Roasio, il paese con la valigia
di Silvia Bia
Ruggero Micheletti vive in Namibia da dieci anni, ma dice di sentirsi veramente a casa ogni Natale, a Windhoek,
Vivono tutti in Africa, come i genitori e i nonni, da un tempo che ormai sembra lontanissimo. Il “continente nero” è nei ricordi della loro infanzia come la cresta di montagne che separa il territorio di Biella e Vercelli dalla Valle di Gressoney, poco lontano dalle case in cui sono cresciuti.
Il comune di Roasio nella zona è conosciuto da tutti come il “paese degli africani”. Per la gente del posto è normale vivere con la valigia in mano, spostarsi da un continente all’altro, vedere l’Italia una o due volte all’anno e avere parenti sparsi in giro per il mondo.
I cittadini di Roasio sono tutti figli di emigranti. E come i loro padri, che hanno visto a tratti nella loro vita sempre allontanarsi o tornare su un treno, su una nave, e oggi sugli aerei, anche per loro è difficile rimanere e mettere radici in un posto che ha sempre conosciuto partenze e ritorni. Come Ruggero e i suoi fratelli hanno fatto in tanti. Seguendo la fortuna dei padri, conquistata con sacrificio lungo i binari martellati e trasportati a mano dopo la guerra, nel lavoro di cantiere per grandi imprese che in Africa andavano a costruire strade e reti ferroviarie, innalzare ponti, palazzi, aeroporti.
Mentre le ciminiere delle industrie del tessile sputavano fumo, si ingrandivano i casati aristocratici piemontesi e i nuovi borghesi si arricchivano, gli “africani” di Roasio costruivano una storia unica per l’Italia, anche se simile a quella di tanti migranti che fra Otto e Novecento partivano con una valigia di cartone per andare oltreoceano o per cercare una nuova vita al di là delle Alpi. C’erano gli zii d’America e i cugini d’Oltralpe. E poi c’erano gli “africani” di Roasio.
Oggi la storia di questo piccolo paese e dei suoi pionieri d’Africa è racchiusa in un museo che è diventato memoria di tutti coloro che nel corso dei secoli dalle alture di Roasio sono partiti per trovare la propria strada oltre i confini dell’Italia.
A ricostruire le prime migrazioni ci sono i documenti, i primi passaporti, le fotografie dell’epoca. Dalla corsa all’oro alle grandi opere dei giorni nostri, dagli accampamenti in mezzo alla vegetazione selvaggia alle tenute padronali di inizio Novecento. Il nuovo porto di Takoradi nella Costa d’Oro, il ponte sullo Zambesi, la “Independence House” a Lagos. Tutte tracce dei roasiani in Africa. Tutti i cittadini hanno partecipato al progetto donando oggetti, vecchie valigie, immagini e scritti che testimoniavano la propria storia personale di migranti e nel contempo quella dell’intero paese.
Come Ruggero e Velia Micheletti, accomunati dal cognome, ci sono Grato Carlo Cappa, Maurizio Morino, Angelo Valsesia, e prima di loro Agostino d’Alberto, considerato il primo pioniere della corsa all’Africa roasiana. Fu lui ad aprire la strada all’emigrazione nel Continente Nero, seguendo l’esempio di inglesi e boeri, lavorando alla costruzione di ferrovie e strade, e diventando così importante da essere chiamato tra i suoi concittadini il “Re della Costa d’Oro”. La storia di D’Alberto, partito a bordo di una nave con una valigia di cartone, è quella dei roasiani, immortalata tra i cimeli del museo che vigila sulla valle tra Biella e Vercelli. Persone umili che lasciavano alle spalle casa e famiglia per andare tra i pericoli e l’ignoto di un nuovo continente lontano mille miglia, in mezzo a un popolo allora sconosciuto. Che scrivevano alle mogli chiedendosi quanto sarebbero stati più grandi i loro figli, quando li avrebbero reincontrati. Che di giorno faticavano ore sotto il sole per costruire infrastrutture e opere
Quello che non mancava, di certo, oggi come allora, era la voglia di fare, di costruire, di realizzare. Così da braccianti e da operai, quegli uomini sono diventati imprenditori e ingegneri. E oggi hanno fatto la fortuna del loro paese, che nel corso dei secoli è rimasto piccolo, ma è diventato, in un certo modo, grande come tutto il mondo. Oggi a Roasio tornano i pronipoti e i figli degli emigranti da tutti i confini, per cercare le proprie radici. E ora che l’Africa è diventata meta turistica, anche gli italiani possono ritrovare le proprie origini nel Continente Nero. Perché, proprio grazie ai roasiani, un pezzo di Piemonte è anche là.
Questo articolo ha ricevuto una menzione speciale alla V edizione del Premio Piemonte Mese, sezione Cultura e Ambiente
Le immagini sono tratte dalla sezione dedicata al Museo del sito del Comune di Roasio: www.comune.roasio.vc.it.