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CAI 150 – di Luisa Calderaro

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Nel 2013 l’associazione fondata da Quintino Sella ha celebrato 150 anni di attività

di Luisa Calderaro

Svettano alte verso il cielo come cattedrali di roccia innalzandosi oltre le nuvole. Sono le montagne, la spina dorsale dell’Italia, le cosiddette sentinelle nazionali che vegliano da secoli sul Paese. Alpi e Appennini che da sempre hanno affascinato e incuriosito l’uomo, pronto a scoprirle e “conquistarle”.
Quintino Sella, politico piemontese della destra cavouriana, statista, ministro delle Finanze, ma anche uomo di scienza e alpinista, fu uno di questi. Di origine biellese, negli anni del Risorgimento  fu uno dei sostenitori del Regno d’Italia contribuendo passo dopo passo all’unità del Paese, sancita nel 1861 a Torino. Alla frase di Massimo D’Azeglio “abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”, il politico credeva fortemente.
Sella aveva intuito che le montagne avrebbero potuto rafforzare quel senso di orgoglio nazionale e di appartenenza al neonato Regno d’Italia. E allora perché non cominciare col riconquistare il Monviso, la montagna simbolo del Piemonte dalla caratteristica forma a piramide riconoscibile da tutta la Pianura Padana? Era ora che su quella vetta sventolasse il tricolore. Un sogno che diventerà presto realtà grazie alla determinazione di Sella, che festeggerà la scalata al Re di Pietra e suggellerà il suo amore per le montagne fondando nel 1863 il Club Alpino Italiano (Cai). 

L’associazione, ideata per riunire alpinisti e amanti delle vette, nel 2013 ha festeggiato 150 anni di attività. Un compleanno importante celebrato in tutto il Paese con eventi organizzati, dalle Alpi agli Appennini, per ricordare il padre fondatore e gli obiettivi da portare avanti: conoscere, diffondere e tutelare l’alpinismo, la cultura e l’amore per le montagne.
L’idea del Cai il politico piemontese la pensò nell’agosto del 1863 durante la scalata al Monviso. In quegli anni, e già dai primi dell’Ottocento, in tutta Europa si era diffusa la corsa alla conquista delle montagne, in particolare delle Alpi. Gli inglesi, instancabili cacciatori di cime, furono i primi a scalare nel 1861 il Re di Pietra, ritenuto fino a qualche anno prima inaccessibile. Un fatto che a Quintino Sella non era andato giù, e per questo aveva deciso di organizzare una spedizione tutta italiana per riconquistare la vetta piemontese.
A spingere il biellese su quella montagna, a 3841 metri di altezza, era una questione di orgoglio risorgimentale: voleva dare una scossa al Paese, far sentire italiani tutti gli abitanti di un regno che ancora non si sentiva completamente unito. Nella scalata volle al suo fianco, oltre ai compagni piemontesi Paolo e Giacinto Ballada di Saint-Robert, anche il deputato calabrese Giovanni Barracco, in rappresentanza del sud della Penisola. Ad accompagnarli c’erano tre guide alpine locali. Formata la cordata, il gruppo partì alla volta del Monviso.
Se la prima parte del percorso era risultata abbastanza facile e molto panoramica, man mano che si saliva per gli alpinisti iniziavano le prime difficoltà, anche a causa della fitta nebbia che si stava alzando. La piramide di roccia era lì di fronte a loro, si innalzava maestosa guardandoli dall’alto della sua vetta. Proprio quella parete di roccia, che Sella paragona alla forma di un pugnale triangolare, aveva sempre intimorito gli alpinisti italiani compreso il più audace Domenico Ansaldi, che nel 1834 non riuscì ad arrivare in cima fermandosi a quota 3700. Ma la cordata guidata dal politico piemontese era determinata a raggiungere l’obiettivo. Ormai la cima orientale era a due passi da loro. “In un attimo – scrive Sella nella lettera all’amico Bartolomeo Gastaldi, segretario della Scuola per gli Ingegneri – stanchezza, dubbi, paure, sofferenze, tutto fu scordato. Eravamo finalmente riesciti! La soddisfazione delle buone guide, che ci accompagnavano non era minore della nostra. Siamo venuti da noi, dissero anzitutto, senza bisogno di stranieri. Vedi l’amor proprio nazionale!
Il Monviso diventa così il simbolo d’Italia, è la montagna ritrovata e conquistata, l’emblema di un Regno che si riscopre unito grazie alle sue vette.
Nella missiva dal titolo Una salita al Monviso, che diventerà la lettera-manifesto della scalata, Sella confida all’amico Gastaldi anche la voglia di aprire in Italia un Club alpino su esempio di quello londinese e viennese per riunire “persone – scrive – che spendono qualche settimana dell’anno nel salire le Alpi, le nostre Alpi!” Dopotutto, in quegli anni si stava diffondendo il turismo montano, un segno evidente che tra le persone c’era la voglia di praticare l’alpinismo, di scoprire e conoscere le catene montuose. Per Sella era ora di indurre anche i giovani a munirsi di corda e picozza e scalare quelle vette.
Alle parole scritte, seguirono i fatti. Il 23 ottobre 1863 a Torino, nelle sale del Castello del Valentino, il politico piemontese insieme ad una quarantina di soci approva l’atto costitutivo del Cai. Scopo primario, come recita l’articolo uno dello statuto, è quello “di tutelare e diffondere l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale”.
Da allora il Club Alpino è diventato una grande famiglia: se nel 1863 contava 200 aderenti, nel 1888 circa 4.500, oggi vanta circa 319.467 iscritti, 496 sezioni e 308 sottosezioni presenti in tutto il territorio nazionale. A ciò vanno aggiunti gli oltre 700 rifugi realizzati, per un totale di 23.500 posti letto disponibili in alta quota. L’associazione, inoltre, promuove attività ambientali, culturali, sportive, corsi di formazione professionale e si avvale della preziosa collaborazione del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico, struttura operativa del Cai. Numeri e attività di cui oggi il padre fondatore sarebbe orgoglioso, perché in questi 150 anni il Club Alpino Italiano non solo ha dimostrato di saper portare avanti, con la stessa passione ed impegno, gli obiettivi fissati nel 1863, ma è stato anche capace di rinnovarsi nei contenuti e nelle attività e di trasmettere la determinazione, il rigore e il buon senso che la montagna insegna. Valori che Quintino Sella conosceva bene e che da buon alpinista seppe applicare anche nella sua vita di uomo e politico.
Per il biellese la montagna era stata una grande “maestra di vita”, e per questo amava dire ai giovani: “Correte alle Alpi, alle montagne o giovani animosi, che vi troverete forza, bellezza, sapere e virtù. Nelle montagne troverete il coraggio per sfidare i pericoli, ma vi imparerete pure la prudenza e la previdenza onde superarli con incolumità”.
Oggi sono tanti i ragazzi che si avvicinano con entusiasmo all’alpinismo, che amano la natura e le montagne, quelle sentinelle d’Italia capaci di suscitare nel cuore un profondo senso d’infinto e di pace. Perché la montagna è curiosità, silenzio, è respiro, è ascolto, è il rumore lento ma deciso dei passi, è fatica. È sano sport, è libertà, è voglia di guardare con occhi nuovi e diversi ciò che ci circonda; ma soprattutto è presa di coscienza delle scelte che si fanno, è rispetto per se stessi e per l’ambiente, è amore. Un amore infinito che da 150 anni, grazie alla vitalità e all’attivismo del Cai, ha fatto e farà innamorare delle Alpi e degli Appennini persone di tutte le età. 

Questo articolo ha ricevuto una menzione alla VII edizione del Premio Piemone Mese, Sezione Cultura, Storia e Ambiente

Le immagini del Monviso sono di Chiara Vaccarino

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