Una rinascita tra architettura e Resistenza
di Oscar Borgogno
Il giorno 20 la banda Italia Libera abbandona Madonna del Colletto e raggiunge Paralup, nella bassa Valle Stura. La nuova base, sette povere baite a quota 1361, appare sicura. Ma sono i problemi logistici che adesso non trovano una soluzione pratica. La zona è poverissima, nel Vallone di Rittana il proprietario di due vacche è già un contadino ricco”.
Fino a quando, nel 2006, la Fondazione Nuto Revelli ha deciso d’impegnarsi per farla rinascere, col supporto economico della Regione Piemonte e di alcuni istituti bancari. Spiega il presidente Marco Revelli (figlio di Nuto): “Eravamo riuniti per celebrare il 25 aprile e, quando l’amico Teo De Luigi lanciò l’idea di recuperare Paralup, ci prese un entusiasmo forse da lui stesso inaspettato”.
Un entusiasmo che non si è spento la mattina successiva, ma si è diffuso contagiando nuove persone, e nel giro di pochi mesi ha portato alla redazione di un progetto straordinariamente innovativo. L’obiettivo era chiaro: “Fare di Paralup, all’inizio del XXI secolo, il simbolo del Villaggio della Libertà, in cui sia possibile ritrovare le tracce di un passato ancora vivo sotto la superficie della riconquistata normalità, riscoprire un’esperienza che rischia di scivolare nelle secche della rappresentazione retorica e mitizzata”.
Il risultato è stato un progetto che rappresenta sotto molti punti di vista un modello nell’ampio campo del recupero delle aree cosiddette “periferiche”, integrato nello spazio e nel tempo: “un esempio” prosegue Revelli “di intervento filologico sulla struttura della casa contadina e iniziativa cultural-turistica in un habitat di grande importanza”. Per i realizzatori del progetto (il docente di architettura Daniele Regis, gli architetti Valeria Cottino, Giovanni Berberis, Dario Castellino): ogni intervento di ripristino dev’essere distinguibile dalla parte originale delle costruzioni, così com’è nello stato attuale: ciò per non consentire una lettura falsa dell’opera, attraverso l’assimilazione indebita delle parti reintegrate a quelle originali.
Nessuna volontà quindi di mantenere un’autenticità solo apparente, come purtroppo è accaduto troppe volte negli anni passati in Italia. Tra le due vie contrapposte del “design ingigantito e gli eccessi della creatività, che possono essere favoriti da una radicale e acritica interpretazione del principio della riconoscibilità rispetto alla costruzione originaria” e quella dei “falsari dell’architettura”, a Paralup si è scelta una via più sincera e intraprendente. “Abbiamo voluto realizzare un dialogo tra antico e nuovo nell’aderenza del progetto al contesto, spiegano i progettisti, perseguendo la logica della reversibilità e del minimo intervento sull’esistente”.
Ciò significa che ogni intervento di restauro potrà essere rimosso, nell’eventualità che in futuro ciò si dimostri doveroso in accordo alle nuove sensibilità critiche e alle teorie di restauro. Attraverso un’operazione di “costruire nel costruito”, le tracce e le piante delle baite sono state consolidate e rispettate. Anche in altezza ci si è attenuti agli originali, nonostante la maggiore difficoltà, ricalcando per quanto possibile i volumi autentici, le altezze, le inclinazioni delle falde, in segni nitidi, chiari e depurati. Sono dunque le stesse rovine ad aver suggerito ai progettisti le geometrie, i volumi, la stilizzazione delle forme per un lavoro sobrio.
La nuova Paralup, innovativa nelle forme, lo vuole essere anche nei contenuti: un simbolo di resistenza, la dimostrazione che in montagna si può tornare a vivere una vita dignitosa (non quella di stenti e sofferenze di un tempo), fatta di lavoro e cultura, riconquistando una frontiera dimenticata dalla modernità. Ed è così che Paralup sta diventando un luogo di ritrovo e di incontro, di elaborazione del futuro (come già lo fu nei mesi della Resistenza): oltre al museo multimediale e alle numerose esposizioni, nel 2011 è stata cornice del “Festival dei luoghi abbandonati”, mentre all’inizio di agosto ospiterà, come da tradizione, il Campeggio Resistente: un evento che declina nel presente l’esperienza della Resistenza, incarnandola nelle giovani generazioni. Come non aveva mai smesso di sognare Nuto Revelli.