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Le cime di Novara – di Francesca Nacini

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Le corde di Gottifredi Maffioli  

di Francesca Nacini

Gnurant, non lo sapete che quelle corde lì sono fatte a Novara?”. 
corde-1 Ricorda ancora con simpatia, Pierangelo Maffioli, la reazione fiera e contemporaneamente incredula della città a una delle più importanti imprese della sua ditta, la Coppa America con il Moro di Venezia. Era l’alba degli anni Novanta e l’Italia usciva da una prima inebriante immersione nelle grandi regate internazionali grazie ad Azzurra, anch’essa equipaggiata in via esclusiva dalla Gottifredi Maffioli, azienda specializzata in cordami sintetici per uso tecnico. Lo sanno i novaresi, oggi come allora, che, da quegli ottomila metri quadrati di stabilimenti, una volta di campagna ma ormai inglobati dalla città, ci si può aspettare che esca di tutto. 
Fondata nel 1926 dalla giovane Maria Gottifredi come piccolo laboratorio per la realizzazione di trecce ad uso industriale tessile, l’azienda ha assunto l’attuale nome e poliedrica vocazione dopo il matrimonio della titolare con Ettore Luigi Maffioli. Di lì, in un’intelligente corsa ad assecondare un mercato in continua evoluzione, è cresciuta, cambiando per decenni costantemente pelle e accompagnando spesso le gesta di intrepidi italiani impegnati, anche in settori molto diversi tra loro, a superare i limiti per entrare nella storia. 
Alla prima produzione di cucirini, di cui si conserva ancora memoria nell’atto assicurativo originale incorniciato nel centro direzionale, si è affiancata dopo la guerra quella innovativa delle corde da montagna, che ha portato l’alpinista Ardito Desio ad affidarvisi per la mitica ascesa al K2 del 1954. Si narra che da allora quei cavi siano rimasti là, fissi a parete, e che li abbia potuti utilizzare, perché integri e perfettamente affidabili nel loro intreccio bianco e rosso, pure una spedizione giapponese più di vent’anni dopo. 
Della leggendaria scalata resta testimonianza indelebile nel logo aziendale, dove svetta ancora il profilo della grande montagna, anche se ormai il business è tutt’altro. Scesi dal tetto del mondo c’erano infatti da sfruttare le infinite possibilità della tecnologia del momento, il nylon, dotata di particolari qualità di resistenza, durata,  leggerezza e duttilità. E la Gottifredi Maffioli non ha avuto paura di farlo tuffandosi in un ambito sconosciuto per produrre le prime reti da pesca in fibra sintetica nel nostro Paese. C’è chi ricorda tutt’oggi la famiglia che conduce le prime prove nel golfo di Napoli. “La superiorità del nuovo strumento era evidente ma ci volle un po’ perché i vecchi pescatori si abituassero all’idea di reti che non andavano messe ad asciugare al sole”, racconta Pierangelo, amministratore delegato e custode della memoria storica. “Purtroppo però è stato quello il settore che già sul finire degli anni Settanta ha iniziato a subire la feroce concorrenza estera, prima dei portoghesi e poi del Far East”
Flessibile per necessità e vocazione, la Gottifredi Maffioli si è trovata così a doversi riconvertire ancora. Ed è stato il destino questa volta a indicarle la strada: seguire Azzurra nell’avventura in Coppa America è significato entrare nella nautica già ai massimi livelli.  Proseguire poi, tra le risaie, dove una barca a vela non si era mai vista, con team di fama internazionale come il Moro di Venezia, Luna Rossa, Alinghi, fino a Mascalzone Latino e a quasi tutti gli equipaggi che si affronteranno nelle prossime regate di preparazione alla America’s Cup, è stata una sfida vinta di estrema specializzazione nella tecnica del sartiame. L’ambito si è conseguentemente allargato, in pochi anni e con relativa facilità, anche alla nautica non competitiva, ai grandi yacht e più in generale alle cime, distribuite attraverso rivendite specializzate, tanto che oggi il settore costituisce il 60% del fatturato totale e fa della Gottifredi Maffioli una delle più importanti realtà italiane e internazionali. 
Ma non è strano diventare, a tanti chilometri dalla costa, così bravi nell’arte marinara per eccellenza? “Figuriamoci, ho visto gente costruire barche in cima un monte”, scherza Luigi, direttore tecnico, terza generazione, futuro ma anche presente dell’impresa. “Anzi, essendo questo un campo relativamente nuovo per noi ci aspettiamo di crescere ancora, soprattutto nel segmento cruising e mega yacht”. Innovazione e qualità sono alla base di un processo produttivo in continuo rimescolamento, che fa della capacità di rispondere pure a piccoli ordini, personalizzando al massimo l’offerta, e della diversificazione parallela e contemporanea delle competenze, i propri punti di forza per sopravvivere alla concorrenza estera prima e alla crisi economica poi. 
Alla Gottifredi Maffioli si fanno dai cavi per il kitesurf alle cime per il sollevamento delle attrezzature oceanografiche, dalle nuovissime gabbie per il contenimento dei monumenti alle corde di supporto ai più rivoluzionari impianti per le energie alternative, a partire da quelli che sfruttano il moto ondoso del mare. E tale duttilità permette ai cinquanta operai, che lavorano sul sottile confine tra industria e artigianalità, di non sentire il peso della difficile congiuntura attuale. “La produttività dei nostri impianti dipende sicuramente dal buon livello dei nostri dipendenti: le aziende non le fanno mica solo i padroni, dicono con soddisfazione quasi in coro Luigi e Pierangelo, ci sentiamo un po’ come una famiglia. E c’è chi ha passato le competenze di padre in figlio o di madre in figlia, con un ricambio che in qualche caso è giunto persino alla terza generazione”. 
A sentire parlare i due uomini al vertice, insieme alla giovane Rossella, direttore commerciale, la bontà del rapporto instaurato con il territorio e la sua gente risulta evidente: e difatti l’azienda ha sempre rifiutato qualsiasi delocalizzazione e anche un qualsiasi spostamento di sede,  continuando con convinzione ad investire sugli stessi metri quadrati in cui Maria Gottifredi intrecciava le prime corde ottant’anni fa. Molto recentemente, per esempio, l’organizzazione interna è stata riassestata su modello della cosiddetta lean production che prende il meglio del vecchio toyotismo per una lotta mirata agli sprechi. “Senza acquistare nuovi macchinari siamo diventati più efficaci, garantiscono, e abbiamo liberato spazi e tempo per dedicarci allo sviluppo tecnologico”. Il reparto ricerca è diventato  il fiore all’occhiello, con un tunnel che permette la produzione di cavi lunghissimi in completa estensione e strumenti quali il dinamometro per rilevare con estrema precisione i carichi di rottura dei filati. L’unico rammarico, di cui non si fa mistero, è quello di essersi dovuti piegare a forniture non italiane. “Nel nostro Paese non c’è più nessuno in grado di produrre le materie prime di cui abbiamo bisogno, si sfoga Pierangelo, ma rivendica ciò non toglie che quel che esce di qui non sia al 100% made in Italy”. 

 

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