura di Cristina Acidini e Virginia Bertone, con il coordinamento tecnico-scientifico di Silvestra Bietoletti e Francesca Petrucci, vede la collaborazione dell’Istituto Matteucci di Viareggio e presenta oltre 80 opere provenienti dai più importanti musei italiani, enti e collezioni private, in un ricco racconto artistico sulla storia del movimento, dalle origini al 1870, con affascinanti confronti con i loro contemporanei italiani.
L’esperienza dei pittori macchiaioli ha costituito uno dei momenti più alti e significativi della volontà di rinnovamento dei linguaggi figurativi, divenuta prioritaria alla metà dell’Ottocento. Fu a Firenze che i giovani frequentatori del Caffè Michelangiolo misero a punto la ‘macchia’. Questa coraggiosa sperimentazione porterà a un’arte italiana “moderna”, che ebbe proprio a Torino, nel maggio del 1861, la sua prima affermazione alla Promotrice delle Belle Arti. Negli anni della sua proclamazione a capitale del Regno d’Italia, Torino visse una stagione di particolare fermento culturale. È proprio a questo periodo, e precisamente nel 1863, che risale la nascita della collezione civica d’arte moderna – l’attuale GAM – che aveva il compito di documentare l’arte allora contemporanea.

Michele Tedesco, Una ricreazione alle Cascine di Firenze, 1863

A intessere un proficuo dialogo con la pittura macchiaiola è la prestigiosa collezione ottocentesca della GAM, che favorisce un’inedita occasione di studio. In questa prospettiva un’attenzione particolare viene restituita ad Antonio Fontanesi,nel bicentenario della nascita, agli artisti piemontesi della Scuola di Rivara(Carlo Pittara, Ernesto Bertea, Federico Pastoris e Alfredo D’Andrade) e ai liguri della Scuola dei Grigi(Serafino De Avendaño, Ernesto Rayper), individuando nuovi e originali elementi di confronto con la pittura di Cristiano Banti, Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Odoardo Borrani,protagonisti di questa cruciale stagione artistica.
La mostra si articola in diverse sezioni per consentire la la contestualizzazione e favorire la piena comprensione e apprezzamento dello sviluppo artistico, storico e culturale della “Macchia”.
Maestri ed esordi dei macchiaioli
La storia comincia a Firenze negli anni Cinquanta. Giuseppe Bezzuoli, Maestro di Pittura all’Accademia di Belle Arti, era il principale interprete della poetica romantica, affidata a grandi quadri a tema storico con personaggi che dovevano trasmettere alti valori religiosi ed etici. Ne è esempio Stefano Ussi con laCacciata del duca d’Atene da Firenze (1854-60), di cui la mostra presenta una replica. Meditati e fermi i lavori diEnrico Pollastrini e di Antonio Ciseri,anch’essi allievi di Bezzuoli, ma volti al moderno purismo, che utilizzava gli esempi del Quattrocento come tramite formale per rappresentare il dato naturale.

Adriano Cecioni, Le faccende di casa, 1869 circa

Avverso al romanticismo storico e ancor più alle proposte realistiche che si stavano diffondendo in tutta Europa era Luigi Mussiniche, dopo un iniziale avvicinamento al purismo di matrice tedesca, si era volto alla lezione di Ingres, conosciuto a Parigi. Rientrato in Italia nel 1851 per assumere il ruolo di Maestro di Pittura all’Accademia di Siena, Mussini andò intensificando la sua adesione allo stile del maestro francese, evidente nella posa disinvolta dell’Autoritratto esposto. In questo clima dialettico si formarono i futuri sostenitori della “macchia”: allievi di Bezzuoli furono Vito D’Ancona, Giovanni Fattori e Silvestro Lega, che frequentò anche gli studi di Mussini e di Ciseri, presso cui si educò Raffaello Sernesi; Odoardo Borrani fu alla scuola di Pollastrini, mentre Cristiano Banti studiò all’Accademia di Siena prima di trasferirsi definitivamente a Firenze nel 1856. Di Banti e di Lega si espongono le prove accademiche di fine corso, rispettivamente del 1848 e del 1852; di Fattori un’opera dei primi anni Cinquanta in cui appare evidente il rapporto stilistico con il maestro Bezzuoli.
Al Caffè Michelangiolo, fucina di un’arte nuova
Aperto nel 1848 in via Larga, il caffè divenne ben presto ritrovo di artisti e intellettuali: al centro delle discussioni era la necessità di rinnovare il linguaggio espressivo, per superare il retaggio romantico e abbracciare il Positivismo.
Contro la sovranità della pittura di storia, i giovani contestatori delle regole accademiche si interessarono al paesaggio: furono per loro esemplari le opere dal vero di Alexandre Calame, Giuseppe Camino e Francesco Gamba esposte dalla Società Promotrice di Belle Arti. Dal vero dipingevano anche gli allievi dell’ungherese Carlo Markò, tra cui i suoi figli Andrea e Carlo junior, Serafino e Felice De Tivoli, Lorenzo Gelati ed Emilio Donnini; per le loro sedute all’aperto, dal 1853 essi elessero i dintorni di Staggia presso Siena. Per questo in seguito questo gruppo di paesaggisti, cui si unirono anche Carlo Ademollo, Nicola La Volpe e Saverio Altamura, fu denominato “Scuola di Staggia” e riconosciuto importante premessa agli esiti macchiaioli.

Giovanni Fattori, Soldati francesi alle Cascine, 1859 circa

Nel 1855 all’Esposizione Universale di Parigi De Tivoli e Altamura ammirarono le scene realistiche dei barbizonniers, i contrasti chiaroscurali di Alexandre Decamps. L’entusiasmo fu rafforzato dalle voci di Filippo Palizzi, Bernardo Celentano e Domenico Morelli, che aveva apprezzato il cromatismo di Paul Delaroche e Auguste Gendron: le loro considerazioni indussero alcuni giovani a nuove sperimentazioni di paesaggio dal vero con l’uso dello “specchio nero”, che aiutava a vedere nitidamente i contorni e aumentava il forte stacco chiaroscurale dei volumi.
Il 27 aprile 1859 il granduca Leopoldo II partiva da Firenze per un esilio senza ritorno: il nuovo corso storico è registrato dal tricolore protagonista del dipinto di Altamura, di tono realistico e taglio fotografico, come le tavolette dalle decise macchie chiaroscurali eseguite dal vero da Fattori alle Cascine, dove erano accampate le truppe francesi dalle vivaci divise. Incoraggiato da Nino Costa, al Concorso Ricasoli del 1859 per il tema Battaglia di Magenta Fattori presentò due bozzetti condotti con una fattura rapida e macchiata, mantenuta nella redazione finale dell’opera, che segnò l’inizio del nuovo corso del quadro di storia contemporanea.
Torino capitale: i macchiaioli e i paesaggi di Antonio Fontanesi
Nel marzo 1861 Torino era divenuta capitale; il 1° maggio, nelle sale dell’Accademia Albertina, si aprì l’annuale esposizione della Società Promotrice di Belle Arti, ricordata in seguito da Cecioni come la prima affermazione pubblica dei macchiaioli, con opere di Telemaco Signorini e Vincenzo Cabianca.
A provocare il maggiore scalpore fu il dipinto di Signorini Il quartiere degli israeliti a Venezia – di cui in mostra si presenta il bozzetto – che lo stesso pittore definì “il più sovversivo” dei suoi dipinti. Criticato fu anche Il mattino (Le monachine) di Cabianca, una scena giocata sul contrasto tra tasselli neri e bianchi, immersa nella luce tersa di una giornata ventosa. Le voci negative rilevavano la scarsa cura nella stesura pittorica, lasciando trapelare il grave sospetto di realismo, ma i pareri di Federico Pastoris e di altri giovani artisti, come Bertea, Avondo e Teja, argomentavano apprezzamenti e viva considerazione per queste opere.

Vincenzo Cabianca, Scena medievale, 1861

Alla Promotrice del 1861 era presente anche Antonio Fontanesicon due dipinti e due disegni a carboncino di grande formato, definiti “due gioielli” dal critico Luigi Rocca, non dissimili, per effetto, a quelli qui presentati: la tecnica delfusain, rara in Italia, era stata appresa dal pittore a Ginevra, dove risiedeva dal 1850, e condotta a esiti sorprendenti per morbidezza pittorica e sapienza nelle lumeggiature. Accanto aifusain, Fontanesi presentava Il mattino, in cui restituiva l’atmosfera vibrante di un arioso paesaggio, guardando ai francesi contemporanei, maestri del naturalismo.
La sperimentazione della “macchia”
Diego Martelli, nella sua conversazione Sull’arte, riconduceva al 1856 l’affermarsi della volontà dei giovani artisti toscani di elaborare un linguaggio pittorico innovativo in grado di rappresentare la realtà secondo convenzioni rigorosamente formali, non più sorretto dalla fiduciosa integrazione di sentimenti e natura tipica della cultura romantica. Di lì a poco la visione positivista ebbe un importante avallo dagli studi di Jules Jamin, pubblicati sulla “Revue des Deux Mondes” nel 1857 e nel 1859 sulla “Rivista di Firenze”, che asserivano come la pittura, basata sull’artificiosità dei colori, permettesse soltanto una trasposizione analogica del visibile.
Dall’estate del 1861 i macchiaioli, superate le iniziali, accese contestazioni verso la tradizione figurativa, volsero le loro ricerche alla definizione di un linguaggio equilibrato e fermo, nuovo e antico a un tempo: fra i risultati più alti di questo momento, i paesaggi dipinti da Sernesi e da Borrani a San Marcello Pistoiese, come Bovi neri al carro e Pastura in montagna del primo e La raccolta del grano sull’Appennino del secondo.
Le scelte dei macchiaioli, dall’Unità d’Italia a Firenze capitale
L’Esposizione italiana, allestita a Firenze nel settembre 1861, fu per i macchiaioli l’occasione di presentare le loro opere a un pubblico molto vario e numeroso e, per questo, alcuni di loro elaborarono dipinti adeguati all’importante manifestazione senza recedere dalle loro idee sull’arte.

Telemaco Signorini, Una giornata di vento, 1868 circa

L’aspirazione dei macchiaioli a lavorare in un luogo lontano dalla confusione urbana trovò piena soddisfazione a Castiglioncello dove, ospiti di Diego Martelli, anno dopo anno essi dipinsero vedute evocative della bellezza grandiosa di quella natura ancora incontaminata, come testimoniano La Punta del Romito vista da Castiglioncello di Sernesi e la Veduta di Castiglioncello di Abbati, opere nelle quali il taglio basso e allungatissimo del supporto sembra suggerire il tempo di una lenta contemplazione.
Nel 1867 anche Fattori fu a Castiglioncello e vi ritrasse i padroni di casa; quell’anno egli lavorò in armonioso sodalizio con Abbati e Borrani, affascinati dall’immagine del carro rosso aggiogato ai buoi bianchi, tema che il pittore avrebbe svolto negli anni a seguire in capolavori assoluti, fra i quali Bovi al carro.
Verso un’arte nuova: la Scuola di Rivara e la rivista “L’Arte in Italia”
La prima menzione del gruppo di giovani che dipingevano dal vero i verdi paesaggi intorno a Rivara, nei pressi di Ivrea, apparve nel luglio del 1872 sulla rivista torinese “L’Arte in Italia”: Giovanni Camerana, nel recensire l’esposizione della Promotrice, difese con decisione il cenacolo di pittori che si ritrovavano in estate nella cittadina del Canavese ‒ i piemontesi Vittorio Avondo ed Ernesto Bertea, i liguri Ernesto Rayper e Alberto Issel, il portoghese Alfredo d’Andrade e lo spagnolo Serafín Avendaño ‒ legati dal comune apprendistato presso il paesaggista romantico Alexandre Calame a Ginevra, dove avevano conosciuto anche Antonio Fontanesi, che li aveva indirizzati verso la pittura francese della scuola di Barbizon.
La pittura di macchia dei toscani è evocata dagli intensi effetti luminosi del Casolare biellese di Ernesto Bertea, mentre In cerca di legna di Rayper appare esemplare della ricerca dei liguri, affidata a una tavolozza orchestrata sulla sola gamma dei verdi e dei grigi. Nell’onorare la memoria di Rayper, scomparso prematuramente nel 1873, Signorini nobilitò con l’appellativo di “scuola” la felice esperienza artistica di Rivara che, nella pluralità delle ricerche che seppe accogliere, rappresentò il contributo più valido offerto dal Piemonte verso la modernità dell’arte.
Verso un’arte nuova: i macchiaioli e il “Gazzettino delle Arti del Disegno”
Nel 1867 Diego Mantelli fondò il “Gazzettino delle Arti del Disegno” con l’intento di favorire l’apertura della cultura figurativa locale verso l’arte europea contemporanea. Signorini ne fu il collaboratore più autorevole, con contributi in cui ribadiva l’apprezzamento per il paesaggio, privo di contenuti didascalici, e lasciava ampi margini alla ricerca non solo stilistica ma anche di contenuti, talvolta scelti per il loro aspetto anticonvenzionale. La sensibilità nel “tradurre il vero

Vitale D’Ancona, Parco Reale (Roma al Pincio), 1861 circa

attraverso il sentimento degli antichi”, come diceva Diego Martelli, è atteggiamento comune ai macchiaioli. Altrettanto emblematico è il tema del paesaggio. Per i macchiaioli, come per i pittori piemontesi e liguri che si riunivano a Rivara, Fattori e Fontanesi furono figure di riferimento, per la severa coerenza del loro percorso. Fu da questo orizzonte ampio di sperimentazioni che giunsero gli stimoli più fecondi per consentire all’arte italiana di muovere passi decisivi verso la modernità.
Ciò che la mostra restituisce è quindi l’occasione non solo per ammirare capolavori assoluti della pittura macchiaiola, ma permetterne una migliore comprensione sottolineando il dialogo che ha unito gli artisti di varie parti d’Italia nella ricerca tesa alla modernità.
GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea – Via Magenta 31, Torino
Orario: da martedì a domenica ore 10-10, lunedì chiuso. La biglietteria chiude un’ora prima
Biglietti (solo mostra): intero 13 euro, ridotto 11 euro
Info e prenotazioni: www.ticketone.it,www.ticket24ore.it

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