Sofonisba Anguissola e il suo possibile soggiorno torinese
di Piervittorio Formichetti
È forse fin troppo noto che Torino fu visitata, nell’ultimo quarto del secolo XIX, dal filosofo tedesco Friedrich W. Nietzsche; meno noto è che anche nei secoli precedenti, la capitale del Ducato di Savoia e poi del Regno sardo-piemontese ospitò intellettuali e artisti come il sorrentino Torquato Tasso e il modenese Alessandro Tassoni, entrambi poeti d’animo irrequieto. Ma nel capoluogo piemontese potrebbe essere passata anche la prima pittrice italiana d’importanza internazionale: Sofonisba Anguissola, attiva durante tutta la seconda metà del Cinquecento. Il trattatista milanese Giovan Paolo Lomazzo, che la conobbe personalmente, scrisse di lei nel suo libro I sogni (1563): «Molti pittori valenti hanno giudicato quella avere tolto di mano il pennello al divino Tiziano». La vita dell’artista è stata ricostruita in modo divulgativo, ma dettagliato e coinvolgente, dalla scrittrice Daniela Pizzagalli nella biografia La signora della pittura. Vita di Sofonisba Anguissola, gentildonna e artista nel Rinascimento.
Nata a Cremona nel 1532 da una famiglia nobile originaria di Piacenza, Sofonisba fu presto instradata nell’apprendimento della pittura da suo padre Amilcare, il quale, dotato di pochi denari ma di grande intelligenza, aveva notato il talento della ragazzina. Tra i suoi primi ritratti, che le meritarono subito molti elogi nella città natale, vi furono quelli dei propri familiari:
Ad esempio, il dipinto del 1555 con tre sue sorelle che giocano a scacchi fu descritto con ammirazione da Giorgio Vasari, recatosi nella Lombardia soggetta alla Spagna per conoscerla. Nelle prime opere, Sofonisba si firmava «virgo», «adulescens» e «Amilcaris filia», forse anche per rimarcare la sua volontà di procrastinare le nozze. Nel 1559 si trasferì a Milano, e da qui la sua fama giunse al re Filippo II d’Asburgo, che tramite alcuni nobili residenti nel capoluogo lombardo la invitò in Spagna. Grazie al suo straordinario talento e alla sua intelligenza, Sofonisba si inserì bene a corte con l’incarico ufficiale di dama di compagnia della regina Isabella di Valois. Resterà in Spagna fino al 1573, dipingendo vari ritratti che le guadagnarono molta ammirazione e qualche invidia da parte dei pittori di corte come Alonso Sánchez Coello e il fiammingo Anthonis Mor.
A Madrid, Sofonisba si sposò a 41 anni (molto tardi per l’usanza dell’epoca) il 5 giugno 1573 con il gentiluomo ispano-siciliano Fabrizio De Moncada; poco dopo le nozze, la coppia lasciò la Spagna per recarsi a Palermo. Ma il matrimonio, dal quale non nacquero figli, durò meno di cinque anni: a fine aprile del 1578, Fabrizio morì annegato al largo di Capri, quando i pirati assalirono la nave con cui stava riportando in Spagna dalla Sicilia don Carlo d’Aragona, duca di Terranova. Sofonisba decise perciò di lasciare Palermo e tornare a Cremona via mare, ma nel 1579 sbarcò a Pisa con il capitano della nave sulla quale aveva viaggiato, il genovese Orazio Lomellini; la sosta pisana fu dovuta verosimilmente all’amore di Sofonisba per Orazio (che aveva circa quindici anni meno di lei): nello stesso anno, infatti, Orazio diverrà il suo secondo marito.
Nel 1580, Orazio e Sofonisba si trasferirono a Genova, dove resteranno fino al 1615, quando la pittrice farà ritorno a Palermo, l’ultima città della sua lunga e intensa vita: come testimonia anche un disegno del noto pittore fiammingo Anton van Dyck (1599-1641), che qui la incontrò nel 1624 e la ritrasse dal vivo su un foglio annotato in italiano, ella morì novantatreenne nel 1625, da qualche anno quasi cieca, ma mentalmente lucida. Ed è appunto nel lungo periodo genovese che ebbero luogo le circostanze che, forse, permisero alla pittrice di visitare Torino.
Nel giugno del 1585, Orazio Lomellini traghettò le autorità della Repubblica di Genova che dalla città della Lanterna si recavano a Savona per omaggiare la seconda figlia di Filippo II di Spagna, l’infanta Caterina Micaela d’Asburgo giunta da Saragozza, dove si era appena sposata con Carlo Emanuele I di Savoia, figlio del celebre duca Emanuele Filiberto. Sbarcati a Savona, Caterina e Carlo Emanuele si diressero verso il Piemonte; a Torino, in onore della moglie, il duca farà erigere il castello dal nome spagnolo Miraflores (che sarà poi distrutto nell’Ottocento, lasciando traccia di sé nel nome nel quartiere più esteso di Torino, Mirafiori). Secondo Daniela Pizzagalli, sulla nave che portò la coppia ducale a Savona, con il capitano c’era quasi certamente anche la sua consorte pittrice, perché Sofonisba era molto legata alla giovanissima duchessa: dodici anni prima a Madrid, ad esempio, aveva eseguito un ritratto di Caterina bambina accompagnata da una scimmietta.
La storica e critica dell’arte Maria Kusche, che individuò la maternità artistica di Sofonisba di alcuni dipinti precedentemente attribuiti a pittori di corte spagnoli, ipotizza che la pittrice abbia raggiunto Torino con il corteo nuziale di Caterina, ma nel resoconto del viaggio che la duchessa inviò a suo padre Filippo II, Sofonisba non è menzionata. È invece possibile che si sia recata a Torino almeno due volte negli anni successivi. Secondo Maria Kusche, la pittrice si sarebbe recata a Torino su invito di Caterina, verosimilmente nella tarda estate o nell’autunno del 1595, durante un lungo soggiorno siciliano del marito Orazio, che prima di partire aveva firmato, il 17 luglio 1595, un atto di ampia procura in favore della m0glie.Orazio sostò alcuni mesi a Palermo in qualità di incaricato d’affari della Repubblica di Genova, ma anche per dirimere con la famiglia De Moncada alcune annose questioni patrimoniali relative al primo matrimonio di Sofonisba. Ma forse l’Anguissola aveva già visitato in precedenza la capitale del Ducato di Savoia: un’ipotesi che Maria Kusche fonda su due ritratti, da lei attribuiti pressoché con certezza alla pittrice cremonese.
Il primo quadro, dapprima attribuito ad Alonso Sánchez Coello e addirittura a El Greco, risale ai primissimi anni ’90 del secolo; è un ritratto della duchessa Caterina (ma qualche studioso spagnolo dubita di questa identità) con indosso una pelliccia di lince, dalla quale il dipinto, in seguito, prese il titolo inadeguato di Dama con l’ermellino (come quello di Leonardo da Vinci). Poiché nel 1591 Carlo Emanuele I di Savoia si recò a Madrid da Filippo II per chiederne il sostegno politico e militare, è probabile che in questa occasione abbia portato in dono al suocero monarca questo ritratto della figlia, che dunque Sofonisba avrebbe realizzato a Torino.
Il secondo quadro raffigura la terza figlia della coppia ducale, Margherita di Savoia all’età di sei o sette anni, in compagnia di un giovane nano (le corti dell’epoca usavano infatti ospitare alcuni nani come «curiosità» umane): poiché Margherita
nacque nel 1589, il ritratto risale al 1595 circa. Quest’ultimo quadro influì probabilmente anche sul dipinto più famoso di Diego Velázquez, Las Meninas (dove si vede una nana adulta): il celebre pittore, infatti, inserì al centro della composizione l’infanta alla quale una giovanissima damigella offre un vasetto di coccio rosso su un vassoio: in modo molto simile, nel dipinto dell’Anguissola il nanetto offre alla piccola Margherita un vasetto rosso simile a quello della damigella di Velázquez. Inoltre, un quadro di Giacomo Vighi detto l’Argenta (morto nel 1573) conservato nella Galleria Sabauda di Torino ritrae Carlo Emanuele ragazzino, a sua volta con un nano alla sua destra; secondo Maria Kusche, è possibile che Sofonisba abbia visto a Torino questo ritratto infantile di Carlo Emanuele e vi si sia poi ispirata per il ritratto di sua figlia, confermando tra l’altro la sensibilità per i legami familiari che le era sempre stata propria.
La presenza di Sofonisba Anguissola a Torino, dunque, è probabile ma non accertata; se fu reale, fu piuttosto breve, ma non priva di importanza e di conseguenze sulla pittura europea. A rafforzare l’ipotesi della sua presenza in Piemonte vi sarebbe anche lo storiografo e vescovo di Saluzzo Francesco Agostino Della Chiesa (1593?-1662) che nella sua opera Theatro delle Donne letterate, edita a Mondovì nel 1620 – cioè mentre la pittrice ottantottenne viveva a Palermo – citò l’Anguissola come autrice, dilettante ma apprezzata, probabilmente di poesie: «Sofonisba non solo col pennello ha fatto cose rarissime e bellissime, ma ha voluto anche con la penna […] scriver alcune cose, che sono molto lodate e tenute in conto dai virtuosi». Inoltre, una probabile continuità di rapporti tra la dinastia dei Savoia e il ramo principale degli Anguissola, quello emiliano, sembra aver lasciato qualche traccia nei due secoli successivi.
Dalle intestazioni delle lettere patenti conservate nell’Archivio di Stato di Torino risulta che il 14 giugno 1734 fu naturalizzata sardo-piemontese una marchesa Barbara Mossi nata Anguissola, nativa di Parma. Tra le Rime dell’abate genovese Carlo Innocenzo Frugoni, pubblicate proprio a Parmanello stesso anno MDCCXXXIV (1734), si trovano due poesie dedicate Alla Contessa Barbara Anguissola di San Polo, in occasione che si sposa col Marchese Pio Mossi di Morano (n. 217), e Alla Medesima, Differendo lo sposo la sua venuta, impegnato nell’Armata d’Italia nel campo della Maestà del Re Sardo suo Sovrano (n. 218). I Mossi, nobili monferrini, erano stati infeudati col titolo di marchesi del borgo
di Morano dal re Vittorio Amedeo II nel gennaio del 1720; la contessa Anguissola era quindi marchesa per matrimonio, e suo marito, Giovanni Pio Lodovico Mossi, «differiva» la propria venuta «per l’impegno nell’armata del Re di Sardegna», come riassume il sito web http://www.cultura-barocca.com. Nel tomo II della recente opera del generale Alberico Lo Faso di Serradifalco Piemonte 1742-1748: la guerra in casa, troviamo un «cavaliere» Mossi di Morano arruolato nelle armate di Carlo Emanuele III di Savoia col grado di alfiere dal gennaio 1743; purtroppo, mancando il nome di battesimo sul documento militare originale, non è certo che questo Mossi sia lo stesso marchese o, piuttosto, un suo parente più giovane. La discendenza di Barbara Anguissola si estinse comunque con suo figlio Tommaso Ottavio Maria Mossi (1747-1802), il quale – spiega Antonella Perin nella sua ricerca Appunti di un nobile casalese. Tommaso Maria Mossi in viaggio per l’Europa, su “Monferrato Arte e Storia” n. 18 del dicembre 2006 – formatosi alla corte di Carlo Emanuele III, ereditò i gradi militari del padre e del nonno, ma s’interessò molto di agricoltura, arte e architettura, viaggiando in gran parte d’Europa, ed ebbe soltanto una figlia, Ottavia, nata a Londra dalla relazione con una donna probabilmente olandese, Maria Koorff.
Mezzo secolo più tardi, il 17 giugno 1788 fu naturalizzato sardo-piemontese un tale Ranuzio Scotti Anguissola, la cui provenienza, almeno nell’intestazione della lettera patente, non è indicata, ma quasi certamente fu Piacenza. Non conosciamo quale lontana parentela vi fosse tra costui e la marchesa Barbara Mossi Anguissola, ma certamente Ranuzio fu un parente più anziano (il nonno?) dell’omonimo conte e politico nato nel 1808 a Piacenza ed ivi deceduto nel 1881, il quale – ricorda l’Enciclopedia Treccani – nel 1848 fu membro del Consiglio civico piacentino, votò l’annessione di Parma e Piacenza al Piemonte e fece poi parte, nel 1859, della deputazione inviata a re Vittorio Emanuele II per comunicare il voto favorevole delle popolazioni parmensi all’annessione al regno sardo-piemontese.