La Grande piccola pasticceria di Alessandro Dalmasso
di Lucilla Cremoni
“Il pasticciere “di successo” dei giorni nostri non può solo essere la star mediatica, chi ha altezzosi gesti artistici, chi vanta
Abitiamo un’epoca di chef-divi e pasticcieri-divi il cui ego ipertrofico deborda da schermi televisivi e social media costruendo personaggi la cui reputazione non è necessariamente pari alla qualità (e al prezzo) dei piatti e prodotti che creano.
Non è il mondo in cui si muove Alessandro Dalmasso, un professionista fermamente convinto che la comunicazione sui social debba “essere veritiera e non dare una falsa impressione che poi il ciente non perdona”. Infatti Dalmasso non è un divo dei social, ma resta il massimo rappresentante della pasticceria mignon della più alta tradizione – e innovazione – piemontese e italiana.
La pasticceria mignon è quella fatta di pezzi che si gustano in un solo boccone (come vuole l’onnipresente citazione gozzaniana, che ci risparmio): bignoline, cannoncini, funghetti, cubetti tagliati alla chitarra, tartellette, in una varietà il cui limite è solo la creatività del pasticciere.
È il vertice tecnico e il fiore all’occhiello della pasticceria italiana, e il Piemonte ne è la riconosciuta e ineguagliata capitale e culla. Senza mancare di rispetto a nessuno, un maritozzo eccellente si può trovare ovunque, ma il livello estetico e qualitativo della pasticceria mignon praticata dai migliori artigiani torinesi e piemontesi si trova solo qui. Bisogna promuoverne la conoscenza e l’apprezzamento, senza campanilismi ma con il giusto orgoglio che una tipicità di tale eccellenza può rivendicare.
La riconosciuta talent scout di Dalmasso è stata Emilia Chiriotti, la prima a scoprire le potenzialità di quel ragazzino schivo e gentile che ha ricevuto e riceve innumerevoli riconoscimenti e oggi è vicepresidente dell’Accademia Maestri Pasticcieri Italiani, presidente del Club de la Coupe du Monde de la Pâtisserie nonché mentore e allenatore della squadra italiana (la più giovane di sempre) che nel 2019 ha conquistato un magnifico terzo posto ai campionati mondiali di pasticceria a Lione e di quella che parteciperà alla prossima edizione, nel 2021.
Schivo e gentile lo è sempre, e il suo valore è riconosciuto al punto che Dalmasso è uno dei pochi professionisti di cui nessuno riesce a sparlare – un fatto non da poco in un mondo in cui l’ego e l’invidia spesso montano più della panna.
Codificare e divulgare il mondo della pasticceria mignon è un lavoro complesso, il che contribuisce a spiegare il lungo processo di gestazione di questo libro il cui scopo non è solo quello di essere bello – anche se lo è, grazie alla fotografia raffinata di Claudio Allais – ma di essere utile e di “essere venduto, proprio come la pasticceria”, come ha ricordato Dalmasso durante la presentazione. Per questo, il lavoro è improntato alla concretezza, a “come le cose si fanno per davvero”.
Oltre che di ricette, è ricco di consigli, valutazioni tecniche e considerazioni. A partire dal concetto di standardizzazione. Chi ha in testa la pubblicità che mostra pasticcieri-maghi intenti a fare uno a uno, ieraticamente, biscotti e cioccolatini, molto probabilmente ne ha un’idea negativa, associandola alla produzione industriale di massa. Ma se assistesse a laboratori o seminari per professionisti si renderebbe conto che non di questo si parla, e che “standardizzare la produzione” non significa togliere anima e personalità, ma garantire lo standard. Dover dare al cliente la certezza di ritrovare quei prodotti, e quel livello qualitativo, è una consapevolezza che deve informare il lavoro di chiunque non fa dolci per passatempo ma da professionista.
Perseguire la perfezione significa, per Dalmasso – per il quale la pasticceria non è stata una “chiamata”, ma l’evoluzione naturale di un bambino cresciuto in un laboratorio di pasticceria – unire col massimo profitto l’approccio scientifico che
All’atto pratico, ci ricorda Dalmasso, la gente in pasticceria chiede più o meno sempre le solite cose, quelle a cui è abituata, che rafforzano un senso di familiarità e appartenenza. Proporre dolci che ci rappresentano in termini di cultura e tradizione di un territorio non è un’operazione-nostalgia, ma un segno di rispetto per il consumatore e di concretezza imprenditoriale.
Ma su questa base possono e devono innestarsi l’aggiornamento costante e lo spirito innovatore, che si esercitano in due direzioni: la prima è, ovviamente, l’ideazione di nuovi prodotti da proporre parallelamente a quelli consueti. Bigné di colori e forme diverse pur nel contesto di una categoria riconoscibile di prodotto: ne è emblema la spettacolare bignolina Caldarrosta, con bigné bicolore, inventata nel 2013 e ormai un classico. E senza dimenticare che l’ambito della pasticceria mignon copre sia lo spettro del dolce sia quello del “salato”, in cui Dalmasso riprende un grande classico piemontese, la “pasta reale” (microscopici bigné che erano serviti con il brodo) e la declina in mille modi, col valore aggiunto dell’intrigante gioco di illusione ottica in cui i salatini hanno forme e colori pressoché identici a quelli delle loro “sorelle dolci”.
Ci sono voluti 1236 giorni – tre anni e rotti – di lavoro editoriale per dare al pubblico una completa e meticolosa codificazione della pasticceria mignon: circa 80 ricette, una ricca introduzione storica a cura di Emilia Chiriotti, ma soprattutto uno strumento di lavoro per i professionisti e di arricchimento culturale per tutti.
Perché, come disse il sedicenne Dalmasso nel 1992 al Sigep ricevendo libri e trofeo dalle mani di Emilia Chiriotti e Gabriel Paillasson, “I libri… cavolo se servono!!!”
Alessandro Dalmasso, La grande piccola pasticceria, Chiriotti Editori 2020, 408 pagine, 65 euro shop.chiriottieditori.it