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Raffaele Palma, l’arte della satira – Intervista di Nico Ivaldi

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Magia? No, burla

Intervista di Nico Ivaldi

Ridere, ridere, ridere ancora.
palma-1Sembrano adattarsi alla perfezione a Raffaele Palma (disegnatore, umorista, insegnante di satira, scultore, scrittore, storico dell’arte) i versi della celebre canzone di Vecchioni.
Cinquantasette anni ben portati, sorriso luminoso, una voce che conquista: trenta e più anni fa Palma suscitava scalpore al premio “Satira politica” di Forte dei Marmi per le sue sculture polimateriche, vere e proprie satire contro i poteri, militare e clericale, soprattutto.
Oggi organizza tour molto particolari a Torino per dimostrare come i fregi, i decori, i mascheroni scolpiti sui palazzi della cosiddetta “città magica”, invece che simboli del male in realtà, altro non sono se non scherzi lasciati da architetti e operai burloni. Un’interpretazione scientifica anche la sua, sulla quale, verrebbe da dire, c’è ben poco da scherzare.
Dunque, sempre di risate si tratta.
Nasco umorista” racconta Palma, all’interno delle fresche sale della Gam. “Ebbi la fortuna di lavorare fianco a fianco con mostri sacri come Giorgio Cavallo. Lui e altri sostenevano che il dono del saper ridere fosse un dono naturale che andava solo raffinato. Io invece sostengo tuttore che la risata, con determinate tecniche linguistiche o di comportamento, si può anche apprendere”.
La curiosità spinge Palma (tra i primi in Italia a diffondere i motivi della comicità e dell’umorismo quali fonti di benessere, salute e risoluzione dei conflitti interiori) a organizzare nell’89 l’incontro “Sorriso e Salute”, patrocinato dall’Ordine Nazionale dei Medici e dall’Ordine Nazionale dei Farmacisti, e poi, in seguito, a tenere corsi di aggiornamento per gli insegnanti sull’arte del saper e far ridere.
Ancora prima di Patch Adams, dagli Stati Uniti mi contattarono psicoterapeuti della risata. Oggi negli ospedali girano pagliacci. Io sono d’accordo solo se fanno ridere i bambini malati, non gli adulti che, se sofferenti di disturbi psichiatrici particolari, possono essere ancor più destabilizzati, invece di trarne un reale beneficio”.
Allora non è vero che si può ridere sempre e di tutti?
Tutte le forme della risata sono valide, ma entro certi limiti. Secondo me, in ogni atteggiamento negativo della vita c’è comunque un aspetto paradossale e se tu questo paradosso lo sai mettere a fuoco nella giusta luce, ti viene da sorridere. Quando parliamo di “ironia della sorte” in un evento negativo, è una frase che già ci fa vedere come in un evento negativo, ci possa essere l’aspetto della risata. Ma questo riusciamo a coglierlo solo quando siamo coinvolti in prima persona. Se riusciamo a farlo con noi stessi, abbiamo raggiunto un traguardo importante: non soltanto quello di superare l’aspetto negativo della vita, ma di vederlo a livello parossistico. Quando organizzavo “Torino Black Humour”, dove partecipavano alcuni tra i più importanti disegnatori umoristi europei, mi sono scontrato più volte con svariate associazioni di volontariato verso i disabili. Pensa che, dopo aver fatto il volontario per l’Avo, ne sono stato allontanato, perché, mi dissero, “tra gli infermi non c’è posto per il buonumore, ma solo per la sofferenza”. Per fortuna, molti, tragli stessi disabili, hanno preso le mie difese: hanno capito che si può anche ridere delle proprie disgrazie”.
Chi fa della satira può avere condizionamenti?
Assolutamente no, ed è il motivo per cui, nel corso della mia attività di disegnatore umoristico, ho collaborato poco con giornali, proprio per non essere costretto a rispettare la linea politica di quel giornale. L’artista dev’essere libero di potersi esprimere. Purtroppo la stragrande maggioranza dei miei colleghi ha venduto la propria satira per un’ideologia politica e questo, per un anarchico come me, è una cosa tristissima”.
Dunque non esistono disegnatori liberi?
Certo, ma sono pochi. Giorgio Forattini è uno di questi perché lui, coerente con se stesso, è corso sempre dietro al miglior offerente, e infatti ha lavorato con Paese Sera, Repubblica, La Stampa, Il Giornale, insomma con testate di diversi orientamenti politici. Oggi, che ha ottant’anni, i suoi lavori li mette in rete sul sito”.
E con i politici come sono stati i tuoi rapporti?
Non sempre buoni. Ti racconto questo fatto. Tanti anni fa, quando lavoravo per il Comune di Torino come insegnante di umorismo e satira nelle scuole medie inferiori, andai a fare un servizio su oggetti grotteschi (vasi, anfore, ecc.) al cimitero monumentale, per una mostra che stavo preparando. Visto che alcune foto non vennero bene, io e il fotografo ritornammo una settimana dopo al cimitero, ma quegli oggetti non c’erano più. Allora rifotografammo il tutto e mandammo il servizio a varie testate giornalistiche. Al Comune mi chiesero come mai non avessi dato a loro le foto. E io dissi: Perché voi lo sapevate già dell’esistenza di quegli oggetti. Morale: da quel giorno mi tolsero i corsi. Per protesta feci 40 giorni di sciopero della fame, ma ottenni un’insperata pubblicità. Tutti parlavamo di me”.
E come andò a finire?
Che sul tavolo dell’allora sindaco Castellani piovvero oltre tremila cartoline di protesta firmate da insegnanti e studenti affinchè venissero ripristinati i miei corsi. Così venni riassunto, poi l’iniziativa andò a morire naturalmente negli anni successivi”.
E la Chiesa?
Fu l’unica a non arrabbiarsi, nonostante avessi ironizzato, in un’area sacra, su aspetti inerenti il cattolicesimo. Sempre in tema religioso, mi sono anche occupato di smitizzazioni umoristiche relative alla Sacra Sindone, collaborando con uno studioso della materia, Don Giuseppe Terzuolo, sacerdote salesiano bibliotecario della Basilica Santuario di Maria Ausiliatrice di Torino. Nella cappella della Sindone, ad esempio, ci sono delle scritture antropomorfe di donne con tanto di seno di fuori, con una specie di gonnellino africano. Non c’entrano niente con il sacro. Da questo studio ho tratto un libro, uno dei quindici in oltre trent’anni di attività”.
Intanto nel 1984, Palma aveva fondato il il CAUS, Centro Arti Umoristiche e Satiriche (www.caus.it), la cui attività si sviluppa nel campo dell’arte, della grafica, della comunicazione, dell’ambiente e dell’architettura, nella didattica e nella pedagogia nonché nella formazione scolastica e universitaria con corsi indirizzati agli studenti e al corpo insegnante. Promuove mostre, manifestazioni, convegni e dibattiti a carattere nazionale ed internazionale. Ma soprattutto organizza tour a testa in su per Torino…
Tutto nasce quando, da bambino, andavo a passeggio con mio papà, che osservava curioso monumenti, lapidi e sculture e si chiedeva: “Ma chissà cosa rappresenta, e chissà cosa c’è scritto, cosa vuol dire..” M’incaricava di documentarmi e di dare risposte alle sue curiosità. Col tempo la sua è diventata anche la mia curiosità, e così anch’io mi sono messo a girare la mia città, a descrivere rilievi, lapidi, incisioni e la relativa anedottica, per tracciare itinerari turistici alternativi”.
E che cos’hai scoperto?
Che più guardo Torino e più vedo che ci sono tante cose da scoprire. Questa città sintetizza un mondo artistico che andrebbe conosciuto da tutti. La sua immagine turistica non è solo data dai monumenti e dalle opere architettoniche, ma anche dai suoi decori, vere e proprie opere d’arte e d’artigianato, fatti in muratura, in gesso, in ferro battuto, in vetro”.
Hai girato tutta la città?
Sì, naturalmente il quartiere più ricco di fregi è il centro”.
La tua missione è: sdrammatizzare Torino…
Ho scoperto e dimostrato che certe leggende magiche su rilievi e mascheroni, diffusesi negli anni ’70, creando l’aura di città magica, non hanno fondamento. Gli stessi aneddoti, con variazioni minime, si trovano anche in altre città del mondo”.
Qualche esempio?
Il mascherone sul Mastio della Cittadella, al di sopra di una porta finta. Simbolo del male? No, uno sberleffo ai nemici, che tentavano di forzare l’uscio. Quando di accorgevano dell’inganno, alzavano gli occhi al cielo e vedevano il mascherone che faceva la linguaccia. Ma Il grottesco, il goffo, il brutto, l’innaturale, lo trovi anche sull’esterno delle chiese. E allora ti chiedi come mai? Verosimilmente è preso da un’arte pagana per scongiurare l’ingresso del male. Ovviamente è una diceria, non sappiamo se l’architetto voleva fare proprio quello intenzionalmente”.

Le immagini relative ai lavori di Raffaele Palma sono tratte dal sito www.caus.it 

 

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