Il Lessona da Quintino Sella ad oggi, passando per Mario Soldati e andando verso il futuro
di Giovanni Andriolo
Nell’ottobre del 1870 il Ministro delle finanze del Regno d’Italia Quintino Sella festeggia, un mese dopo la breccia di Porta Pia e la presa della città di Roma, il primo governo dell’unità nazionale. Per l’occasione non stappa uno champagne, come d’uso anche a quel tempo, ma decide di brindare con una bottiglia di rosso Lessona delle sue tenute di famiglia nell’omonimo comune in provincia di Biella. Da allora, il Lessona diventa per gli appassionati di storia (e di succo d’uva fermentato) il vino dell’Unità d’Italia.
Sebbene oggi non sia tra i più noti, il Lessona è un vino dalla storia antica – alcuni documenti lo citano fin dal ‘500 – prodotto oggi nel solo comune biellese da uva Spanna, che nell’Alto Piemonte indica il Nebbiolo, con piccole percentuali di Vespolina e Croatina.
È tuttavia un vino diverso rispetto al Nebbiolo che nelle Langhe dà origine a vini potenti e blasonati. È più leggero, piacevolmente speziato, risente di un diverso ambiente pedoclimatico, di una diversa altitudine, conformazione del terreno – a Lessona un tempo c’era il mare, il terreno è sabbioso, ricco di fossili, conchiglie – e di un clima temperato, influenzato dalle fresche correnti estive dal Monte Rosa. A questi elementi si aggiunge l’azione dell’uomo, che unendo nella miscela alto-piemontese le altre uve locali conferisce al Nebbiolo la finezza e l’acidità della Croatina e la speziatura della Vespolina.
Nel 1968 Mario Soldati lo definisce, nel suo libro Vino al Vino,“pura fragranza, puro effluvio, puro spirito” e dal sapore “sottilissimo”: si tratta di una descrizione che Soldati inserisce prima di raccontare nello stesso libro la visita alle Tenute Sella di Lessona, gestite ancora oggi dai discendenti di Quintino Sella e che a Lessona possono vantare la storia più antica.
Risale infatti al 1671 l’acquisto della prima vigna a Lessona, da parte di Comino Sella, come investimento di eccedenze di cassa delle attività tessili della famiglia. È un territorio dove il vino si produce da almeno due secoli, tanto che in un atto notarile locale del 1531 tra i termini di un contratto di affitto compare come merce di pagamento anche “una botte di buono e nitido e puro vino, di vino Lessona”. Nel 1936 Venanzio Sella, discendente di Quintino e gestore delle omonime Tenute, parla in un suo scritto di documenti tardo cinquecenteschi che dicono come nel XVI secolo “venti famiglie patrizie di Biella possedevano vigne a Lessona e si può perciò affermare che non vi fosse allora alcun patrizio biellese che non ne possedesse”.
D’altra parte, fin dall’età romana la via Lessonasca, che collegava Mottalciata e Lessona a Vercelli, Milano e Pavia, era il punto di passaggio del vino per l’esportazione dalle campagne alle città. Alla via Lessonasca si collegava l’attuale via Viotti a Vercelli, che fin dal secolo XII era conosciuta come “ruga ad vineas”.
È indubbio il legame di Lessona con il vino: lo si intuisce dando un’occhiata allo stemma storico del Comune, decorato con cinque ferite sanguinanti che simboleggiano la terra che, graffiata dal lavoro dell’uomo, sgorga vino come sangue dalle sue lacerazioni. Per non parlare delle spese che il Comune sostiene nel 1690 per far erigere all’interno del Sacro Monte di Oropa in costruzione la cappella dedicata alle Nozze di Cana e alla trasmutazione miracolosa dell’acqua, in ricordo del suo celebre vino.
Lo Spanna arriva tuttavia a Lessona soltanto agli inizi del XIX secolo, quando il conte Fantone, membro della Reale Accademia di Agricoltura di Torino, coltiva Nebbiolo in alcuni appezzamenti del Comune. Da quel momento lo Spanna diventa il vino di Lessona, apprezzato ed esportato fino a conseguire la Denominazione di Origine Controllata nel 1976. Un titolo che Mario Soldati, così critico con le denominazioni che in quegli anni si diffondevano sui vini un po’ in tutta Italia, forse non avrebbe gradito, e che giunse a Lessona otto anni dopo la sua visita alle Tenute Sella.
D’altra parte, da allora il Lessona è cambiato. Merito della odierna vinificazione a temperatura controllata e della scientificità con cui si effettua oggi la fermentazione malolattica, che garantiscono una qualità del vino più uniforme negli anni. Su questo non ha dubbi Maurizio Sella – nipote di quel Venanzio Sella che nel 1936 scriveva della storia del Lessona e che trent’anni più tardi accoglierà Mario Soldati nella villa di famiglia – di fronte alla vigna di San Sebastiano alla Zoppo sulla collina che sovrasta Lessona. Quel giorno Maurizio, venticinquenne, è presente all’incontro con Soldati e in Vino al vinoverrà ricordato dallo scrittore come “biondo allobrogo”: sorride Maurizio Sella mentre lo racconta: “al tempo avevo lunghi capelli biondi, li ho ereditati da mia madre”.
A quel tempo potevano esserci ottime annate, come la ’47 o la ’67, ma anche annate molto negative: “Viene quasi da pensare che le buone annate di allora ci sembrassero addirittura ottime perché le confrontavamo con quelle pessime”, scherza Maurizio Sella, che spiega come il Lessona di oggi, pur differenziandosi di anno in anno come tutti i vini di qualità, non presenta più gli sbalzi qualitativi di un tempo.
E racconta con orgoglio di come Venanzio Sella servì a Soldati, tra diversi Lessona, anche un bicchiere di Bramaterra, il vino che Maurizio produceva da qualche anno nei terreni di famiglia dell’omonimo comune limitrofo: un vino che Soldati definì nel suo libro “formidabile: potente, gustoso, pieno, di un amaro integro e piacevolissimo”.
La produzione di Lessona è bassa – per dare un’idea, nel 2017 ne sono stati prodotti 444 ettolitri contro i 3.800 di Gattinara e i 107.000 di Barolo – e i produttori, concentrati da disciplinare in un solo comune, sono una decina. In un terroircosì piccolo, tuttavia, la varietà e la vivacità della produzione è impressionante.
Oltre alle Tenute Sella, che costituiscono indubbiamente la storia di Lessona, esistono realtà giovani e più piccole che stanno ottenendo ottimi risultati. È il caso di Colombera e Garella, azienda fondata nel 2009 da due giovanissimi enologi che producono 25.000 bottiglie all’anno in nove ettari e mezzo di vigneti. E che nel 2017 conquistano la dodicesima posizione nella classifica dei cento migliori vini dell’anno della rivista statunitense Wine Enthusiast. Il loro segreto? Un vino che gioca di finezza, lasciato invecchiare per poco tempo in legno per non perdere la freschezza, imbottigliato quando il sapore è ancora chiuso, ma che si apre mentre riposa in bottiglia negli anni.
Una strizzata d’occhio alla tradizione, che a Lessona non si è fatta tentare dalle mode della barrique o della vinificazione del Nebbiolo in purezza. Ed è proprio questa tradizione, che imperterrita continua a vinificare lo Spanna con Vespolina e Croatina, che rende il vino locale unico al mondo.
Si ringraziano vivamente Maurizio Sella e Riccardo Giovannini di Tenute Sella, e Giacomo Garella di Colombera e Garella.
Le foto sono di Giovanni Andriolo