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Quelli del Magarotto – di Silvia Nugara

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Breve storia del Convitto per Sordi di Torino

di Silvia Nugara

Non sono forse molti i torinesi a sapere che nel quartiere Mirafiori, a un passo in linea d’aria dall’arco olimpico, si trova il Convitto Statale per Sordi di via Arnaldo da Brescia 53. La struttura ospita ragazzi non udenti e normodotati iscritti alle scuole superiori o, più raramente, alle medie.
La storia del convitto di Torino ha inizio nel 1949, quando il Convitto per Sordi di Torino, comunità cittadina dei sordi, ottenne in dono dal Comune il terreno di via Arnaldo da Brescia per edificare una “Casa culturale del sordomuto”. L’edificio venne eretto qualche tempo dopo grazie all’aiuto dell’Ente Nazionale Sordomuti (Ens) che chiese di destinarlo almeno in parte a una scuola. Nacque allora il primo nucleo di quello che sarebbe poi divenuto il convitto con annesso l’Istituto professionale Ens di Meccanica “Antonio Magarotto”.
Nel 1973 il “Magarotto” ha aperto le porte anche ai normodotati e da molti anni ha sede autonoma in via Monte Corno 34. Si tratta attualmente di un istituto professionale statale per l’industria e l’artigianato specializzato nella formazione di giovani con deficit auditivi. Con il tempo le iscrizioni di giovani audiolesi al convitto sono diminuite e così nel 2001 si è deciso di ammettere anche convittori normoudenti che attualmente sono la maggioranza. 
Valenza, Santhià, Milano, Piacenza, Benevento, Salerno, Cagliari: a vedere le città d’origine di questi studenti fuori sede viene fuori una mappa quasi completa della penisola. Trasferirsi a Torino dà loro la possibilità di accedere a indirizzi scolastici poco diffusi sul territorio nazionale come l’istituto d’arte o il Liceo d’arte e spettacolo Teatro Nuovo a cui è iscritta la maggioranza dei convittori normodotati, tutti aspiranti attori e ballerini. Roberta, Ramona e Greta invece sono non udenti e frequentano il “Magarotto”. Ramona è rumena e vive in Italia da cinque anni: se tutti i sordi “segnanti” possono dirsi bilingui perché sanno una lingua e la sua versione “segnata”, lei che conosce rumeno, rumeno dei segni, italiano e lingua italiana dei segni (Lis) è praticamente quadrilingue. Ramona e Roberta vengono da Milano e hanno scelto di frequentare una scuola specializzata senza allontanarsi troppo da casa, poiché nel nostro paese si trovano solo altri due convitti statali per sordi, uno a Padova e l’altro a Roma.
Oggi lo scopo di questa residenza è di favorire l’integrazione e l’educazione alle diversità, come spiega il Rettore Pietro Teggi nella sua introduzione al volumetto Un’istituzione educativa: il Convitto statale per sordi di Torino (2002) in cui l’ex-educatore Giuseppe Bernard ha raccontato la storia del convitto: “Il vivere insieme, ragazzi sordi e normodotati, i vari momenti della giornata li spinge a sviluppare corretti modelli di interazione che permetteranno loro di affrontare con maggiore serietà l’inserimento nella vita sociale e lavorativa. Infatti il Convitto non si pone come obiettivo prioritario solo quello di far crescere il livello di istruzione dei propri allievi, ma mira a farli diventare cittadini responsabili e consapevoli di far parte di una comunità complessa, in cui necessitano molte abilità e diversi strumenti di comunicazione”.
All’esperienza del rettore Teggi negli ultimi tre anni si è unita l’intraprendenza di un giovane vice, Marco Merolla, che conosce bene la realtà convittuale per averla vissuta direttamente da educatore ma prima ancora da studente: “Sono entrato a 13 anni al convitto nazionale di Napoli e anche se poi per motivi di studio e di lavoro mi sono spostato è come se non ne fossi mai uscito. Su queste istituzioni ho anche scritto la mia tesi di laurea”. Quando è stato assunto a Torino in qualità di educatore, Marco non pensava che avrebbe lavorato in un’istituzione per sordi:  “Non avendo competenze specifiche nel campo delle disabilità auditive, ho voluto prendere lezioni di lingua dei segni perché imparare a comunicare con questi ragazzi è fondamentale per poterli accogliere e per rispondere alle loro esigenze, sia quelle pratiche sia quelle relazionali”. Per favorire il dialogo tra i ragazzi ogni anno vengono organizzati in convitto corsi di Lis per gli studenti normodotati, ai quali può capitare di sentirsi rivolgere da un amico sordo una dichiarazione che è il più grande attestato di successo: “sei sordo dentro”.
A contatto con la sordità dei compagni, si sviluppa una particolare attenzione per i meccanismi della comunicazione e una certa sensibilità nei confronti delle parole e del loro valore. Si impara per esempio ad evitare il termine “sordomuti”, considerato impreciso e offensivo, perché nei sordi le difficoltà nell’articolare la parola, salvo casi di menomazione dell’apparato vocale, non hanno una ragione fisiologica ma derivano semplicemente dall’assenza di riscontro uditivo. Nel 2006 questa consapevolezza si è tradotta in una legge che ha sostituito la parola “sordomuto” con l’espressione “sordo” in tutti i testi legislativi. “Eppure, dice Marco mostrando una lettera del Ministero, nelle intestazioni dei documenti ministeriali la denominazione ufficiale della nostra struttura è ancora Convitto per Sordomuti. Noi però cerchiamo per quanto possibile di non utilizzare questa dicitura”. Ironicamente, però, il segno per significare “sordo” in Lis continua a essere un tocco che dall’orecchio passa alla bocca, forse perché riappropriarsi delle espressioni stigmatizzanti è un modo tipico per sdrammatizzarle.
La giornata dei circa trenta convittori prevede sveglia presto, colazione, scuola nei rispettivi istituti, rientro in residenza per lo studio, cena nel refettorio e salita in camera per le dieci e mezza. La struttura dispone di una biblioteca, di un’aula informatica attrezzata con diversi pc, di una sala tv e di un teatro dove si tengono lo spettacolo di Natale, le feste e le riunioni. I ragazzi sono seguiti da una decina di educatori presenti in residenza a turni di due o tre. Ciascuno ha tra gli educatori un tutor di riferimento, figura importante soprattutto per coloro che vivendo molto distante da casa non possono rientrare in famiglia regolarmente. Ragazze e ragazzi vivono su piani diversi, suddivisi in camerette generalmente da tre o quattro tranne la famigerata “camera da sei”, quella occupata quest’anno dalle primine che studiano danza al Teatro Nuovo e la cui sveglia mattutina suona prima di tutte le altre, alle sei e mezza. Un’educatrice scherza ricordando la ragazza che in quella stessa stanza l’anno scorso chiedeva di essere svegliata alle sei per evitare la fila ai bagni e poi, tutta vestita e con lo chignon già pronto, si rimetteva a letto fino all’ora di colazione.
Autonomia e spirito di adattamento sono qualità importanti per affrontare quest’esperienza perché se la vita in residenza può essere la sintesi perfetta tra la voglia di fuga dai vincoli familiari e il naturale desiderio di amicizia e protezione, talvolta si desidererebbe un po’ più di privacy e solitudine. Al contrario, la nostalgia di casa non sembra essere un problema molto sentito, neanche dai più giovani, perché come sintetizza una studentessa al primo anno, “qui quando piangi trovi comunque sempre qualcuno che ti consola”.
Quando è possibile, il convitto prende parte a iniziative di socializzazione e formazione, come nel 2010 quando un gruppo di convittori si è unito al Treno della Memoria per visitare i campi di sterminio. Inoltre, in quanto aderente all’Associazione Nazionale delle Istituzioni Educative dello Stato che raggruppa i convitti nazionali, i convitti per sordi e gli educandati, la residenza prende parte alle Convittiadi, manifestazione annuale che prevede una settimana di competizioni sportive e artistiche. La prossima edizione si svolgerà ad Arbatax in Sardegna dal 29 aprile al 5 maggio e il convitto per sordi di Torino cercherà sicuramente di farsi valere nella gara teatrale che, come dimostrano le targhe e i trofei esposti nell’ufficio del Rettore, è diventata ormai la sua specialità.
Il convitto non è immune da difficoltà, anzi, le risorse risultano sempre insufficienti per realizzare tutti i progetti che vengono ideati. Inoltre, il succedersi di educatori con contratti precari ostacola la continuità del percorso formativo, mentre il calo delle iscrizioni di ragazzi sordi dovuto sia alla minore diffusione di questo handicap sia, in certi momenti, alla carenza di personale qualificato nel campo dei deficit auditivi, sottopone la struttura a un continuo rischio di chiusura. Eppure si tratta di un’istituzione dalle grandi potenzialità in cui giovani molto diversi tra loro hanno la possibilità di maturare attraverso un’esperienza interculturale in senso ampio che sollecita al confronto e al rispetto delle differenze siano esse di abitudini di vita, di età, di genere, di provenienza regionale o di abilità fisica.
Info: www.convittosordi.org

 

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