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La tradizione casearia delle valli valdesi – di Monica Onnis

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di Monica Onnis

La Val Pellice, valle alpina in provincia di Torino, a sud della Val Chisone e a nord della Valle Po, prende il nome dal Pellice, torrente che la bagna. Terra di confine (Bobbio Pellice è l’ultimo paese ai piedi delle montagne e a ridosso della Francia), grazie alla sua forte identità – in primis occitana e valdese, e dopo piemontese – ha conservato integre le proprie tradizioni. formaggi-vald-2
Qui vive il nucleo più numeroso della comunità religiosa valdese, la cui presenza è forte anche nella Val Germanasca e nella bassa Val Chisone. Una terra antica e nobile che fa parte della grande area occitana che si estende dalle Alpi del sud fino ai Pirenei, scenario di guerre, violenze e passaggi di soldati. Elementi fondamentali non solo per divulgare alcune tradizioni alimentari, che negli anni hanno finito per assumere forme simili, ma anche per esprimere al meglio il sapere contadino e montanaro. Prodotti genuini, semplici, rispettosi della natura e delle materie prime che negli anni sono andati perdendosi ma che, fortunatamente, grazie all’intervento e all’interesse di enti, associazioni o privati stanno vivendo una seconda stagione. 

Tra i prodotti più arcaici, c’è la Mustardela, di cui si conserva una versione anche nei Paesi Baschi (la morcilla nigra): si tratta di un salume povero, come tutti i sanguinacci, nato per recuperare tutte le parti del maiale. L’antica ricetta contadina utilizza il sangue del suino raccolto durante la macellazione e lo unisce ad un trito grossolano di carni lessate ricavate da testa, cotenna, orecchie, lingua, polmoni e rognoni, ai ciccioli di queste carni, cipolle e porri appassiti nel grasso. Il composto – salato, pepato e speziato con noce moscata, cannella, chiodi di garofano, etc. – viene insaccato nel budello torto e lessato per una ventina di minuti così da assumere la forma cilindrica e leggermente curva di un salame di medie dimensioni, dalla “pelle” lucida, elastica e violacea. Il salume può essere gustato fresco, tagliato a fette e accompagnato dal pane; passato in padella con le cipolle, come ingrediente principale di un’antica pietanza valdese, o ancora, dopo bollitura, servito caldo accompagnato da patate di montagna, purè o polenta.
Le macellerie produttrici, meno di dieci, localizzate nelle Valli Valdesi e nel Pinerolese, hanno costituito un’associazione promossa dalle Comunità Montane del Pinerolese e della Provincia di Torino per la tutela del marchio, e Slow Food ha adottato il salume come uno dei Presidi della Provincia. Altra rarità gastronomica, anche questa con lontane radici nella comunità valdese (sue tracce sono state trovate in documenti di pastori valdesi di secoli passati), è l´Amoursun, che in patois, il dialetto locale, significa “gola”. È un salume comune fino alla seconda guerra mondiale, tempi in cui si doveva consumare tutto del maiale, compresa la gola, che veniva pressata, salata, pepata e stagionata non più di un mese: allora era pronta, da mangiare a fettine, come il lardo.
Altro prodotto tipico della Val Pellice adottato da Slow Food come Presidio della nostra provincia è il Seirass del Fen. Nel dialetto piemontese, l’appellativo “Seirass” pare derivi dal latino “Seracium” e dal francese “Serrè”, ossia stretto: si tratta di una miscela di latticelli crudi e interi che si ottiene riscaldando il siero di latte vaccino, ovino e caprino, in purezza o misto, cui si aggiunge latte intero vaccino, ovino e/o caprino, ottenuto dalla mungitura di animali allevati ad una quota superiore ai 600 metri di altitudine. Pressato, salato e posto a stagionare – per un periodo variabile da 25 a 30 giorni – avvolto nel fieno di erba Festuca, raccolta nel sottobosco di pini ed essiccata l’anno precedente l’utilizzo, il Seirass profuma di pascoli montani e viene prodotto in alcune malghe ancora attive.
Le aziende produttrici hanno costituito l'”Associazione produttori Saras del fèn delle Valli Valdesi”, promossa dalle Comunità montane Val Pellice e Valli Chisone e Germanasca e dalla Provincia di Torino, realizzando un disciplinare di produzione ed un marchio: strumenti importanti per preservare la tradizione e l’originalità di un prodotto che racconta la millenaria attività dei margari. Il fieno, infatti, non solo proteggeva il formaggio nel trasporto da monte a valle, ma lo aromatizzava e, sopratutto, ne difendeva gli attacchi degli insetti. Il Seirass può essere degustato singolarmente, accompagnato da marmellata di mirtilli, sambuco o miele, o usato come ripieno o condimento per la pasta fresca.
Spostandoci nel Pinerolese, precisamente a Talucco, piccola frazione sita nell’alta Val Lemina nei comuni di San Pietro Val Lemina e Pinerolo, troviamo il Tomino del Talucco: un formaggio fresco, che in dialetto locale significa “piccolo formaggio”. Si presenta, infatti, in piccole forme da 50-80 grammi, a base di latte misto (il disciplinare regionale prevede una percentuale del 90% di latte vaccino e 10% di latte caprino): pasta fine, tenera, di colore bianco e senza crosta nel prodotto fresco, che deve essere consumato entro 4-6 giorni; crosta striata e tonalità giallo rossicce per il prodotto stagionato, che dura da 2 a 4 settimane e si ottiene con rivoltamento e salatura giornaliera. Infine, il formaggio è posto a maturare sulla paglia di segale che consente la giusta aerazione e, al contempo, l’eliminazione del siero senza che questo rimanga a contatto con il formaggio alterandone il sapore. Per far rivivere il tomino del Talucco è nato il caseificio Val Lemina, situato nell’omonima valle nel pinerolese pedemontano, nel paese di S.Pietro Val Lemina: seguendo l’antica ricetta di famiglia che si tramanda da almeno sette generazioni, porta avanti un prodotto genuino appartenente alla tradizione locale, trasformatasi nel tempo da mera economia di sussistenza a eccellenza gastronomica.
La produzione è varia: si va dai tomini freschi ai stagionati su paglia di segale e al pepe, chiamati anche “tumin elettric” per il loro gusto saporito, ai “tumin n’cumposta”, passati ad ulteriore stagionatura in apposite giare di terracotta dette “le ule”, in dialetto locale. Il tomino del Talucco si differenzia dagli altri tomini del Piemonte in quanto è l’unico ad appartenere alla famiglia delle cacio-ricotte con riscaldamento del latte in lavorazione sino al raggiungimento di temperature che superano quella di pastorizzazione. Fattore, questo, che dipende molto probabilmente dalla consuetudine di un tempo di portare il latte al limite di ebollizione, unica garanzia di un latte esente da tubercolosi e brucellosi.
Passando in Val Chisone, sempre in tema di tradizione casearia, è la volta del Plaisentif, antico “formaggio delle viole”, prodotto dai margari da almeno cinque secoli, ottenuto da latte non scremato al quale è aggiunta una certa quantità di panna e munto quando le mucche sono appena giunte sui pascoli ancora ricoperti di viole, nei mesi di giugno e luglio. Stagionato 80 giorni e commercializzato solo la terza domenica di settembre, in occasione della festa di “Poggio Oddone” a Perosa Argentina – che ha origine nella notte dei tempi, quando i margari scendendo dall’alpeggio sostavano al Poggio, dando vita al più importante mercato della valle -, il Plaisentif si riconosce dalla lettera “P” e dal logo, riportante una violetta stilizzata, che viene marchiato a fuoco su una delle facce della forma.
Lo stesso logo è diventato il simbolo che segnala l’omonimo sentiero agli escursionisti: un percorso originale nato nel 2005 e che tocca 7 alpeggi (Selleries, Pian dell’Alpe, Assietta, Grand Puy, Chezal, Laval, Troncea, Pradamont), tutti collocati in alta Val Chisone, con pochi sconfinamenti nella vicina Valle di Susa, per raccontare e valorizzare l’economia pastorale che da sempre caratterizza il territorio. Grazie a un progetto di riscoperta e valorizzazione della Comunità Montana Valli Chisone e Germanasca e del Comune di Perosa Argentina, sostenuto dalla Provincia di Torino, se ne producono alcune centinaia di forme all’anno e l’antica ricetta è tutelata dalla Confraternita dei Cavalieri del Plaisentif. 

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