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Fender o Gibson? No, Airoldi! – di Lucilla Cremoni

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Valentino Airoldi, il padre della solid body

di Lucilla Cremoni


Fender o Gibson?
cover-luglio-agosto10Se non vi interessa il rock – quello vero s’intende, non la robetta e robaccia da talent show – questi nomi non vi dicono nulla.
Se invece lo amate il vostro cuore avrà già fatto una capriola perché quei nomi sono quelli delle più leggendarie chitarre elettriche, a ciascuna delle quali corrisponde una tifoseria/scuola di pensiero il cui profeta – più o meno involontario, di certo mai inconsapevole – è questo o quel Nume del rock che ha trasformato uno strumento musicale in un oggetto di culto. E chi non prova un fremito al pensiero della Stratocaster bianca di Jimi Hendrix o alla Gibson doppio manico di Jimmy Page non prosegua nella lettura e torni ai suoi neomelodici.
Ma pensate che bello se si parlasse della Airoldi bianca di Hendrix o della leggendaria Airoldi doppio manico di Page!

Ma andiamo per ordine
Come tutti sanno, l’arrivo del jazz fu una vera rivoluzione: quella musica scandalosa nata nei bordelli e nei localacci, basata sul ritmo, tanto esecrata quanto irresistibile, portava allo scoperto e allegramente celebrava tutte le pulsioni che fino ad allora erano state represse. E lo faceva rumorosamente, facendo nascere o dando un ruolo nuovo a strumenti come il sassofono o il contrabbasso. Batteria e percussioni diventarono fondamentali, ma l’aumento generale del volume rischiava di soffocare gli strumenti meno tonanti come la voce dei cantanti o, per l’appunto, la chitarra. Di qui l’idea di amplificare i suoni.
Per la chitarra, strumento che da Paganini al flamenco al blues di Robert Johnson, era stato un solista o un accompagnatore della voce umana, i primi esperimenti di elettrificazione e amplificazione della chitarra furono condotti da Lloyd Allayre Loar, un progettista della Gibson, nella prima metà degli anni Venti; nel 1931 Adolf Rickenbacker inventò il pickup elettromagnetico, cioè un dispositivo in grado di trasformare in impulsi elettrici le vibrazioni delle corde; nel 1935 la Gibson perfezionò il modello e fece nascere la ES 150 (ES sta per Electric Spanish), che consentiva finalmente al musicista di suonare asieme al gruppo ed essere sentito.
Tutti questi esperimenti consistevano però nell’applicazione dell’amplificazione elettrica a uno strumento tradizionale, il che creava non pochi problemi, primo fra tutti la risonanza fra la cassa armonica dello strumento e il suono emesso dall’amplificatore, cioè il famigerato feedback: ronzii, fischi, rimbombi e disturbi vari, tanto più evidenti e fastidiosi quanto più alto il volume.
Il problema venne parzialmente risolto solo nel 1941, quando Lester William Polfus, in arte Les Paul, inventò per la Epiphone uno strumento che battezzò The Log, che significa “il ciocco”. Era una chitarra fatta da un unico blocco di legno e fu la prima semi-solid (perfezionata nella Gibson ES 335 TD, fu la capostipite delle chitarre jazz-rock).
Il passo successivo e cruciale fu però la Broadcaster. Costruita da Leo Fender nel 1948, era una chitarra in legno massiccio, a corpo pieno (solid); eliminava le risonanze indesiderate e il suo funzionamento era semplicissimo. Era anche di facile e veloce fabbricazione: le diverse parti andavano semplicemente assemblate e non serviva più un liutaio esperto, bastava una buona officina. I costi diminuirono sensibilmente, e il successo fu enorme: la Broadcaster si trasformò presto nella Telecaster, che è tuttora in commercio. Qualche anno dopo arrivò anche la mitica Stratocaster, e il resto è storia.

Che c’entra il Piemonte?
C’entra, eccome. Perché la prima solid body non fu affatto quella realizzata nel 1948 da Leo Fender, ma quella inventata nel 1937 da “Airoldi Valentino, di Galliate”, come recitava la didascalia della foto fascinosa e sgranata che lo ritraeva assieme alla sua invenzione sulle pagine de “Il Popolo – Gazzetta della Sera” del 29/30 settembre 1937.
Valentino Airoldi era un tecnico della Stipel che nel tempo libero amava suonare con un gruppo di amici e che, proprio come i suoi colleghi americani, aveva il problema di far sentire la sua chitarra in mezzo agli altri strumenti. Allora gli venne l’idea di applicare alla musica la sua competenza in fatto di telefonia e trasmissione del suono. Usando dei comuni ricevitori telefonici costruì un meccanismo fatto da due calamite e due bobine, poi lo sistemò sul manico di una chitarra alla quale aveva tolto la cassa armonica e allacciò il tutto alla presa “Phono” della radio. Bell’e fatto: il suono delle corde usciva forte e chiaro dall’altoparlante della radio. Airoldi ripeté l’esperimento con un mandolino, con successo pieno.
Tutto qui, semplice e geniale come solo le grandi invenzioni sanno essere.

Solo che…
Solo che Airoldi non aveva alle spalle un’azienda produttrice di strumenti musicali, e all’epoca non esisteva in Italia una concezione di marketing e sfruttamento commerciale, diffusione e pubblicizzazione di un’invenzione paragonabile a quella che già era ben attiva negli Stati Uniti.
Airoldi probabilmente aveva la mente di un Edison, ma di sicuro non ne aveva la scaltrezza e spregiudicatezza affaristica.
Per farla breve, Airoldi non brevettò la sua invenzione e non prese contatti con i fabbricanti di strumenti musicali, così la sua chitarra rimase una curiosità da condividere con gli amici, un passatempo al quale dedicarsi nel poco tempo libero che il lavoro e le esigenze del quotidiano gli consentivano di ritagliarsi. E così, mentre il nome di Fender ascendeva all’Olimpo della musica, quello del geniale inventore di Galliate fu consegnato all’oblio, dal quale uscì solo in rare occasioni, come quando alcuni articoli parlarono alla fine degli anni Ottanta. 
Adesso, grazie all’Associazione Culturale a lui intitolata, dal 2008 Valentino Airoldi può ricevere almeno in parte l’omaggio che gli è dovuto.
Ogni anno, a luglio, Galliate dedica al suo geniale cittadino il festival Master Guitar: concerti,  incontri e workshop dedicati a tutti gli stili e le declinazioni di quello che è oggi il più popolare fra gli strumenti musicali.

 

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