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Piemonte Lithium Valley – di Andrea Ciattaglia

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L’auto elettrica diventa realtà

di Andrea Ciattaglia

Sa di buono e di passato, pur essendo carica di tecnologia d’avanguardia, l’aria che si respira attorno a Xam 2.0, la prima vettura elettrica progettata e costruita al Politecnico di Torino, pronta ad essere industrializzata e trasformata in veicolo urbano. Ricorda l’atmosfera delle boite di una volta, così come le raccontano i vecchi operai e costruttori di auto. Quelle botteghe in cui mani esperte traducevano inventiva e creatività in prodotto; le officine dove i giovani imparavano rubando con gli occhi dai colleghi più navigati.
La creazione del Politecnico è nata dalle menti (“non tutte centrate”, confidano loro con ironia) di Massimiliana Carello, docente di design, e degli studenti Andrea Airale e Alessandro Ferraris. Insieme a una trentina di universitari hanno dato vita cinque anni fa al team H2politO, una squadra di tecnici “partiti da zero, spiegano, e arrivati a superare le case automobilistiche straniere in fatto di tecnologia e innovazione”
Parlano i risultati: nel novembre 2012 Xam ha vinto la competizione internazionale “Future Car Challenge” lasciandosi alle spalle, sulle strade tra Londra e Brighton, veicoli elettrici o ibridi marchiati Opel, Jaguar, Renault e Mercedes.
ga-ciattaglia1 L’eccezionale risultato è la meno eclatante delle novità. Ancora di più conta il fatto che il Politecnico rappresenti nel settore della mobilità sostenibile la punta di un inaspettato e promettente iceberg locale. La rivoluzione dell’auto elettrica si fa strada in Piemonte, forte della tradizione di un territorio votato alla costruzione di autoveicoli, ma ancora frenata dalle incertezze del mercato e dalla titubanza della politica. C’è chi l’ha ribattezzata “primavera tecnologica”, una stagione fuori moda in tempo di crisi economica, fatta di aziende e gruppi di ricerca che hanno iniziato a crederci davvero, investendo capitali in attività di conoscenza e produzione.
Solo per realizzare Xam sono intervenuti cinquanta fra partner tecnici ed economici: da Michelin a Magneti Marelli, dalla banca San Paolo a General Motors. Per Andrea Airale, che dopo il dottorato aspira a diventare imprenditore nel campo della mobilità sostenibile, non ci sono dubbi: “Il segreto? Abbiamo trovato sulla nostra strada di giovani ricercatori persone convinte che su questo territorio si possano ancora fare auto competitive in tutto il mondo”.
Nel luglio 2012 a Rivalta ha aperto i battenti Lithops, prima fabbrica italiana per la produzione di batterie elettriche a partire dai composti di litio e a base di grafite. Niente più assemblaggio di pezzi costruiti all’estero, ma realizzazione diretta dei prodotti. Carlo Novarese, trent’anni, amministratore delegato dell’azienda che ha raggiunto quota cinque milioni di euro di investimenti, è convinto che “il Piemonte abbia tutte le possibilità per diventare una futura Lithium Valley di rilievo internazionale, leader nello sviluppo delle batterie, il pezzo più pregiato della vettura elettrica”. Un primo importante tassello è già al posto giusto: la presenza a Torino, con un’attività nel campo dei pigmenti industriali, di Rockwood, la multinazionale leader mondiale nell’estrazione del prezioso metallo.

Umberto Novarese, padre di Carlo col quale condivide la passione per l’auto ecosostenibile, ha scoperto il mondo delle vetture elettriche solo all’inizio degli anni Duemila. È presidente di Telios, fondazione per la promozione delle energie rinnovabili, del risparmio energetico e della mobilità a basso impatto inquinante. “Per anni sono stato l’unico cittadino piemontese a viaggiare su un’auto completamente elettrica”, spiega nell’elegante sede di via della Rocca a Torino. “Un’utilitaria modificata con la quale ogni giorno per lavoro andavo e tornavo da Ivrea”. Muoversi solo con la corrente, ricaricando il proprio mezzo in garage con due euro di elettricità, si può. “Prima o poi, dice Novarese, se ne convinceranno anche i responsabili dell’elefantiaca amministrazione torinese, iniziando a togliere le limitazioni di accesso al centro per le auto a batterie ed azzerando il costo del parcheggio. È l’unico modo serio di combattere il fenomeno dell’inquinamento atmosferico”.
Favorevole ad un intervento attivo delle istituzioni per l’avvio della filiera dell’auto elettrica è anche Luca Sacco, direttore di Opac, gruppo leader dell’automotive torinese che partecipa al progetto Lithops: “Non è un problema di competenze, quelle ci sono e di ottimo livello”, spiega. “A mancare è una ragionevole certezza di ritorno degli investimenti”. Cercasi garanzie disperatamente: “In questi periodi di vacche magre e scarse commesse,  gli enti locali dovrebbero intervenire più decisamente. Prima ancora dei contributi economici, occorre cambiare rotta rispetto al passato con campagne di promozione della mobilità elettrica e d’informazione, necessaria a sfatare alcuni miti negativi”.
Primo fra tutti quello che l’auto a batterie di ultima generazione abbia un’autonomia molto limitata. Basta sfogliare i listini di vendita per rendersi conto che non è così: le auto elettriche prodotte dalle grandi case internazionali, da Opel a Mitsubishi e Tesla, da Citroën a Nissan e Peugeot non hanno bisogno di ricariche sotto i settantacinque chilometri di percorrenza, con punte di cinquecento. Grandi differenze anche nei prezzi: da venti a centomila euro. Tra i due estremi sta tutta l’incertezza del mercato, che costringe a sparare un colpo solo, quello buono. Ecco il dilemma: “Partire dalla gamma alta, producendo auto di lusso e sportive con elevata autonomia da presentare nei saloni, o puntare sulle utilitarie a basso costo, sperando che la politica approvi incentivi e misure per favorire la mobilità elettrica urbana?”
Pesa l’assenza di un grande partner industriale. Sull’auto elettrica Fiat è rimasta indietro rispetto ai concorrenti francesi, americani e giapponesi. “Gli ostacoli tecnici da superare sono ancora tanti, dalla capacità della batteria ai tempi di ricarica, alla rete di rifornimento. E poi il mercato è quasi inesistente” diceva Sergio Marchionne all’assemblea dell’associazione nazionale fra industrie automobilistiche. Era ottobre 2011. “La posizione dell’azienda non è cambiata”, dicono i bene informati, molti con evidente rammarico. Nemmeno l’approdo della Cinquecento a trazione elettrica negli Stati Uniti, un modello sviluppato in Michigan negli stabilimenti di Auburn Hills e costruito in Messico, ha provocato entusiasmo e investimenti nel settore sotto la Mole. Diversa la situazione se si guarda all’intero gruppo automobilistico italo-statunitense: Iveco già produce mezzi commerciali elettrici e per molte piccole aziende dell’indotto, rappresenta oggi la speranza di un partner forte per consolidare la filiera della mobilità elettrica.

Il tempo stringe. Gli indiani di Tata, la multinazionale orientale proprietaria dal 2008 dei marchi Jaguar e Land Rover, hanno già visionato il veicolo del Poli, respirando l’atmosfera dei laboratori d’Ateneo, attratti dall’idea di rendere Xam un mezzo per la mobilità urbana. È vero, nel campo della ricerca e della tecnologia le collaborazioni con l’estero sono valore aggiunto del prodotto. Ma i rapporti di forza fanno la differenza: che disdetta sarebbe se il germoglio dell’auto elettrica nostrana portasse frutto in mani straniere.

Questo articolo ha vinto ex aequo la VI edizione del Premio Piemonte Mese, Sezione Economia e Artigianato

Le immagini sono tratte dal sito www.polito.it

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