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“In barbaras gentilium terras”. Carlo Giovanni Turcotti, il gesuita dimenticato – di Carlotta Tonco

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Carlo Giovanni Turcotti, il gesuita dimenticato
di Carlotta Tonco

Può una società dimenticare completamente una figura che è diventata particolarmente importante nel corso della storia? Certamente sì. Nel corso dei secoli sono stati parecchi i personaggi che per colpe, errori o per il semplice fatto di andare contro la linea del potere comunemente riconosciuto, sono stati estirpati dalla memoria collettiva.
E tra questi c’è anche il valsesiano Carlo Giovanni Turcotti, figura poliedrica che lasciò la sua terra per andare in missione in Oriente. Difficile comprendere il motivo per cui sia poco, se non del tutto sconosciuto si più. Sta di fatto che oggi a parlare di lui sono ormai soprattutto pochi studi storici specializzati e le sue lettere, pubblicate nel 2018 nel libro In barbaras gentilium terras. Epistolario del gesuita Carlo Giovanni Turcotti (1634-1706) e conservate presso l’archivio storico della Compagnia di Gesù di Roma.
Da quanto si evince dai documenti, Turcotti nacque a Varallo Sesia il 9 ottobre 1643 e a soli 17 anni fu assegnato al collegio di Genova dei Gesuiti. Sulla sua vita giovanile non si hanno molte notizie. Si suppone che provenisse da una famiglia umile proprio perché lui stesso in uno dei suoi scritti precisa “non essendo io allevato ne primi anni alle nostre scuole et congregationi ma lontano e da parenti”.
Sono poche anche informazioni in merito alla formazione; tuttavia, è certo che ben presto nel corso dei suoi studi emerse il desiderio di essere mandato in missione all’estero. Questo dato lo si coglie da molteplici lettere scritte di suo pugno. La prima è datata 3 dicembre 1664, e a questa ne seguirono altre.
E si può dire che la paziente attesa di Turcotti alla fine lo premiò, dal momento che nel 1669 finalmente ebbe il benestare per partire esappiamo che nel 1671 era in viaggio verso le Filippine per sostituire un compagno malato.
Tra il 1674 e il 1679 visse una serie di esperienze di evangelizzazione tra l’isola di Siau e Macao: non furono sempre semplici e fu anche imprigionato. A seguire, entrato nell’elite dei membri della Compagnia di Gesù, venne inviato in Cina, a Canton e alla sua morte, avvenuta in Cina il 15 ottobre 1706, era un gesuita di altissimo rango.
Della sua esperienza, come si accennava, rimangono una cinquantina di lettere pressoché inedite, alcune delle quali scritte in cinese. Nella maggior parte dei casi si tratta di relazioni in cui Turcotti aggiornava i superiori in merito alla sua attività di evangelizzazione soffermandosi in particolare su quanto venissero criticati i cosiddetti “riti cinesi” ovvero i metodi utilizzati dai Gesuiti per convertire gli indigeni.
Tra le carte, di particolare interesse risulta una lettera in cui parla di cosa lo abbia spinto a chiedere di partire. Turcotti sottolinea di aver sentito il desiderio di partire nel giorno dell’Annunciazione, il 25 marzo, nella stessa giornata in cui qualche anno prima era entrato nei Gesuiti. Lo scritto esprime tutto il suo fervore missionario: Sentii in me rinovarsi li primi desii del mio foco fervore del Novitiato” e il suo entusiasmo per questa avventura verso il mondo “esotico”. Non bisogna però pensare che la volontà di partire per l’Oriente non generasse qualche riflessione nel giovane varallese: in alcuni punti infatti si chiede se effettivamente potesse meritare di partire, per poi esprimere la sua gratitudine verso la Compagnia per l’opportunità.
Quello che emerge più chiaramente da questa vicenda, tuttabia, è l’oblio calato su questa figura. Nonostante Carlo Giovanni Turcotti sia stato un missionario particolarmente attivo e conosciuto nel suo tempo, e abbia fatto un percorso che ha portato un pizzico di Valsesia in Oriente, la sua terra natia sembra averlo dimenticato. Non ci sono riferimenti topografici che facciano menzione al personaggio e pochi sono oggi i valsesiani che hanno sentito parlare di questa figura vissuta più di tre secoli fa. Sembra quasi che, come il giovane Turcotti volle recidere il cordone ombelicale con la sua terra fin da giovanissimo, così ha poi fatto la terra che gli diede i natali.

Le immagini sono tratte dalla rete e si riferiscono genericamente alla predicazione gesuita in Cina fra XVII e XVIII secolo, non all’esperienza specifica descritta nell’articolo

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