Col pallone tra i piedi, per non essere più penultimi
di Michela Damasco
L’idea di creare un laboratorio di coesione sociale partendo da un gioco alla portata di tutti come il calcio è venuta quattro anni fa a Timothy Donato, educatore. Dopo il primo anno di esperienza con l’associazione Terra del Fuoco e la partecipazione di una squadra al campionato primaverile UISP di calcio a 5, la decisione, nel luglio 2012, di trasformarsi in associazione e di portare avanti il progetto.
A livello organizzativo, Nessuno Fuorigioco conta su un direttivo di cinque persone: tre (educatore, assistente sociale e insegnante) si occupano prevalentemente della parte sportiva, altre due si dedicano più alla relazione con le famiglie e a capire le difficoltà sulle quali intervenire. C’è poi il gruppo di volontari: due o tre di loro aiutano con costanza. La logica è quella dell’educativa di strada, con l’intento però di proseguire nel tempo: si vogliono creare le condizioni per far imparare le regole giocando a minori che vivono incondizioni di brutto sottoproletariato, a prescindere dalla loro provenienza o nazionalità.
Al fondo del video di presentazione sul sito, il messaggio, che strappa un sorriso, è, non a caso, “Come imparare le regole della vita giocando a calcio (male)”. Eppure, col lavoro si cominciano a ottenere anche risultati sul campo: “Stanno arrivando punti belli, racconta Timothy, dovremmo essere più in alto in classifica. Siamo cresciuti sul piano del gioco e stiamo diventando una squadra: paghiamo nei momenti in cui non riusciamo a esserlo”. Declinato in questo modo, il calcio sta dimostrando di funzionare come progetto educativo: e, se coi ragazzini è un po’ più difficile, con le ragazze, “miste”, si sta creando un vero laboratorio di coesione sociale. “Gradualmente, siamo riusciti a coinvolgere le ragazze tramite fratelli e vicini, finché sono state loro a chiederci una squadra”.
L’impegno è tanto, considerando gli allenamenti due volte a settimana e le partite di sabato (domenica per le ragazze), con trasferte anche fino a Ceres o a Villafranca d’Asti. C’è un buon seguito di pubblico, oltre a gruppi di scout che vanno a tifare e poi offrono la merenda a tutti. Contrariamente a come siamo abituati, invece, i genitori seguono poco le partite (“È un problema sul quale stiamo lavorando, di sabato lavorano e hanno ancora difficoltà a sospendere le proprie attività per godere dei figli”), ma partecipano ai momenti conviviali, soprattutto al pranzo tradizionale dell’associazione ogni 25 aprile (“Il giorno della Liberazione, noi lo festeggiamo con i rom, che sono ancora da liberare”).
A impegno, soddisfazione, se vuoi anche un po’ di emozione nel vedere quanta strada si possa fare con un pallone tra i piedi, si contrappone il problema economico: l’associazione cerca continuamente bambini, con la finalità di coinvolgere il maggior numero di non rom e favorire l’integrazione, sta progettando eventi per i più piccoli, tra i quattro e i sette anni, vorrebbe aumentare le squadre e provare a lavorare sulle fragilità psico-motorie, ma i fondi son quelli che sono. Al momento, infatti, Nessuno fuorigioco (soprav)vive grazie a una sorta di azionariato popolare, con cui si diventa soci tramite una donazione, e all’organizzazione di eventi con raccolte fondi, anche per progetti specifici, come il ritiro di qualche giorno la scorsa estate. Ha in cantiere progetti per essere più presente in tutta la circoscrizione e ha vinto una battaglia importante: ora i bambini rom che frequentano la scuola possono partecipare ai centri estivi comunali, che prima sembravano loro preclusi sempre per il requisito della residenza.
In più, dopo la partecipazione, nel maggio scorso, alla Festa dell’Europa a Venezia, su invito del Consiglio d’Europa, il 20 marzo Timothy, con un ragazzo e una ragazza, atleti della New Team, è stato a Roma, in occasione del lancio dell’asta di beneficenza “Espelli il razzismo dal calcio”, organizzata dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali col supporto di Lega calcio e Associazione italiana calciatori. Il ricavato degli oggetti da collezionismo donati dalle società di serie A sarà infatti devoluto proprio a Nessuno Fuorigioco.
È un grosso lavoro. Le idee non mancano. Meriterebbero di essere portate avanti, cercando di andare al di là del concetto di “rom”. Ascoltando Timothy, infatti, si comprende come la questione centrale sia quella del “campo” e non la provenienza di chi ci vive: “Il limite del nostro progetto, forse, è che sembra voler creare una squadra per zingari, come vengono definiti spesso, ma non è così. Il diritto al gioco va garantito a tutti”. L’associazione ha tra l’altro intenzione di togliere il termine “rom” dai propri documenti: “Queste persone non vivono nelle baracche perché sono rom, ma perché sono poveri e ce li abbiamo messi noi. Il vero problema sono l’abusivismo edilizio e la logica del sottoproletariato”. Senza contare che la maggior parte dei bambini e bambine che partecipano al progetto sono rumeni e non rom, quindi comunitari a tutti gli effetti.
Holly e Benji sono due speranze del calcio. La New Team di Nessuno Fuorigioco, in fondo, è una speranza per piccoli calciatori e calciatrici, un modo per crescere senza sentirsi penultimi. Per il loro allenatore, infatti, qui di “filosofia del penultimo” si sta parlando, “perché per loro non c’è niente, mentre per gli ultimi almeno c’è la pietà”.
Info: http://nessunofuorigioco.org