Un coltello in via di estinzione
di Francesca Dalmasso
Il centro di Vernante, che ora appare tranquillo e silenzioso, un tempo doveva essere rumoroso e movimentato. Il fumo acre delle forge, l’acuto suono dello stridere delle mole, il martellare sull’incudine erano elementi della quotidianità di questo piccolo centro dell’alta Valle Vermenagna. Le case lungo la via principale, ora dipinte con murales multicolori che raffigurano i personaggi della storia di Pinocchio, ospitavano al pianterreno le botteghe in cui si producevano i Vernantin, particolari coltelli a serramanico interamente lavorati a mano con impugnatura in corno.
“Mio nonno ne aveva uno tutto consumato/ chissà quante cose aveva tagliato./ Eppure lo teneva come fosse un tesoro/ era solo un coltello, non era d’oro./ Ci teneva come fosse un amico” recita una poesia di un anonimo esposta nella sede della Pro loco del paese. Il Vernantin, infatti, non è mai stato un semplice coltello, ma rappresentava una parte integrante della vita degli uomini, che lo usavano per lavorare in campagna, per tagliare il pane e il formaggio e anche per radersi. Ancora oggi tra gli anziani del paese è forte l’attaccamento al proprio coltello, come ricorda Aldo Giordano, detto “Il Clara”, ormai quasi ottantenne: “Tutti avevano il proprio Vernantin con sé. Io ne ho regalato uno a tutti i miei nipoti”.
La produzione di lame lungo il Vermenagna ha origini molto più antiche. “Già nel 1400 Vernante era un paese di fabbri”, spiega Franco Masenti, coltellinaio cuneese. “Nella cattedrale di Barcellona sono stati trovati documenti che testimoniano il trasporto di lance provenienti dalle botteghe vernantine. Un segno dell’influenza iberica si riscontra nella forma originaria della lama del Vernantin, con una sagomatura che ricorda quella della navaja spagnola, un coltello a serramanico dall’incavo ispirato alle scimitarre arabe”.
L’epoca dei coltellinai professionisti è ormai soltanto un ricordo, anche se la produzione continua grazie alla passione e all’impegno degli ultimi artigiani che si dedicano nel tempo libero a questa attività: il Vernantin, insieme al Frabusan, il serramanico di Frabosa Soprana, rappresenta una delle principali testimonianze dell’arte coltellinaia nella Granda.
Forgiatura e tempra assicurano la funzionalità del prodotto, ma l’aspetto più curioso è la lavorazione del manico, rigorosamente ricavato da corna stagionate di bue o di montone, svuotate del midollo e segate a pezzi, anche se si trovano anche esemplari con il manico in legno, esclusivamente di bosso delle valli cuneesi. La vera originalità del Vernantin sta nella broca, l’”arresto” ricavato dalla lama stessa, a forma di testa di chiodo che rientra, a coltello aperto, in un incavo praticato sul dorso del manico. “Questo sistema evita che la lama si pieghi all’indietro durante l’utilizzo”, spiega Dario Barberis, cutlé vernantino. “Per aprire il coltello si appoggia il pollice sulla broca oppure, come facevano i vecchi, lo si sbatte su un tavolo con gesto deciso”. Per Dario, 46 anni, quella dei coltelli è una tradizione di famiglia. Ora lui e suo zio, Mario Vallauri, sono tra i pochissimi coltellinai ancora praticanti. Dario si dedica alla lavorazione dei Vernantin nel laboratorio che ha costruito nella tavernetta di casa sua: “Ho imparato a 24 anni e da allora non ho mai smesso. Purtroppo avendo un altro lavoro mi ci posso dedicare solo nel tempo libero e in media riesco a produrne due o tre al mese” commenta.
Negli ultimi vent’anni hanno iniziato a diffondersi falsi Vernantin, fabbricati con metodi industriali molto diversi dalla lavorazione artigianale, che ne garantisce caratteristiche inconfondibili. Per limitarne la produzione, alla fine degli anni Novanta sono state promosse dal Comune di Vernante alcune iniziative, come la stesura di una Disciplinare di produzione per tutelare il marchio registrato “Vernantin”. Si voleva proporre l’istituzione di corsi professionali per tramandare ai giovani l’arte e la tecnica dei coltelli, ma il progetto non fu realizzato perché non si trovò un accordo con i cutlé, spesso molto gelosi del proprio lavoro e poco propensi a divulgare la tecnica.
Non è semplice acquistare un Vernantin. La produzione, sporadica e non continuativa, non permette di rispondere adeguatamente alla domanda crescente. “Chi desidera acquistarne uno sa che dovrà avere pazienza e attendere”, commenta Franco Masenti, che nella sua coltelleria di Cuneo vanta una decina di esemplari dei famosi coltelli. “Li compro da due artigiani vernantini con cui ormai ho un rapporto di fiducia, ma bisogna rispettare i loro tempi. Ne produco anche qualcuno nel mio laboratorio, seguendo l’antica tecnica dei maestri della lama”.
Un Vernantin può costare tra i 120 e i 140 euro nei negozi, “o anche meno, se li si acquista direttamente dagli artigiani. Un tempo erano attrezzi da lavoro, oggi questi coltelli sono diventati oggetti da collezione” aggiunge Mondino. I Vernantin sono sempre più rari perché la loro fabbricazione non garantisce introiti significativi. Manuel Marchesi, classe 1980, nel 2009 ha tentato di fare dell’arte coltellinaia una professione, con tanto di partita iva. “Il problema è che per mantenersi bisognerebbe alzare molto i prezzi. È un mestiere che dà molta soddisfazione, però dopo un anno e mezzo l’ho abbandonato e sono tornato a lavorare come idraulico”. La sopravvivenza dei Vernantin appare sempre più incerta.
Questo articolo ha ricevuto una menzione speciale alla V edizione del Premio Piemonte Mese, sezione Economia e Artigianato
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