Il ritorno del gipeto
di Michela Damasco
Circa 20 milioni di anni fa, infatti, c’erano varie specie di avvoltoi. Da questi si è evoluto anche il gipeto, che si nutre di carcasse di ungulati selvatici e/o domestici. L’alimentazione si basa soprattutto sulle ossa. Consumando le carogne rimaste sul terreno, il gipeto dà di fatto un contributo importante contro la diffusione di malattie. La perdita di risorse, con la diminuzione degli ungulati selvatici e l’atteggiamento ostile dell’uomo, fa però sì che nell’800 la specie avvii una fase di declino, fino alla totale scomparsa dalle Alpi ai primi del 900.
Poi, dopo decenni, l’avvio di tentativi di rimescolamento genetico, trasferendo i vari riproduttori da uno zoo all’altro, fra i 39 coinvolti, fino a raggiungere un numero di pulcini ritenuto sufficiente al rilascio in natura con il metodo dell’hacking, ossia la liberazione in siti idonei di giovani non ancora in grado di volare, ma già abbastanza
Oltre ai rilasci, il progetto opera anche un’azione di monitoraggio, che si basa sulle segnalazioni, che hanno permesso di avere un quadro più preciso della situazione. Inoltre, i gipeti reintrodotti sono “contrassegnati” con marcature alari e talvolta caudali realizzate con la tintura di alcune penne, che li rende temporaneamente visibili
in volo; anche la dotazione di anelli colorati, che presenta il vantaggio della lunga durata, è utile all’identificazione individuale, anche con i gipeti a distanze non elevate. Nel 2010, invece, otto giovani sono stati marcati con radio satellitari, in tre parchi in Francia, Svizzera e Austria.
nome, che spesso ha un significato a livello locale: un monte, un paese, una persona scomparsa, un amico, uno sponsor. Elena, in onore di una ragazza scomparsa di recente, e Spelogue, antico nome di Monaco, scelto come ringraziamento alla Fondazione Alberto II di Monaco che ha finanziato le operazioni di rilascio, sono stati costantemente monitorati fino al mese di agosto e hanno ricevuto un grande aiuto da Paolo Peila, adulto territoriale, rilasciato nel 2002, che ritorna più volte sul sito del proprio rilascio. Un comportamento di adozione in natura osservato per la prima volta in natura.
Le ragioni, come spiega una tesi di laurea di Laura Molinaro, corso di Biologia dell’Università di Parma, possono essere diverse, anche perché, tendenzialmente una coppia, verso i giovani, è da indifferente e aggressiva. “Al rilascio, che è pubblico, hanno partecipato circa 300 persone, spiega ancora Luca Giraudo, perché la specie ormai è conosciuta: nel corso di questi eventi, spesso si organizzano pranzi e cene. Dopo il rilascio dei primi gipeti, era importante avere un riscontro sul territorio e sono state organizzate anche campagne nelle scuole”.
Un grande lavoro, che ha dato i suoi frutti: “In assenza di mortalità aggiuntiva, prosegue Giraudo, al momento la popolazione si autosostiene con la nascita in natura: ogni anno, nascono 8 o 10 gipeti”. Il problema, semmai, può essere rappresentato dall’uomo: “I gipeti si nutrono di carogne, quindi potrebbero avvelenarsi con il piombo delle munizioni: i bocconi avvelenati potrebbero creare problemi se aumentassero. Un altro problema potrebbe essere rappresentato dall’aumento di impianti eolici industriali nelle Alpi, nei prossimi anni”.
Ora come ora, però, il progetto dimostra di funzionare, anche perché “è impostato bene: gli animali non hanno bisogno di risorse aggiuntive e le Alpi possono supportare la popolazione di gipeti senza interventi ulteriori”.
Uno dei prossimi obiettivi è la formalizzazione delle Rete Osservatori Alpi Occidentali a livello regionale. La
Ancora una volta, l’uomo ha il potere di aiutare o mettere in difficoltà l’elegante gipeto. Per ora, l’avvoltoio “barbuto” può ancora librarsi con leggerezza e lunghe virate, permettendo a sempre più fortunati di dire, con la naso all’insù: “Ho visto un gipeto!”.
Info: www.parcoalpimarittime.it
Immagini fornite dall’Ente Parco