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L’obiettivo della Juve – intervista di Nico Ivaldi

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Salvatore Giglio, vent’anni e mille partite da fotografo ufficiale della Juve

intervista di Nico Ivaldi

Da quell’8 dicembre 1985 sono passati ventisette anni, ma l’immagine di Michel Platini, sdraiato su un fianco dopo l’annullamento di un gol meraviglioso a Tokyo (controllo di petto, “sombrero” di destro sul più vicino avversario e sinistro al volo) nella finale della Coppa Intercontinentale, è di quelle difficili da dimenticare per uno sportivo. Meno che mai per un tifoso juventino. 
cover-marzo13   “Solo pochi mesi fa mi hanno richiesto la foto dal Giappone, è quella che ho venduto di più nella mia carriera” spiega con orgoglio l’autore di quello scatto, Salvatore Giglio, fotoreporter storico della Juventus, quattordici scudetti vinti più tutte le Coppe al seguito della squadra per la quale tifa fin da bambino.
Che cosa disse il fuoriclasse francese quando la vide?
Gli piacque moltissimo. Qualche anno fa mi confidò che quella foto aveva fatto la sua storia. Al che io risposi: veramente ha fatto anche la mia, caro Michel”.
Giglio, come nasce quello scatto?

La foto è unica per questo motivo: io guardo nell’obiettivo della macchina con l’occhio sinistro, mentre il novanta per cento dei fotografi fa il contrario. Dunque, quando venne annullato il gol a Platini, i giocatori della Juve andarono verso l’arbitro per protestare. Io mi accorsi che alla mia sinistra c’era lui sdraiato per terra; così istintivamente girai la macchina e scattai tre volte di fila, senza nemmeno mettere a fuoco. I miei colleghi, che guardavano nella direzione opposta, non si accorsero del siparietto”.
Oggi Salvatore Giglio ha sessantacinque anni, un’età in cui potrebbe vivere di ricordi e sfogliare il suo sterminato album di foto, ma la passione per il suo lavoro è più forte di tutto. 

Il mio è un mestiere dove non si smette mai, salute permettendo. Nel mio caso, oltre alla passione c’è anche il tifo per la Juve, il che è il massimo”.
Nasce prima il tifoso o prima il fotografo?
Il tifoso. Benché io sia di Palermo, ho sempre tifato bianconero, al contrario di mio padre, legato ai colori rosanero. E guarda il caso la prima partita che ho visto a Torino – dov’ero emigrato con la mia famiglia – è stato un Juventus-Palermo del 1962, persa dalla Juve per 4 a 2 nonostante un gran gol di testa di John Charles”.
Come tanti ragazzi di quell’epoca, Salvatore Giglio inizia dalla gavetta. Garzone di bottega presso un fotografo di Torino. Non sa nulla di acidi e camere oscure, ma dopo una settimana sviluppa e stampa le foto da solo. Salvatore aveva l’arte dentro e non lo sapeva. La domenica gira per la città e fotografa tutto quello che gli capita. Quando torna dal servizio militare si sente pronto per aprire un negozio a Orbassano.

In realtà la svolta della mia carriera avviene quando cominciai a collaborare con Calciofilm, che riuniva le migliori firme del giornalismo torinese, e poi con “Hurrà Juventus”, per il quale ebbi l’incarico di seguire la Juve in trasferta. Chiusi il negozio e capii che la mia strada non era quella di fotografo di matrimoni”.
Giglio inizia la sua avventura di fotografo ufficiale della Juve (che seguirà per oltre mille partite ufficiali, tra il 1976 e il 1998, record mondiale per un fotografo; continuerà a farlo anche dopo, per conto della sua agenzia Juve Press) nello stesso momento in cui Giovanni Trapattoni ne prende le redini, trasformando quella squadra nella più vincente di sempre. 

“Un aneddoto di quel periodo? Era il 16 maggio 1982, ultima di Campionato. Liam Brady segna su rigore il gol della vittoria a Catanzaro e la Juve diventa Campione d’Italia. Quel gol evitò il probabile spareggio con la Fiorentina, previsto per sabato 22 maggio, giorno in cui era anche in programma il mio matrimonio. Se i bianconeri fossero andati allo spareggio per me sarebbe stato un dramma: o andavo allo stadio o andavo in chiesa. Brady lo sapeva. Infatti dopo il gol corse, esultando, verso di me, come dire: “Hai visto? Ti ho salvato il matrimonio”. A fine partita, mentre ci recavamo nel tunnel che portava nello spogliatoio, lui si fermò di scatto, si girò verso di me, si tolse la maglia: “Questa te la regalo”. Rimasi di sasso. Ci avevo sperato, anche perché era la sua ultima partita con la Juventus e so quanto ci tenesse, ma non osavo chiedergliela. Dopo quindici anni, quando ci ritrovammo per i festeggiamenti dei cento anni della Juve, gliela restituii. “Dalla a tuo figlio” gli dissi “perché é giusto che l’abbia lui”. E quella volta a Brady, uomo straordinario, scesero le lacrime”.
Oltre alla Juve, Giglio ha seguito la Nazionale ai Mondiali per sette edizioni, dall’82 al 2006. Nell’82 vinse il primo premio come miglior fotoreporter. Nel 2002 fu l’unico fotografo occidentale scelto per il libro ufficiale della Fifa edizione orientale.

Secondo te, quali doti deve avere un buon fotografo sportivo?
Deve saper trovare l’angolazione e la luce giusta, tutto il resto è affidato all’imprevedibilità, perché il calcio è uno sport imprevedibile. Inoltre è necessaria la massima concentrazione, quando sei ai bordi del campo il tifoso non deve esistere, solo il fotografo. E poi è importante prepararsi prima della partita, conoscere tutto dei giocatori, i loro movimenti, le loro caratteristiche”.
Da maestro, come giudichi il lavoro dei tuoi colleghi più giovani?

Molti di loro vanno in campo per fare le foto, non per fare LA foto, cioè lo scatto particolare. Eseguono la loro brava cronaca, spesso si copiano l’uno con l’altro e non pensano a quello che devono fare per conto proprio. Io, ancora oggi, quando vado in campo penso solo a quello che devo fare e vado sempre alla ricerca della Foto”.
Mediamente quanti scatti fai a partita?

Sui 1400”.
Tu sei stato il fotografo ufficiale di Del Piero per diciannove anni…

Lo sono ancora, anche se adesso lui è andato a giocare a Sidney. Ale mi aveva chiesto di seguirlo in Australia ma i miei impegni familiari non me l’hanno consentito. Così ho mandato un mio fotografo di fiducia, un ragazzo davvero promettente”.
Com’è nato il rapporto con Ale?

Sono stato il primo a fotografarlo con la nuova maglia, quando ancora sulla schiena aveva il numero 16, il leader era Roberto Baggio e lo sponsor Danone. Quel giorno Del Piero era emozionantissimo. Indossò maglia e calzoncini per la classica foto di rito dei nuovi acquisti. Aveva i capelli corti (all’Avvocato non piacevano lunghi). Parlava pochissimo, era timido ma disponibile. Finito lo shooting si sfilò la maglia con delicatezza, non come facevano tutti che la gettavano dove capitava, lui la piegò, le diede una pulita e poi chiese dove riporla. Da quei pochi gesti capii subito che la sua avventura in bianconero sarebbe stata lunghissima”.
Che rapporto avete instaurato?

Siamo entrati subito in sintonia ed è nata poi una bella amicizia”.
Recentemente Del Piero ha acquistato l’archivio completo delle sue fotografie, pubbliche e private, fatte da Giglio.

È stata una scelta molto intelligente, Ale ha capito che in quell’archivio c’è tutta la sua vita, un capitale che va tramandato ai figli”.
Com’è cambiato il tuo mestiere dalla pellicola al digitale?

Ti faccio un esempio. Quando ho cominciato a collaborare col Guerin Sportivo, ogni domenica dopo la partita, in qualsiasi città mi trovassi, correvo a Bologna con le pellicole da sviluppare sul posto, perché il giornale chiudeva a mezzanotte. Adesso è tutto diverso. Meno fatica, meno costi, meno stress. Però col nuovo sistema si è anche persa la poesia della fotografia. Quando la sviluppavi in bianco e nero la vedevi nascere, la sentivi più tua. Certo oggi Photoshop ti aiuta in tutto, puoi anche mettere il pallone dove non c’è. E poi la digitale ha un’ottima qualità, che negli ultimi anni è ancora migliorata. Una volta si passavano tante ora in camera oscura, oggi davanti al computer”.
Giglio, qual è stato il giocatore più vanitoso che hai conosciuto?
Pippo Inzaghi. Veniva il lunedì nel mio studio in via Carlo Alberto a scegliere le foto della partita; e poi gli piaceva molto farsi fotografare. C’erano giocatori così disinvolti che il servizio lo facevano da soli, come lo stesso Del Piero e come Baggio. Una volta, dopo che avevo vestito Roby con l’abito da sera, lo vidi tirare fuori la camicia dai pantaloni, alzarsi i pantaloni sopra le caviglie, togliersi le scarpe e cominciare a imitare Benigni, la sua specialità.”
E Zoff, persona notoriamente riservata, com’era davanti all’obiettivo?

A lui sono molto legato anche perché è stato l’oggetto della mia prima copertina al Guerin Sportivo, un primo piano dietro la rete. A quei tempi avere la copertina sul Guerin era il massimo per un fotografo. Quel mercoledì alle cinque del mattino ero già davanti all’edicola in attesa del settimanale con la foto firmata Salvatore Giglio!”
I giocatori ti chiedono sempre le foto delle partite?

Alla maggior parte di loro di solito non interessa nulla delle foto. Solo quando smettono di giocare cominciano a chiamarti per poterle visionare. Lo so che è una cosa strana, eppure è così”.
Rischi del mestiere?

Una volta Cabrini saltò per prendere il pallone e nella caduta finì sulla mia macchina. L’atterraggio fu così forte che la Canon si aprì in due, per fortuna salvai l’obiettivo. Un’altre volta ho preso una pallonata durante l’intervallo di una partita dei Mondiali di Spagna, sono svenuto e poi mi sono ripreso. Poi mi sono beccato una lattina in testa a San Siro. Ma per uno che ha vissuto l’Heysel cosa vuoi che siano questi piccoli incidenti di percorso”.
Tu c’eri quella maledetta notte..

È stata la pagina più nera della mia vita. Pensa che un mese prima, quando ero stato in ricognizione allo stadio, avevo detto subito che non era attrezzato per una finale di Coppa Campioni, soprattutto dovendo ospitare due tifoserie calde e agguerrite come quelle di Juve e Liverpool. Lo stadio aveva le gradinate in terra battuta, le reti che dividevano i tifosi erano sottili, non c’erano uscite di sicurezza. Quella sera, mentre stavo aiutando un ragazzo, presi pure una manganellata in testa. Non dimenticherò mai i corpi allineati per terra…”
Giglio, da tifoso qual è stata la Juve che ti è piaciuta di più?

Naturalmente quelle del Trap e di Lippi. Ora anche dalla Juve di Conte mi aspetto grandi risultati”.
E quella che ti ha divertito meno?

La Juve di Maifredi, che per la prima volta nella storia non si qualificò per le coppe. Maifredi, tifoso sfegatato della Juve, era un personaggio molto stravagante. Il primo giorno di allenamento nel pre-campionato in Svizzera, vidi entrare sul campo tutti i giocatori meno che lui. Seppi che era andato in paese a farsi un giro in bici, così saltai in auto e andai a cercarlo. Lo trovai davanti al lago, come un turista qualsiasi. Col sorriso stampato sulle labbra accettò di farsi fotografare. Anche questo era Maifredi, un personaggio che i tifosi juventini non ricordano volentieri”.

Foto di Salvatore Giglio

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