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Alzheimer Café – di Michela Damasco

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A Torino un locale aiuta le famiglie  gestire una malattia che colpisce un milione di italiani

di Michela Damasco

Nel film “Una sconfinata giovinezza”, il regista Pupi Avati cerca, con garbo e pudore, di raccontarlo. A tratti con difficoltà, e non poteva essere altrimenti, se protagonista è l’Alzheimer. La malattia rappresenta il 60% delle demenze ed è un processo degenerativo celebrale che provoca un declino progressivo e globale delle funzioni intellettive, associato a un deterioramento della personalità e della vita di relazione. L’impatto sul caregiver, cioè il alzheimer-2familiare che assiste il malato, è forte. Alto può essere lo stress, può essere compromessa la qualità della vita, cambiano abitudini e relazioni sociali, senza contare la ricaduta economica. Non di rado, i familiari si ritrovano soli a dover gestire la malattia.
Questi motivi, oltre ai servizi spesso insufficienti sul territorio, hanno spinto l’Asvad, Associazione solidarietà e volontariato a domicilio costituita a Torino nel ’90, a creare un luogo d’incontro per permettere ai familiari di confrontarsi: l’Alzheimer Caffè. Il primo nasce in Olanda nel ’97, per volontà dello psicogeriatra Bere Miesen, convinto che paziente e familiare abbiano bisogno non solo dell’assistenza sanitaria, ma anche di un supporto psicosociale. 
L’Asvad, spiega la presidente dell’associazione, Anna Gallo, ha sempre lavorato nel campo dell’assistenza, prima sostenendo l’ospedalizzazione a domicilio, poi rispondendo alle chiamate dei servizi sociali. Dal ’95 eroga assistenza gratuita con iniziative volte al sostegno psicologico e all’ascolto delle famiglie, alla formazione e all’informazione sulla malattia di Alzheimer”. Quest’attività, unita a un’esperienza personale, l’hanno portata a riflettere sui molteplici problemi che la malattia comporta: “Per i familiari c’è il rischio serio di annullamento. Adesso aumentano i nuclei già anziani, o si tratta di figli che vogliono aiutare i genitori ad accudire il malato; alcuni vivono in simbiosi col paziente, pensano di essere i soli a potersene occupare, non accettano appieno la malattia. Bere Miesen ha provato a lavorare sui familiari dando uno spazio il più possibile libero ai malati ancora nello stadio in cui sono consapevoli di poter elaborare la malattia”.
L’Alzheimer Caffè, nato anche grazie al contributo di un privato, si trova in via Virle 21, nella sede di Spazzi-La locanda degli arrivanti, progetto delle cooperative sociali Progetto-Muret, Luci nella Città e dell’Associazione Arcobaleno. Dopo la presentazione, il 15 dicembre 2010, da gennaio 2011 sono iniziati gli incontri con cadenza mensile, in un luogo dove si organizzano eventi, colorato e allegro, quanto di più lontano da un ospedale o da un centro attrezzato: “Molti Alzheimer Caffè sono all’interno di centri diurni. In questo caso, invece, i familiari possono incontrarsi in un contesto esterno alle istituzioni”. Il che non significa assenza di metodo: gli obiettivi sono conoscere da vicino la realtà delle famiglie e migliorare gli interventi, ridare benessere e autostima per combattere la solitudine dei caregivers, dando loro la possibilità di creare reti di solidarietà, informare le famiglie e dar loro strumenti per poter gestire meglio la malattia.
Il locale degli incontri è dotato di caffetteria: “Finora c’è stata una presenza fissa di circa una ventina di familiari, dai 20 ai 23, spiega ancora la dottoressa Gallo, mentre il numero dei malati al seguito varia da 5 a 8. In ogni incontro, poi, si fa l’accoglienza di due nuove famiglie in media”. L’accesso è libero e gratuito (“non chiediamo a chi partecipa di iscriversi all’associazione”). La struttura si avvale di quattro volontari, supportati da studenti del Dipartimento di Psicologia dell’Università e da una tesista, che si occupano dei malati con attività di intrattenimento e stimolo per l’uso delle capacità residue e di un’équipe di salute psicofisica, che segue le famiglie. “Dalle 15 alle 16 i familiari vengono accolti con un caffè e dei dolci, dalle 16 alle 17:30 circa è previsto l’incontro programmato con l’esperto e si chiude con un nuovo momento di socializzazione”. Le famiglie sono contente: “Il risconto è positivo, conferma ancora la Gallo, tanto che dal 2012 verranno organizzati due incontri al mese. Alcuni pazienti, quando tornano a casa, sono più tranquilli, mentre chi li segue ha la possibilità di confrontarsi e sfogarsi, oltre che di informarsi”. Si crea una rete di solidarietà che supplisce all’insufficienza di servizi: “Alcune famiglie non hanno avuto l’inserimento in un centro diurno, altre sono in lista d’attesa per l’assistenza domiciliare, altre ancora alternative nel proprio quartiere”. Una volta veniva erogato un contributo per poter gestire il malato da casa, ma ora la mancanza di fondi rende tutto più difficile, senza contare che a Torino non ci sono centri dedicati esclusivamente ai malati di Alzheimer, ma solo strutture integrate che prevedono anche i malati di Alzheimer. E se la sanità è gratuita, i costi dell’assistenza sono commisurati al reddito: “Chi ha bisogno è restio a rivolgersi al servizio sociale. Spesso siamo noi, come associazione, a mediare”.
E pensare che, stando ai dati dell’Alzheimer’s Disease International relativi al 2010, nel mondo i malati di Alzheimer e di altre demenze sono 36 milioni nel mondo, un milione in Italia, tanto da parlare di priorità sanitaria del XXI secolo. Molto si potrebbe e dovrebbe fare, a maggior ragione pensando che molti figli di oggi, che potrebbero ritrovarsi ad accudire genitori malati, sono lavoratori precari. 
In Italia, al momento, il quadro dell’assistenza rimane quello delineatosi nel 2000 a seguito del Progetto Cronos, con la realizzazione delle Unità di Valutazione Alzheimer (UVA): Regioni e Province avrebbero dovuto individuare le strutture per la diagnosi e il trattamento della malattia. Non sempre questo è successo: “Il progetto, precisa la Gallo, doveva essere attivato in tutte le Asl, ma man mano è andato scemando”.
In questo scenario, un’iniziativa come l’Alzheimer Caffè, già solo per il fatto di essere gratuita, diventa un toccasana. “Ci sono signore che agli incontri portano qualche dolce e pazienti che si portano a casa i lavori iniziati col gruppo, come fossero compiti”. Il progetto, comunque, costa: dall’affitto del locale, alla persona che si occupa del bar, passando dal costo degli psicologi fino al materiale didattico e al rimborso dei volontari. 

Si partecipa a bandi, si conta sull’appoggio del Centro Servizi per il Volontariato della Provincia e si lavora a nuove idee, come creare Alzheimer Caffè in altre realtà: “In vista della prossima Giornata Mondiale dell’Alzheimer, a settembre, stiamo lavorando a una mostra fotografica. I pazienti che vengono al centro stanno lavorando per costruire una cornice in cui mettere la foto del gruppo”. Intanto, esistono già realtà a Biella e Dronero, nel Cuneese, “Siamo stati contattati da Piossasco, prosegue Anna Gallo, che vorrebbe aprire una struttura simile: spesso il problema consiste nel trovare un locale adatto, che potrebbe comunque essere anche solo una bocciofila. A Parigi, ad esempio, per le associazioni vengono messi a disposizione i bistrot”. Non male come modo per gestire meglio la malattia.

Info www.asvadtorino.org

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