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Un fiume tutto per loro – di Giulia Dellepiane

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La tradizione del canottaggio a Torino

di Giulia Dellepiane

  
Una storia tra le più antiche d’Europa, un campo di gara unico al mondo, un amore e una tradizione sempre vivi. Per questi ed altri motivi il canottaggio a Torino è uno degli sport più amati e praticati. E non importa se è ingiustamente considerato “minore” o “maschile” o se qualcuno lo confonde con la canoa: gli iscritti sono in continuo aumento, soprattutto tra le donne e i seniores.
canottaggio-1Una conferma di questa passione è che Torino rispetto ai suoi abitanti ha un numero spropositato di circoli di canottaggio, spiega l’avvocato Riccardo Vitale, già presidente della Reale Società Canottieri Cerea ed esperto di storia di questo sport,  ben nove: Esperia, Amici del Fiume, Caprera, Armida, Cerea, Eridano, Cus, Sisport Fiat, Amici del Remo. Questa situazione non giova sul piano agonistico perché abbiamo tutti pochi atleti, ma una riduzione è impensabile visto che ognuno è geloso della propria storia, che in molti casi è assai antica”.
Quando inizia la tradizione torinese?
Attorno agli anni Sessanta dell’Ottocento, su barche da pescatori a sedile fisso o su traghetti, insomma imbarcazioni da lavoro come le lance. A quell’epoca nacquero i circoli più antichi: il Cerea nel 1863, l’Eridano nel 1864, l’Armida nel 1869 e così via. Ce n’erano anche altri che poi sono scomparsi, ad esempio alcuni documenti dimostrano che nel 1864 il Comune concesse due stanze al Gisella, che oggi appunto non esiste più. Poi,
attorno al 1880 dall’estero, che era più avanti, cominciarono ad arrivare le prime barche olimpiche con carrello mobile e scalmi esterni. Nel 1890 il Cerea fece arrivare il primo allenatore dall’estero a insegnare la tecnica”
.
Qual era la situazione nel resto d’Italia?
All’epoca Torino, in quanto capitale, era il centro propulsivo di tutti gli sport. Ad esempio, oltre alla Federazione italiana canottaggio (Fic), sono nate qui anche la Federazione podistica, poi divenuta atletica, e quella dello sci. I Savoia favorivano queste attività per due motivi: in primis per avere soldati più forti e poi per la salute pubblica, e in particolare lo sviluppo dei giovani. Anche le riviste per le famiglie dell’epoca hanno fatto la loro parte nel promuovere la salute attraverso lo sport, che però rimaneva un’attività soprattutto per benestanti. A queste spinte propulsive si è aggiunto l’esempio dell’estero”.
All’epoca com’era il canottaggio fuori d’Italia?
In Inghilterra, Francia e Germania questo sport si era sviluppato nella sua forma moderna già negli anni Cinquanta dell’Ottocento, ma anche lì in modo discontinuo, non uniforme e non specializzato. Ad esempio all’epoca un corso di canottaggio durava una sola settimana, una quantità di tempo cioè che oggi è considerata largamente insufficiente. L’allenamento poi non esisteva quasi: i tedeschi per esempio ancora nel 1903 impedivano ai lavoratori manuali di gareggiare, non solo per classismo, ma anche perché non c’era storia per la differenza di forza fisica, per dire, tra un operaio e uno studente. Una volta si remava solo nella bella stagione e lo sport non era esclusivo. Ad esempio Ottorino Mezzalama, inventore dello scialpinismo e socio Cerea, faceva anche ginnastica, boxe e scherma”.
Quand’è che il canottaggio diventa più popolare?
Negli anni Venti del Movecento, e infatti all’epoca nacque il Sisport che era il dopolavoro della Fiat. In tutta la Penisola all’epoca si arrivò a contare un centinaio di circoli (oggi sono circa trecento). Nonostante tutto, però, il canottaggio ha mantenuto e mantiene tuttora certe tradizioni di non-volgarità, al contrario di altri sport. La prima blanda specializzazione arrivò negli anni ’40. C’è voluto tempo prima di arrivare all’esasperazione della preparazione atletica di oggi, che è tipica di tutti gli sport. Ancora i nostri ottantenni ricordano che da giovani si allenavano meno dei sessantenni di oggi”.
La Federazione italiana canottaggio quindi è nata a Torino…
Sì, nel 1888. Il primo presidente fu Scarampi di Villanova, che ricopriva anche la carica di presidente dell’Eridano. Anche in seguito, per anni, i vertici Fic furono quasi sempre tutti torinesi, perché a Torino più che in ogni altra città italiana questo sport si praticava a livello agonistico. Ma persino la Federazione internazionale (Fisa) nacque per impulso torinese e fu fondata nel 1892 assieme a Francia, Svizzera e Impero austro-ungarico. Inizialmente Inghilterra e Germania non aderirono perché non ammettevano le gare con premi in denaro. La federazione nacque principalmente per uniformare le gare in generale. La sede della Fisa allora era sotto la Mole in via San Francesco da Paola. Oggi è a Losanna”.
Anche le gare quindi hanno una loro storia?
Certo. Inizialmente si svolgevano in modo molto irregolare, appunto, alla carlona: con mare grosso, barche non uniformi e così via. La prima gara europea si tenne sul lago di Pallanza nel 1893. Oggi non si fanno più gare importanti sui laghi grandi perché sono troppo ondosi. Anche il Po a Torino è poco adatto perché è troppo stretto, con tutti gli equipaggi che ci sono. Per questo da noi sono solo due le gare di rilevanza europea: l’Inverno sul Po, che da venticinque anni si tiene a metà febbraio ed è una gara a cronometro, e il Silver Skiff, che si tiene in autunno dal 1992 ed è riservato ai singoli. Poi ci sono gare minori ma molto popolari come quella tra Università e Politecnico. Va detto anche che nella storia del canottaggio torinese tutte le società hanno avuto i loro momenti di gloria sportiva. La Cerea ha vinto tutto dal 1890 al 1910 perché si è potuta permettere allenatori stranieri, poi via via  anche gli altri circoli hanno primeggiato e hanno avuto fasi di reflusso. L’ultimo è stato il Sisport: fortissimo dagli anni ’60 ai ’90. Oggi invece c’è una condizione di sostanziale parità tra tutti”.
Secondo lei perché i torinesi amano così tanto il canottaggio?
Perché qui ha una storia antica e sentita, ma anche perché ha un percorso che nessuna altra città può vantare: ce lo dicono persino gli atleti che vengono dall’estero. Il fiume è quasi solo per noi, in mezzo a un parco, vicino a castelli reali e con la vista delle montagne. Tutti rimangono incantati. Ad esempio la celebre gara tra Oxford e Cambridge si tiene nella periferia di Londra col contorno di capannoni e qualche albero”.
Qual è il futuro di questo sport sotto la Mole?
Non glielo so prevedere, ma credo che la tradizione continuerà visto che i giovani ci sono e le ragazze sono in aumento, come i praticanti master che poi sono quelli che iscrivono figli e nipoti. Mi auguro solo che non vengano aperti nuovi circoli per non sparpagliare ancora di più i nostri agonisti”.

 

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